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unicamente perché alla mattina del mercoledì Macario passando gli aveva gridato:

      — A questa sera, eh!

      Gli otto giorni gli erano sembrati lunghissimi, un intervallo di tempo pieno di avventure, mentre nella sua vita realmente nulla era avvenuto. Aveva pensato soltanto di aver già portato a compimento il suo proposito e sognato mille conseguenze da qualche suo atto energico. Poi s’era trovato libero di ritornare indietro o meglio di rimanere dove era e ne era stato felice. Quegli otto giorni gli rammentarono la sua avventura con Maria. Questa volta il caso e nient’altro gli aveva impedito di fare qualche passo inconsiderato che avrebbe rotto la sua relazione con Annetta. Se l’avesse rotta, che cosa gli sarebbe rimasto? Sarebbe ridivenuto l’umile impiegatuccio di Maller e alle sue ire niuno avrebbe badato.

      Si presentò in casa di Annetta una mezz’ora prima del solito e fu premiato della sua risoluzione perché per la prima volta trovò Annetta sola. Tutti s’erano fatti scusare, meno Macario ch’era ancora atteso. Annetta disse che supponeva non avessero saputo rinunziare ad una festa cittadina e dimostrò la sua gratitudine ad Alfonso dicendogli con dolcezza ch’era lui ad aver torto d’essere venuto a chiudersi in una stanza melanconica.

      — Melanconica, no, certo no! — assicurò Alfonso guardandola arditamente.

      Se ella non avesse mai saputo di essere bella, l’occhiata di Alfonso sarebbe bastata ad apprenderglielo. Egli confessò candidamente ch’era la prima parola che udiva di una festa cittadina per quel giorno.

      — Tanto solitario vive? — chiese Annetta sorpresa.

      S’erano seduti sul canapè accanto alla finestra, il luogo più illuminato della stanza. Attraverso ai pesanti cortinaggi entravano vieppiù mitigati i colori del tramonto.

      Nella contrada parallela alla via dei Forni passava la banda cittadina. Non si udivano che le note dell’accompagnamento e il rombare della grancassa. Stavano zitti a udire.

      — Chissà che cosa suonano? — disse Annetta e spalancò la finestra. La brezza gonfiò i cortinaggi e il suono acuto di una trombetta portò la melodia che era mancata.

      Udirono anche per un istante il susurrio della gente dietro alla banda.

      Ridendo Annetta volse la faccia ad Alfonso rimanendo piegata sul davanzale:

      — Che fra questa gente vi sieno anche i nostri serî amici?

      Dalla luce ove ella era, non poteva scorgere nella penombra Alfonso che l’ammirava senza ritegno.

      Anche il mezzo lutto, il grigio era scomparso. Era vestita di bianco di lana molle e un cordone nero alla vita. Ad onta del loro sviluppo, le forme di Annetta erano molto caste, virginali, con quella schiena rigida, incavata verso il collo, e la faccia bianca con i tratti marcati dell’intelligenza e dell’attività.

      Gli disse di venire anche lui alla finestra ove si respirava molto bene quella brezza nella quale s’era mutata la bora violenta della settimana prima.

      La via era quasi deserta e soltanto su una cantonata c’era un gruppo di persone che guardava all’altra strada.

      — Mi verrebbe quasi quasi voglia di andarci anch’io, — disse Annetta.

      Alfonso era tutto intento a percepire il contatto del suo braccio su quello di Annetta, stuzzicando come al solito il suo desiderio; fece un movimento arrischiato per aumentare la dolce pressione e fu il suo ardire che gli cacciò il sangue alla testa non il contatto col braccio di Annetta poiché nulla aveva di differente da quello di un corpo senza vita.

      Probabilmente Annetta non s’era accorta del suo ardire. Dapprima furono impacciati perché erano vissuti troppo poco insieme per poter trovare con facilità un argomento che ugualmente li interessasse. Quando però l’argomento fu trovato, per la prima volta in quella stanza, la voce di Alfonso echeggiò tranquilla, sonora, e per la prima volta Annetta udì sue frasi compiute. Se non sapeva discorrere con più persone, Alfonso almeno sapeva dialogare.

      Sorridendo Annetta gli aveva chiesto:

      — E la sua nostalgia? Me ne hanno parlato molto!

      — Non esiste più! — rispose Alfonso.

      La voce a sua sorpresa era soda, tranquilla. Quella prima frase rimase però ancora mozza perché egli avrebbe voluto fare un complimento e dire che in quel preciso momento non esisteva. Tutta la sua disinvoltura non bastava a fargli dire cosa ardita; piuttosto avrebbe potuto permettergli di farla.

      Una delle affettazioni di Annetta dacché s’era data alla letteratura si era di far mostra di pigliar interesse a tutto e di voler conoscere i moventi di ogni cosa. Gli chiese di spiegargli che cosa fosse la nostalgia.

      — È difficile! — cominciò Alfonso — ma qualche cosa credo di poterne dire.

      Raccontò che prima di tutto era una malattia organica perché soffrivano i polmoni per la differenza dell’aria, lo stomaco per la differenza dei cibi, i piedi per la differenza del selciato. Quello che però rinunziava a descrivere era l’intensità del desiderio di rivedere i luoghi che si erano abbandonati, un muro nero, una via tortuosa col canale nel mezzo, infine una stanza incomoda mal riparata dalle intemperie; e non si poteva descrivere l’aborrimento per il palazzo in cui si abitava, alludeva a quello della banca, la via grande, spaziosa, e persino il mare:

      — In quanto alle persone poi... è la stessa cosa.

      — E me odiava molto?

      — Odiarla no! ma avrei voluto essere molto lontano da lei, tanto lontano da essere a casa mia, e non soltanto per essere là, ma anche per non essere qui.

      Temette che quel passato che descriveva con sincerità non sembrasse abbastanza passato e aggiunse delle spiegazioni. Egli odiava tutte le persone che si credeva obbligato di trattare in un dato modo; gli piaceva la libertà, e anche quelli che non erano suoi pari voleva poter trattare come tali.

      Ah! era così bello parlare da pari a pari con Annetta. Sentiva la dolcezza di confidarsi a lei con libertà come se monologasse e questa dolcezza diede colore alla sua parola che, per quanto impacciata, fino ad allora era stata da letterato, ricercata e fredda.

      Annetta lo ascoltava sorpresa. Quel giovane sapeva dunque anche parlare oltre che studiare?

      Ella gli spiegò che quando si desiderava qualche cosa nella vita bisognava sapersela conquistare. Alfonso riconobbe l’idea dominante di Macario.

      — Non è difficile di conquistare la mia amicizia. È la prima volta che parla con me. Non se ne sarà accorto, ma è quasi sempre muto. Non era poi mio ufficio di farla parlare.

      Rise togliendo così alle sue parole tutto ciò che avrebbero potuto avere di offensivo. Anche Alfonso rise trovando comico quell’uomo che attendeva di venir fatto parlare.

      Furono queste le prime idee che diedero ad Annetta l’intenzione di fare un romanzo insieme. Quel caratterino che le si rivelava con tale ingenuità le sembrò meritevole di venir descritto. Disse con semplicità quale fosse la prima idea venutale improvvisamente, ed era certamente migliore delle modificazioni posteriori.

      — C’era una volta un giovinetto che venne da un villaggio in una città e il quale s’era fatto delle idee ben strane sui costumi della città. Trovandoli in fatti differenti da quanto aveva ideato si rammaricò. Poi ci metteremo un amore. Ella è stato talvolta innamorato?

      — Io... — e unicamente per la paura gli batté più forte il cuore.

      Aveva avuto l’intenzione di fare una dichiarazione.

      Annetta fece accendere da Santo il gas e Alfonso fu nello stesso tempo abbacinato dalla luce e messo in istato di misurare quanto falso fosse il passo ch’egli stava per fare. Annetta era sempre la stessa; dava seccamente degli ordini a Santo il quale, e c’era da meravigliarsene, li eseguiva muto.

      Ella lo fece sedere al tavolo.

      — Ci occorrerebbe penna e calamaio... ma preferisco affidarmi

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