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venne la prima sera in cui era atteso e non venne che otto giorni appresso dopo aver messo altre due volte in subbuglio la famigliuola con avvisi della sua venuta. Era giovanissimo, molto magro, il volto dalla pelle bruna sulla quale poco risaltavano i suoi baffi biondi. Era vestito bene, ma troppo riccamente; portava anelli alle dita e sul petto una catena d’oro la quale Gustavo disse valere trecento franchi e più. Parve che quella sera si divertisse molto. Spiegò la fabbricazione delle sue paste e rifiutò la rappresentanza della sua fabbrica al Lanucci che gliela chiedeva, dicendogli dapprima che non lavoravano a mezzo di agenti e poi che ne avevano già quattro, due buoni argomenti che naturalmente tolsero al vecchio ogni speranza. Mangiò molto, ciò che diede alla signora Lanucci una grande opinione della sua salute, perché diceva che le persone magre che molto mangiano sono le più forti. Quell’appetito le portò via la cena e a Rorli, che le chiese perché non mangiasse, rispose con grande distinzione:

      — A sera non mangio mai. — Egli non se ne curò più oltre, come del resto non si curò di Lucia che gli stava seduta accanto. Parlò più che con altri con Alfonso che la Lanucci gli aveva presentato quale impiegato della casa A. Maller e C.° e letterato. Una grandezza ingrandisce la casa ove abita.

      Rorli si mise a chiacchierare di letteratura e naturalmente di romanzi francesi. Era entusiasta di Alessandro Dumas e di Paul de Kock, ammirazioni che Alfonso aveva dimenticate. Fra’ due fece la peggior figura Alfonso, il quale aveva dichiarato di conoscere quella gente ma poi non aveva saputo dimostrare di conoscerne tutte le opere, compresi dei lavorucci che per la prima volta udiva nominare, mentre Rorli ne sapeva raccontare alla Lanucci, che ci si divertiva un mondo, tutto l’argomento.

      Era in fondo un grande ciarlatano che riportò l’ammirazione di tutti nonché di Alfonso, il quale, pur riconosciutolo ignorante, era rimasto impressionato da tanta facilità di parola. Poi fino a tarda ora, dalla sua stanza, udì le confabulazioni dei Lanucci e chiaramente che la vecchia dichiarava che il fabbricante molto le piaceva.

      Ma il Rorli non si fece più vedere. Aveva forse capito di che si trattasse e, invitato da Gustavo, si scusava e prometteva di venire e mancava. Gustavo però aveva ottenuto un trionfo e lungamente se ne vantò.

      Alfonso, tanto per darsi l’aspetto di occuparsene anche lui, portò seco un giorno Miceni sotto il pretesto di fargli vedere la sua stanza. Abituato a maggiore comodità ed eleganza, Miceni non seppe trattenere il riso dinanzi a quelle mura nude, quell’enorme letto di ferro e il tavolinetto di cui una delle quattro gambe era troppo corta.

      La signora Lanucci lo fece accomodare in tinello e gli presentò la figliuola ch’egli salutò seduto, con un leggero cenno del capo ma molto amichevolmente, avvezzo come era a trattare con le sartine.

      Fece però molti complimenti, ciarlò molto e di cose che alle donne piacciono. Persino ammirò il vestito di Lucia e lo paragonò a quello che aveva visto portato dalla signora Canciri, una delle più ricche signore del paese. Era un donnaiuolo per il quale ogni donna era desiderabile e ispirare un desiderio sempre una gioia.

      — Ho da trattenerlo a cena? — chiese la Lanucci con voce angosciata ad Alfonso vedendo che la seduta si prolungava di troppo.

      — Lo inviti! Non accetterà.

      La Lanucci con imbarazzo lo invitò avvertendo subito che la cena era modesta ma che dove c’era da mangiare per cinque ci sarebbe stato abbastanza per sei.

      Miceni rifiutò ringraziando, e comprendendo che la famigliuola era in procinto di sedersi a tavola prese commiato. Se ne andò accompagnato da Alfonso ch’era impaziente di sapere quale impressione avesse prodotto su lui Lucia. C’era da lusingarsi perché le aveva dimostrato tutt’altro che indifferenza.

      Sulle scale, buie e di legno fino al primo piano, Miceni si appoggiò confidenzialmente al braccio di Alfonso e gli chiese:

      — L’hai avuta?

      Alfonso indignato protestò.

      — Non adirarti. Se realmente non hai neppure provato è l’unica causa per cui non sei riuscito, e in questo caso devo confessare che sei anche più sciocco di quanto io non ti credessi. Una ragazza in quelle condizioni, posta accanto ad un giovine che vive in condizioni migliori, prima o poi gli si getta al collo, a meno ch’egli non accenni a respingerla.

      Non si poteva adirarsi e Alfonso vergognandosi si scusò:

      — Non mi piace!

      — Davvero? — chiese Miceni sorpreso. — Allora non mi resta che deplorare che il tuo gusto non sia meglio sviluppato.

      Ritornato in casa, Alfonso fu penosamente impressionato dalle buone parole che i Lanucci spendevano su Miceni. Anche Lucia diede a capire che non le era dispiaciuto. Alfonso la guardò indagando se fosse veramente tanto desiderabile come a Miceni era sembrata. Certamente non era più assolutamente brutta. Semisdraiata su una seggiola, la sua vita mostrava il profilo gentile, e la gonnella inamidata, gonfia, ingentiliva la sua magrezza.

      Una sera d’aprile, Alfonso uscì dalla casa di Annetta alle dieci e fuori trovò, freccia del Parto dell’inverno, un vento indemoniato sorto da poco più di un’ora. Fischiava per le vie deserte di città vecchia inviperendosi ove si restringevano. Ospite inaspettato, frantumava le lastre non assicurate, spazzava dai tetti tutto ciò che non vi era solidamente fermato o che non vi apparteneva. Alfonso aveva freddo, ma in quel diavoleto portava seco la felicità di un bacio rubato ad Annetta.

      Trovò la famiglia Lanucci ancora a cena con un nuovo ospite, certo Mario Gralli, proto in una tipografia. Era un giovane bruno, gli occhi piccolissimi, ma lo sguardo duro e fiero che lo qualificava furbo e tenace. Glielo presentarono con le solite parole, e Alfonso, poco lusingato di aver da fare la conoscenza di tutto il sobborgo, lo trattò con freddezza. Gralli si alzò per salutare e Alfonso ebbe qualche sorpresa di trovarlo più piccolo di quanto s’era aspettato al vederlo seduto. Era vestito accuratamente quantunque di stoffe rozze; il solino naturalmente giallognolo si adattava esattamente al collo e la cravatta frusta ma non sucida era annodata con una certa qual civetteria.

      Parlava poco e evidentemente mal volontieri. Gettava qua e là qualche monosillabo di risposta contentandosi poi di guardare in faccia chi gli parlava, fisso ma disattento. Non erano gl’imbarazzi di Alfonso, il quale sempre aveva voluto parlare e non aveva saputo, ma indifferenza di piacere. Se ne andò poco dopo la venuta di Alfonso, forse seccato dalla nuova faccia quando appena cominciava a sentirsi bene con gli altri. Quando si alzò, ad Alfonso parve ch’egli abbandonasse la mano di Lucia tenuta nelle sue sotto la tovaglia. Così presto tanto innanzi?

      Poi gli venne raccontato che Mario Gralli era veramente il primo candidato alla mano di Lucia. Era da qualche tempo intimo di Gustavo cui dava da guadagnare qualche poco facendolo incaricare della distribuzione di alcuni giornali agli abbonati, e a Gustavo l’impieguccio piaceva perché delle cinque o sei ore che passava in tipografia, di lavoro non ne aveva che una o due. Avendo da ciarlare per tante ore e facendogli difetto altri argomenti, Gustavo gli raccontò dei suoi propositi per l’avvenire della sorella e del desiderio che avevano in famiglia di vederla accasata al più presto. Un giorno, invitatane dal fratello, Lucia venne in tipografia a vedere le macchine. Era vestita bene come sempre e il Gralli subito ne parve preso. La condusse a vedere le singole macchine. Al loro passaggio gli operai facevano posto rispettosamente e se a Mario, in Lucia, per allora, più che altro era piaciuta la teletta, a Lucia Mario piacque al vederlo contornato di tanto rispetto. Fu proprio così che i due si trovarono.

      Il Gralli guadagnava molto e, contenta la figliuola, i genitori nulla potevano obbiettare. Del resto non erano stati interpellati, perché il Gralli aveva dichiarato a Gustavo di non poter formulare tanto presto la sua domanda ufficialmente, non prima di un anno. Direttamente coi genitori non ne parlò affatto, ma sempre a mezzo di Gustavo. Fece loro spiegare che nella sua posizione non era ancora abbastanza sicuro avendola ottenuta in seguito alla morte improvvisa di un suo capo e che non sapeva se gli sarebbe stata lasciata. Gustavo aggiunse di suo l’osservazione che non gli sarebbe sembrato decente d’insistere presso Mario acciocché facesse subito la domanda.

      Tutto questo venne raccontato ad Alfonso dalla signora Lanucci. La stessa sera, con aspetto lieto,

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