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ed ho trovato che tutte erano fatte secondo la stessa ricetta: L’orso domato. Fa poco che l’orso sia uomo o donna, bisogna che venga domato per forza di amore.

      Anche Alfonso dovette convenire che gli era già accaduto di commuoversi su lavori siffatti, commozione però che mai non aveva diminuito il suo disprezzo per il lavoro e per l’autore. Non era però il momento di far mostra di tale disprezzo. Giammai Annetta non gli era piaciuta tanto. China a scrivere, i capelli bruni, lisci, ravviati semplicemente, nella mano leggiadra la penna, la vedeva per la prima volta del tutto dimentica della sua bellezza, noncurante di piacere o meno, le labbra chiuse e la fronte increspata, la testa nobile in nobile atteggiamento.

      Tutto accettò Alfonso. Con rapidità fenomenale ella aveva steso l’indicazione in succinto del contenuto dei primi dieci capitoli, poi, in due parole, l’idea generale degli altri. Egli non vi scorgeva né una posizione né un’idea originale, ma dinanzi al primo entusiasmo di Annetta ogni più piccolo dubbio sarebbe sembrato offensivo. Del resto gli sarebbe sembrato prematuro di dare dei giudizii; l’esecuzione poteva migliorare il soggetto.

      Quando si trovò solo dinanzi al lavoro che s’era obbligato di fare ne sentì anche più fortemente la volgarità. L’orso era di genere femminino questa volta. Annetta aveva proposto il romanzo di una giovine nobile che per essere stata tradita da un duca, nella prima ira, acconsente di sposare un ricco industriale. Non lo ama però e lo tratta con disprezzo. La virtù e l’alterezza dell’industriale, un brav’uomo di una robustezza di muscoli grande quanto la mitezza del suo carattere, finiscono col trionfare dell’avversione della moglie e i due vivono felicemente insieme per lunghi e lunghi anni. Nell’abbozzo di Annetta erano segnate delle “scene” là dove le sembrava di avere dei punti di grande effetto, e così somigliava anche maggiormente all’abbozzo di una commedia, la commedia di ogni sera.

      Però il primo capitolo quantunque saltasse a piè pari in argomento, perché Annetta diceva che le lunghe preparazioni annoiano il pubblico, era indicato con parole tanto poco precise che Alfonso poté farne un capitolo di suo gusto.

      “Clara, una contessina, apprende che il duca sposa la figliuola di un bottegaio; sua disperazione.” Bisognava raccontare i precedenti di tale situazione ed era quindi un altro romanzo in cui Alfonso aveva la mano libera. In poche parole espose lo stato d’animo della madre che riceve l’annuncio del matrimonio del duca e ne dà comunicazione alla figlia non sapendo quale tempesta tale notizia debba sollevare nel cuore della povera fanciulla, la quale sopporta il colpo con dignità e si sfoga soltanto quando si ritrova sola nella sua stanza. Là però, oltre che sfogarsi, pensa con dolore ai tempi passati, alla prima fanciullezza trascorsa col duca ch’era suo cugino, un bambino feroce che spesso l’aveva battuta ma che se ne era fatto amare. E giù una descrizione che ad Alfonso sembrò riuscita, dolce come un idillio. Erano brevi tocchi come se l’autore fosse stato persona che per altre gravi preoccupazioni non avesse saputo rivolgere tutta la sua attenzione al racconto e avesse lasciato correre la penna sulla carta, dandole ad ogni tratto la direzione e non inquietandosi di troppo se presto l’abbandonava. Egli sapeva che a questo modo tutto il romanzo non poteva venir condotto, ma intanto il capitolo era fatto.

      Lo consegnò ad Annetta il mercoledì e Annetta raccontò a tutta la compagnia del lavoro ch’ella ed Alfonso imprendevano a fare. Spiegò poi a Spalati e a Prarchi perché non avesse scelto loro invece di Alfonso. Al primo disse che non lo aveva scelto perché col proprio professore si lavorava timidamente; aveva escluso Prarchi invece perché troppo risolutamente verista. Prarchi asserì ch’era meno verista di quanto egli stesso si dicesse e che per l’occasione avrebbe saputo sacrificare tutto quello che nelle sue opinioni vi fosse stato di esagerato. Parlò seriamente, proprio come se fosse stato ancora in tempo di convincere Annetta a recedere dalla sua risoluzione. Poi si mise a ridere:

      — Per l’occasione sarei stato capace di collaborare ad un romanzo del tutto romantico.

      Alfonso notò questo detto come un avvertimento per lui.

      Fumigi accompagnò Alfonso per un tratto di via. S’informava con timidezza sul loro modo di lavorare e sembrava s’interessasse molto all’argomento del romanzo, ma quando affettando indifferenza e guardando altrove chiese quante volte alla settimana si trovassero insieme, Alfonso provò la stessa sorpresa che gli aveva dato lo sbadiglio di Macario:

      — Sono dunque tutti innamorati di Annetta?

      Come erano rimasti d’accordo, andò da Annetta la sera dopo. La trovò in biblioteca che scriveva. Vedendolo fece un movimento d’impazienza soddisfatta. Poi però spinse in disparte il manoscritto e cercò di parlare d’altro, del tempo meravigliosamente mite per quella stagione. Alfonso, che non conosceva alcun motivo ad esitazioni, con un sorriso che domandava compatimento le chiese come le fosse piaciuto il suo capitolo. Era già poco lusinghiero ch’ella per prima non ne avesse intavolato il discorso.

      — Non mi piacque! — gli disse Annetta guardandolo amichevolmente in modo da attenuare la crudezza della sua frase. — È bello di certo, ne riconosco i pregi, ma è grigio.

      Gli raccontò che s’era messa a correggerlo ma che non le era riuscito, e che risolutamente aveva dovuto rifarlo perché doveva confessare che neppure allora sapeva per bene che cosa a quel capitolo mancasse.

      — È fatto tutto di un pezzo!

      Con questa espressione critica si entusiasmò perché sapeva che le cose fatte tutte di un pezzo meritavano lode, e ad Alfonso il cuore batté più leggiero.

      — È però grigio, molto grigio. Chi vuole che legga volentieri queste filze di pensieri senza interruzione e senza ornamento? E poi ella racconta troppo poco; descrive continuamente anche quando crede di raccontare. Con questa premessa come faremo noi a andare avanti? C’è descrizione per mille parole e racconto per una, mentre era preferibile che fosse viceversa. Era più importante di esporre la base del romanzo, le prime idee di Clara al matrimonio con quell’industriale e il vecchio amore di costui per essa, che di descrivere quel salotto che il lettore non ha più da rivedere e dare tanti particolari sull’infanzia di Clara.

      Gli lesse il suo lavoro. Evidentemente per un gentile riguardo, qualche parola, qualche frase di Alfonso era conservata, ma parole e frasi tanto poco importanti ch’egli non seppe essergliene grato; precisamente quelle parti di cui più gli sarebbe importato non avevano trovato grazia.

      Finito di leggere, Annetta lo guardò in attesa di un entusiastica approvazione, mentre ad Alfonso con grande sforzo riuscì di mormorare una lode che fu troppo fredda. La diminuì ancora, perché non sapendo nascondere il dispiacere di aver lavorato tanto, inutilmente e non trovando prontamente una via per dare sfogo a questo dispiacere senza offendere Annetta, quando gli sembrò di averla trovata la batté risolutamente non curandosi di esaminare prima dove andasse a finire. Non parlò del lavoro proprio o di Annetta in concreto, ma dopo aver detto che infatti quello di Annetta doveva piacere di più, attaccò le teorie, i propositi di Annetta. Era verissimo che con quelle teorie si sarebbe arrivati al successo, ma negava che valesse la pena di sagrificare ogni superiore scopo artistico a questa fame di un successo effimero.

      — Scusi! — lo interruppe Francesca che zitta fino ad allora sembrava non seguisse il filo del discorso, — dal suo volto mi è sembrato di capire che il lavoro di Annetta non le sia dispiaciuto. Non dovrebbe quindi essere antiartistico nel modo che ella dice.

      Ad Alfonso sembrò che Francesca accompagnasse la sua frase di un’occhiata che voleva forse invitarlo all’assenso e ne fu tanto sorpreso che non seppe subito distogliere lo sguardo da lei. Aveva collaborato anche Francesca a quel capitolo che lo difendeva? Era ora troppo chiaro che gli veniva imposto di ammirarlo ed egli con la buona grazia che seppe vi si adattò. Disse che il capitolo gli era piaciuto, che combatteva soltanto la massima. Il capitolo invece gli era sembrato brutto, nudo, declamatorio, e lo umiliò di essere costretto a fare quella dichiarazione esplicita; aveva abdicato al diritto di dire la sua opinione. Ebbe la meraviglia di vedere come Annetta non avesse alcun dubbio sulla sincerità della sua dichiarazione. Era dunque stabilito, ella gli disse, quel capitolo rimaneva intatto e per gli altri capitoli si sarebbe andati d’accordo nel modo istesso.

      E infatti nel modo

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