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non la cosa di cui aveva parlato.

      Eppure se anche agì in quell’esaltazione morbosa che per giornate intere lo faceva vivere in un sogno continuato, pure ebbe una freddezza di calcolo da persona che vuole sapendolo.

      Aveva atteso con impazienza che Francesca si assentasse, ma non gli bastava che lasciasse la biblioteca, bisognava che uscisse dalla casa. Era l’unica persona che potesse disturbarlo e voleva assicurarsene. S’era domato per più di una sera e aveva osservato, roso dall’impazienza, ogni movimento di Francesca che usciva di spesso ma per rientrare subito. Era costei che aveva fatto tutto, così egli pensò dopo. Giacché egli non sapeva essere freddo come ella aveva consigliato, ella lo aveva obbligato a certi limiti con la sua continua presenza e il contegno che così gli aveva imposto era già bastato a condurlo dove ella aveva voluto.

      Una sera capitò inaspettato. Avevano stabilito di non vedersi per quel giorno, ma dopo lunga lotta egli non aveva saputo rimanere lontano da quella casa. Le due donne avevano detto di voler uscire se il tempo fosse stato bello e da poche ore s’era offuscato; era quindi probabile che avevano dovuto rinunziare alla passeggiata.

      Sulle scale incontrò Francesca che usciva sola. Ella lo salutò con maggior cortesia del solito e, guardandolo negli occhi con quel suo sguardo scrutatore quando si degnava di fermarsi sulle cose, gli disse ch’era sorpresa di vederlo e con aria di franchezza gli chiese se Annetta, quando la sera prima li aveva lasciati soli, gli avesse detto di venire. L’interrogazione inaspettata imbarazzò Alfonso e non seppe cavarsela meglio che fingendo di non rammentarsi che con Annetta fosse stato stabilito di non vedersi per quel giorno. Così egli aveva fatto credere che Annetta ad insaputa di Francesca gli avesse dato un appuntamento.

      — Annetta l’attende in biblioteca, — disse Francesca più seccamente dacché aveva saputo quello che aveva ricercato, e continuò a scendere. — Fra mezz’ora sarò di ritorno, — disse ancora.

      Salendo, ad Alfonso tremavano le gambe. Avrebbe avuto l’energia di fare in mezz’ora quello che s’era proposto? L’azione in sé l’agitava meno che il vederla costretta in sì breve tempo.

      — Finalmente soli, una volta! — disse egli, e non appena entrato l’attirò a sé, ma senza violenza, come se avesse voluto salutarla, stringerle la mano.

      Ella poggiò la testa sul suo petto e con rimprovero dolce per la posizione da cui lo faceva, ma con serietà, disse con voce troppo soda e tranquilla per essere naturale: — Eravamo pur soli recentemente.

      — Mi scusi! — balbettò Alfonso. Egli non voleva commoversi di più e la baciava dolcemente sugli occhi, calcolando fin dove avrebbe potuto condurlo quell’abbandono di Annetta.

      La biblioteca non era illuminata che dalla lampada a petrolio sul tavolo e la sua luce, chiusa dal paralume, si proiettava tutta all’ingiù, in una larga macchia sul tavolo verde e in un fascio di luce che sfuggiva verso il pavimento. Si amava bene nell’austerità di quella stanza, in mezzo agli armadi neri e semplici e quella serietà dei libri che mostravano le schiene larghe con le cifre d’oro. Era una contraddizione che aguzzava maggiormente il desiderio di Alfonso. Alcuni grossi volumi legati senz’eleganza, forse raccolte di giornali, schierati in un canto emanavano un forte odore di colla.

      L’aveva lasciata e tenendola per mano l’aveva tratta fuori della luce. Vedendolo così tranquillo, ella non ebbe sospetti e sedette accanto a lui sull’ottomana. Così, uno accanto all’altra o anche abbracciati al medesimo posto, erano già stati altre volte. Egli provò dispiacere che per caso ella si fosse seduta ove lo schienale mancava. Ma anche là lo accompagnava la sua timidezza. L’abbracciò stretta piegandola per indietro. Voleva esaminare in qual modo ella avrebbe resistito e gli pareva di fare una timida ma chiara domanda; se Annetta non reagiva egli poteva riferirsi a quella domanda per scusarsi. Per vigliaccheria le chiese anche “Sì...?” ma a voce tanto debole che non poteva sapere se ella avesse udito. E non fu la parola che avvisò Annetta del pericolo che correva. Ella pregò e minacciò ma con voce dolce e si difese, ma le braccia puntellate mollemente sul suo petto non impedivano nulla. Egli però non s’era atteso a resistenze e per deboli che fossero lo irritarono. La costrinse bruscamente, frettoloso e brutale, e in apparenza almeno fu un tradimento, un furto.

      Ritornando in sé percepì di nuovo l’odore intenso di colla che regnava in quella stanza ove gli sembrava di ritornare dopo una lunga assenza. Ella disse le prime parole: — Mio Dio, che cosa abbiamo fatto? — La sua era sorpresa e disperazione. Guardava gli oggetti intorno a sé come se avesse sperato ch’essi la richiamassero da quello che sperava un sogno. Il disordine nelle sue vesti, cui appena allora cercò di riparare, le diede la certezza ch’era perfettamente in sé. Si rialzò non senza dignità; chiamava in aiuto tutte le sue forze, ma non che un riparo non trovava neppure un contegno che le fosse piaciuto di seguire. Si padroneggiò e muta si asciugò le lagrime e si avvicinò al tavolo allontanandosi da lui.

      Egli comprese ch’era suo dovere cercare di consolarla. Le si avvicinò e la baciò sulla fronte. Era un dovere e all’infuori di quell’atto altro egli non trovava. Che cosa doveva dire?

      Ella lo lasciava fare, ma il dolore la vinse di nuovo, pianse ancora una volta e ripeté la sua frase disperata. Non gli disse una sola parola di rimprovero, e ciò provava che relativamente alle circostanze la sua freddezza era abbastanza grande. A lui nulla aveva da rimproverare perché egli aveva fatto quello a cui egli mirava da lungo tempo e ch’ella sapeva essere il suo scopo.

      Alfonso ritrovò finalmente la parola. Le disse di amarla. Per quel bacio avrebbe dato la vita e non poteva quindi pentirsi della sua azione.

      Pur lasciandosi abbracciare ella gridò:

      — Sì, ma non ci vedremo più, mai più!

      Fu allora che per un piccolissimo intervallo di tempo la sua lucida mente si offuscò. Non comprendeva che il passo fatto era irrevocabile e pareva credere potesse venir cancellato da quella sua risoluzione.

      — Come vorrà! — gridò Alfonso ingenuamente.

      Con quella fanciulla che piangeva si sentiva male e se non avesse temuto di spiacerle se ne sarebbe andato subito e magari promettendo di non ritornare mai più. Provava sorpresa al sentirsi così calmo e lontano dal desiderio che dieci minuti prima lo aveva condotto ad un’azione tanto arrischiata.

      Venne Francesca e poté subito comprendere quello ch’era avvenuto perché Annetta non era ancora al caso di celarlo né degnava di provarvisi. Aveva gli occhi rossi dal pianto e guardava con ostinazione nel vuoto; si costringeva a riflessione intensa. Dal canto suo, Francesca non chiese nulla e non diede occasione a bugie. Alfonso imbarazzato volle andarsene. Francesca lo salutò con una stretta di mano e un inchino amichevole e anche rispettoso. “Onore al merito!” sembrava gli dicesse.

      Sul pianerottolo egli fu trattenuto da Annetta che con improvvisa risoluzione gli era corsa dietro.

      — Qui, qui, — ella gli disse duramente, — ho da parlarle.

      Certo il suono della sua voce non rivelava che ella con quelle parole lo invitava a una notte d’amore ed egli comprese che fino ad allora ella non ne aveva avuto l’intenzione. Nella perfetta oscurità, immobile nel mezzo della stanza, non avendo neppure il coraggio di sedersi per la tema di far rumore, egli venne assalito dai più strani pensieri. Gli si preparava un bel divertimento, le scene di una ragazza pentita; si propose di sopportare tutto con rassegnazione. Sapeva di meritate tutti i rimproveri che Annetta avesse potuto fargli.

      Invece ella venne a lui e i suoi occhi non portavano più alcuna traccia delle lagrime sparse. S’era fermata alla porta con l’indice sulle labbra ascoltando se sul corridoio nulla si movesse, sorridente come un fanciullo che per gioco si nasconda a qualcuno, ed era bastato di vederla così per togliere ad Alfonso ogni timore. Aveva già compreso; un’altra volta in lei i sensi l’avevano vinta.

      Fu per lui un’amante compiacente e appassionata. Gli chiese perdono delle parole brusche che poco prima aveva pronunziate.

      — Senza dubbio le pensavo, ma riconosco di aver pensato scioccamente.

      Senza

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