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ceda ad altri, che mi separi da te… No, no! Maledizione! guai a chi s’interponesse fra noi!

      E Roberto singhiozzava come un fanciullo.

      Avrebbe destato commozione in chiunque veder piangere in tal modo quell’uomo sì forte, sì prestante, sì altero.

      Enrica stropicciava le foglie rosee, che cadevano da’ fiori di un albero sul suo abito bianco.

      Essa le distruggeva indifferente, come distruggeva le rosee illusioni di Roberto.

      – Ritorno – continuava Roberto – dopo un lungo viaggio: cerco parlarti: tu ti presenti come una padrona, come una signora dinanzi al suo servo, non come una sposa innanzi all’uomo che ha davanti a Dio su di lei il massimo tra i diritti.... Poichè il padrone qui sono io! – disse Roberto in uno de’ suoi impeti selvaggi, – e accerchiandole il collo, la accostò a sè, con una stretta di ferro, di quelle che Enrica già conosceva, e la baciò lungamente, da vero padrone di lei, sulle labbra.

      Essa tremava: era divenuta in volto bianca come il suo abito: quel bacio di fuoco l’avea subito richiamata ad altre sensazioni e altre idee: ma incontanente il suo orgoglio le attuti.

      – Dianzi ho cercato abbracciarti… – insisteva Roberto, -, e tu mi hai sfuggito, e vuoi ch’io sia calmo!

      La scena andava troppo in lungo.

      Enrica cominciava ad esser inquieta: non sapea più come tener a bada quell’innamorato sì pieno di foga.

      Giungevano fino a loro i suoni e le grida di coloro che pigliavan parte alla festa nel parco: ma verso quel punto, com’abbiamo detto, nessuno mai si avvicinava.

      A’ loro piedi s’inabissava il precipizio, mugghiava il mare.

      Enrica avea preparato un tranello, degno del suo animo raffinatamente perverso, e ora trepidava un poco sulla riuscita di esso.

      Ella avea detto, con diabolica perfidia, al suo corteggiatore, il conte di Squirace, che, a una cert’ora, ella sarebbe stata presso il ponte che traversava il precipizio.

      – Oh! – avea esclamato il bellimbusto, e avea fatto intendere che ve l’avrebbe presto raggiunta.

      Il vanaglorioso credeva ad un convegno d’amore. Enrica gli aveva insinuato:

      – Se, per caso, io parlassi con altra persona, non vi mostrate: nascondetevi in uno de’ boschetti: però, se vi accorgeste che io avessi bisogno di aiuto, accorrete a difendermi....

      Vedrà il lettore qual era il terribile disegno di Enrica e di quali risoluzioni ella avesse l’animo capace.

      In fatti, il conte si avvicinava, tutto baldanzoso: uno scudiscio in mano: una gardenia all’occhiello.

      Udì la voce di Roberto, e si nascose, com’Enrica gli aveva indicato.

      Roberto si era inginocchiato dinanzi alla giovane e le diceva:

      – Un’altra cosa mi ha colpito: il trovarti così accasciata, così disfatta. Qual è il motivo?… Che cosa ha logorato una parte della tua floridezza?

      Enrica mostrava che quelle osservazioni la annoiassero.

      – Ma tu sei sempre bella, anche così, – aggiunse l’innamorato, che l’attirava a sè, le premea la vita, i ginocchi: e lo invadeva un fremito al sentire, sotto l’abito leggerissimo indossato da Enrica, non ostante il pallore e la stanchezza del volto, molto più della sua floridezza ch’egli non avrebbe pensato.

      – Però vorrei sapere il motivo perchè sei sì affranta e sì debole… – continuava.

      Enrica cercava allontanarlo da sè: e finalmente gli disse, tanto per guadagnar tempo, e perchè realmente ciò voleva, in estremo, alla disperata, se altro partito non riuscisse:

      – Ecco qual è il mio pensiero. Tu devi ripartir subito… e per un lungo viaggio. Fa di star lontano ancora da questi luoghi tre, quattro anni, di crescere in grado, in fortuna.... Io aspetterò.... Lascia che si parli di te, di ciò che farai: mio padre ne avrà certo compiacenza. Egli, se può esser rigoroso, intrattabile su certi punti, è poi abituato a considerare tutti i suoi servitori come della sua famiglia… – aggiunse con qualche sprezzo. – E chi sa non perdoni, quando la sua collera abbia anni per raffreddarsi.

      Non stiamo a dire se Roberto fosse turbato.

      – Io sono già tua sposa dinanzi a Dio, – continuò la dissimulatrice, – lo sarò un giorno dinanzi a tutti.... In questi anni saprò trovar un momento propizio per parlar a mio padre; mi getterò a’ suoi piedi: gli racconterò ciò che fu: ch’io ti scelsi, non già che tu mi prendesti a forza....

      – Basta, Enrica, – esclamò Roberto con voce concitata, vibrante di rabbia, di passione, di disgusto. – Ho tutto capito in un istante.... Tu sei una traditrice....

      E i suoi occhi corruscavano: e le sue mani or si accostavan verso Enrica, or egli le ritraeva come inorridito.

      – Tu vuoi perdermi: tu speri che in tre, quattro anni, io, che esco ora per miracolo da un naufragio, possa lasciar la vita.... Oh!…

      E, scorgendo che Enrica non faceva alcun energico segno di diniego:

      – Creatura perversa, – continuò, – sento che tu farai la rovina di me e de’ miei.... E l’ho più volte sentito nella mia solitudine.... Già, fin dal principio, fin da’ giorni delle nostre ebbrezze, la tua bellezza, la tua avidità del piacere, la crudeltà che avevi spiegato contro di me, mi facevan paura....

      Avea i capelli irti, il sudore gli grondava dalla fronte, si muoveva com’un uomo che non sa più dominarsi.

      – Senti, – disse, prendendo Enrica per le mani e costringendola ad alzarsi, – io potrei farti cadere in ginocchio: poichè tu sei qui davanti al tuo vero signore: all’uomo che ti ha posseduta e che ti vuole possedere per sempre.... Ciò è irrevocabile!… Non ho più la mia ragione: tu me l’hai tolta: sono in preda a una vertigine tremenda.... Nella mia famiglia abbiamo nelle vene le fiamme del vulcano: e, in questo punto, vedi, mi salgono al cervello.... Io ti faccio ormai due proposte: le uniche ch’io possa e voglia farti nell’estremo cui siamo giunti: o tu ti risolvi a partir subito con me… so una strada che ci menerà in un attimo fuori del parco… ti alzerò io sulle mie braccia sopra un muro… e fuggiremo senza che nessuno ci veda.... Usciremo dai possessi del duca: ti porterò subito palesemente a Napoli… come mia moglie… e vi saremo in poche ore. Tu entrerai in una casa, ove è preparata la camera nuziale.... E il duca verrà là, se vuole e se crede, a strapparti dalle mie braccia.... Vedremo!… Acconsenti?…

      Enrica non avea più parole; cercava con occhi furenti l’aiuto, aspettato: dentro di sè scherniva quell’uomo forte, entusiasta, che pur, ella confidava, dovesse esser vittima degl’intrighi preparati da una debole donna. E Roberto lesse ne’ suoi sguardi quel furore e quella fredda malignità.

      – Non acconsenti? – esclamò con voce cupa, e scuotendola con una stretta vigorosa. – E bene… ci getteremo tutt’e due in quell’abisso, – e la trascinava verso il ponte, – il mare c’inghiottirà: inghiottirà la mia immensa passione, la tua ferocia, il tuo tradimento.... Ti concedo soltanto due minuti di tempo per dir la tua scelta!… Creatura sleale.... Io ti punirò del male che avresti potuto fare a tanti....

      – E chi vi dà questo diritto di punire? – gridò il conte di Squirace, facendosi innanzi, e agitando lo scudiscio che aveva in mano. – Con qual diritto avete osato alzar gli occhi sino alla duchessa, voi, il figlio d’un suo villano?… Ho tutto udito, Roberto Jannacone!

      – Signor conte, voi arrivate in mal punto, – rispose Roberto concitatissimo. – Non curo le vostre ingiurie: sono quelle d’un uomo indegno di stima, d’un gentiluomo che si disonora, appiattandosi per ascoltare un colloquio. Vi disprezzo tanto che non saprei come addimostrarvelo.... Ma prendete un buon consiglio: tornate per la vostra strada....

      – No, villano!… Io rimarrò qui per tutelare la purezza, l’onore, la vita della duchessa: per ricondurla a suo padre e salvarla dalle mani di un assassino....

      – Signor conte, – ribattè Roberto, pestando un piede,

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