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s’era trovata in dovere di dirgli una parola gentile! C’era tale differenza fra l’importanza dei due fatti, ch’egli si vergognava di aver sparso quelle lagrime. Una donna che avesse provato un briciolo di affetto per lui avrebbe pianto con lui.

      Era una bella serata dall’aria fredda ma calma e un cielo fosco con poche stelle. Egli rimase a lungo sulla via sentendosi incapace di trovar quiete in una stanza. Per la seconda volta ebbe il desiderio di rompere la sua relazione con Annetta e sempre per lo sconforto che lo invadeva, quando nella grande amicizia da essa dimostratagli trapelava l’immensa sua freddezza e indifferenza. Erano sorprese dolorose che lo scotevano dal vivere inerte più in un’abitudine che in un’idea o in uno scopo, e analizzava allora questo scopo, sorpreso di non esser vissuto più conformemente ad esso oppure di vederlo sotto tutt’altra luce, di trovarsi altrettanto lontano dal raggiungerlo quanto prima gli era sembrato di esserci vicino. Era una passione invincibile la sua da esporsi a tanti affanni per soddisfarla? Neppure al principio della sua relazione con Annetta aveva sentito tanto chiaramente che il suo amore era stato aumentato dalle ricchezze che circondavano Annetta, una specie di adornamento che abbelliva la bella figura come la legatura un diamante. Se ne rammentava ancora! Prima di conoscere la grazia e la bellezza di Annetta, lo aveva agitato, commosso il saperla figliuola di Maller, ed era stato da quell’agitazione e da quella commozione ch’era nato il sentimento ch’egli chiamava amore.

      Ma a quale scopo tale analisi? Egli s’era accorto della differenza che correva fra il suo modo di sentire e quello di coloro che lo contornavano e credeva consistesse nel prendere lui con troppa serietà le cose della vita. Quella era la sua sventura! Valeva la pena di arrovellarsi a quel modo per trovare un’uscita da un viluppo che naturalmente doveva svolgersi da sé? Se Annetta lo amava, egli aveva, è ben vero, molto da guadagnare, la sua vita ne sarebbe stata mutata; se non lo amava, nulla aveva da perdere.

      Volle essere calmo, ma naturalmente i ragionamenti non lo liberarono né dai dubbi né dall’agitazione. Servirono a non fargli prendere risoluzioni alle quali lo avrebbe portato il suo carattere tanto turbato nelle situazioni esitanti, indecise, e lo salvarono dall’analisi dei propri istinti e del proprio carattere. Lo faceva soffrire il conoscersi.

      Il giorno appresso s’imbatté sul Corso in Macario che correva verso il mare. Non si vedevano da più settimane. Macario ebbe la gentilezza di darne la colpa ad Alfonso:

      — È tanto occupato del romanzo — gli chiese — che non è più possibile vederla?

      Era la prima volta che Macario gli parlasse del romanzo e quel suo tono amichevolmente scherzoso diede una sorpresa aggradevole ad Alfonso. Fu di nuovo il buon amico cui piaceva tanto istruire Alfonso, il quale dal canto suo fece del suo meglio, ma invano, per riavere quel suo aspetto sommesso d’altre volte. Non sapeva più trattenere la parola che gli veniva spontanea a completare o rettificare le idee di Macario. Macario lo invitò a una gita in mare e Alfonso dovette rifiutare perché era vicina l’ora in cui gli toccava essere in ufficio. Lo accompagnò per un pezzo verso il molo.

      Macario salutò una signora che non doveva essere di prima gioventù, grassa e greve ma ancora elegante.

      — Ecco una signora — disse — della quale, a quanto si dice, si può divenire l’amante con facilità, e non sarebbe mica poco piacevole. — Da questa osservazione passò a ragionare ad Alfonso della seduzione in generale. — Per saper prendere una donna che vuole darsi ci vuol poco, ma già tanto che la persona più astuta non ci arriva. Bisogna sapere il quando, perché anche una donna che vuole non vuole sempre, e saputo questo quando, bisogna saper attaccare prontamente, cosa anche meno facile, perché per tale specie di risoluzione ci vuole più nervi che ad un generale per dirigere una battaglia. La risoluzione non diviene più facile per quanto si sappia di essere atteso e quindi sicuramente vittorioso. Con le donne indecise poi, alle quali bisogna apportare una convinzione e toglierne un’altra, è cosa tanto difficile che io che pur so fare non mi ci sono mai messo. Sono però convinto che anche là si tratta più di agire che di parlare. Parlare prima, molto tempo prima, ma i discorsi non portano nessuna donna al passo senza rimedio. Con le donne bisogna saper agire. Baciare per esempio, baciare una mano, un volto, un collo, un piede magari, quello ch’è più vicino. I buoni parlatori non sono mai fortunati con le donne.

      Sembrava fatta per lui quella predica, ma andando all’ufficio Alfonso rideva. Aveva sognato di aver preso sul serio i consigli di Macario e di aver agito con Annetta. Vedeva la bianca mano alzarsi minacciosamente e terminare la scena col suono di uno schiaffo. Macario aveva forse anche sperato che i suoi consigli venissero seguiti e Alfonso lo sospettava capace di tanto. Tanto meglio! Quella specie di agguato che Macario gli aveva teso diventava per lui un avvertimento.

      Ebbe ben presto l’occasione di ripensare al consiglio di Macario. Una sera Francesca li lasciò soli, Annetta scriveva calma con la sua bella scrittura minuta ma a tratti decisi; teneva il braccio sinistro teso sul tavolo sul quale poggiava il petto, e la sua mano arrivava proprio sotto alla bocca di Alfonso. Era impossibile non pensare all’atto consigliato da Macario e Alfonso fremette accorgendosi che i peli del suo mento già avevano toccata quella mano e che non perciò veniva ritirata. Si ricordò che Macario aveva dichiarato che un uomo diveniva ridicolo agli occhi di una donna già pel fatto di arrischiate meno di quanto ella desiderasse. La decisione non era presa ch’egli per un movimento quasi involontario aveva poggiato le sue labbra su quella mano. Sentì il contatto di quella carne vellutata e se ne rammentò più tardi; per allora, spaventato del proprio ardire, non sapendo come riparare, tentava di prendere l’aspetto indifferente come un bambino quando vuole che di una propria cattiveria venga data la colpa ad altri. Il fulmine temuto non cadde! Egli vide che il volto di Annetta aveva cambiato colore e che la penna s’era fermata sulla carta. Forse Annetta rimase indecisa sul contegno da prendere. La mano si ritirò lentamente con movimento naturale come se ella ne avesse avuto bisogno per poggiarvi il capo. Un minuto circa durò il silenzio, un secolo per Alfonso. Finalmente ella parlò e non del bacio. Gli parlò con disinvoltura, guardandolo più volte sorridente e amichevole.

      Egli era salvo! Più che salvo, felice! La dichiarazione era fatta! Almeno ella doveva ora sapere che non si trovava più dinanzi l’impiegato, né il letterato.

      Quando egli soffriva per una parola fredda oppure per gelosia, poteva sperare ch’ella qualche cosa ne indovinasse. Voleva essere modesto, non dare altro significato al silenzio di Annetta che di una mite indulgenza, ma ne era già felice. Così si cominciava appena, ma il passo fatto era gigantesco. Per quella sera non ebbe dubbi. Egli amava Annetta e la voleva sua. Era bensì la via che aveva battuto per arrivare alla ricchezza, ma allora egli non ne sapeva nulla. Un sorriso di Annetta era la felicità! Gli era stato domandato un atto e la sua dichiarazione era stata un atto ardito ma non brutale: dolce, rispettoso anche più di quanto avrebbe potuto esser la parola.

      Per parecchie sere, Francesca rimase presente alle loro sedute e ad Alfonso non dispiacque. Con gli occhi parlava ora: il linguaggio degli occhi è come quello della musica; non concreta nulla quando non c’è la parola, ma quando c’è o c’è stata dice meglio e più che la parola stessa. Non erano sguardi arditi, ed egli né cercava più di scoprire una linea frugando con occhio indiscreto in quelle vesti morbide, né stringendole la mano accarezzava per soddisfarsi nel contatto. Quella dichiarazione, quell’uscita dal desiderio solitario aveva fortificato il suo amore, gli aveva fatto respirare aria pura. Egli non avrebbe però saputo dare un’appendice in parole a quel bacio.

      Una sera, erano in biblioteca, Francesca nel bel mezzo della seduta si allontanò sulle punte dei piedi per non disturbarli. La sua assenza durò un quarto d’ora e quando ritornò li trovò al punto a cui li aveva lasciati. Alla sua uscita Alfonso era trasalito credendo, sempre secondo quanto gli aveva predicato Macario, di essere ora obbligato a dire qualche cosa. Rimuginò alcune ideuccie, ma Annetta gl’impedì di dirle parlandogli con tutta tranquillità del romanzo. Ella dunque nulla attendeva ed era bene non fare cosa da lei non prevista. Tacque dunque; la sua posizione era già bella ed egli altro non sapeva desiderare per il momento. Non parlava di amore, ma tutto quanto egli diceva ad Annetta veniva alterato dal suo sentimento. Se non faceva altro che dichiarazioni d’amore! Quando parlava ad Annetta, in modo ben diverso da Macario, accennava al sottinteso che c’era in ogni sua parola col suo sorriso

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