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vagheggino, musicista, poeta, e a cui l’occhiata di una donna bastava per incitarlo alle maggiori follie.

      Egli vide scintillare traverso il velo, assai rado, i begli occhi di Enrica: e venne subito in soccorso di lei.

      – Faccio osservare all’onoratissimo presidente, – egli disse, – che la signora duchessa è in uno stato di salute molto precario.

      Enrica era floridissima, dacchè credeva essersi sbarazzata di Roberto e avea accettato il corteggiare del principe di Gorreso, suo fidanzato.

      – Io domando alla Eccellentissima Corte che voglia tener conto trattarsi di una gentildonna giovanissima, vissuta sinora in abitudini verginali, nella castità, nella purezza degli affetti domestici: d’una giovane gentildonna, che ha veduto dar morte, atrocemente, sotto gli stessi suoi occhi, a un amico della sua famiglia: e, credo, a un suo probabile fidanzato.... Essa non è ancor guarita dal colpo che allora riceveva.... L’Eccellentissima Corte insistendo potrebbe cagionare un deliquio, peggiorare le condizioni già gravi della gentildonna: essa è venuta qui accompagnata da suo padre e dal medico della famiglia....

      – La signora duchessa, – tornò a dire il presidente, – conferma, dunque, la sua deposizione scritta?

      – Sì, – rispose nettamente questa volta Enrica che vedeva necessario l’uscir presto da tali angustie, e voleva profittare dell’aiuto portole sì destramente.

      – Ha ella veduto il nominato Roberto Jannacone gettare dal ponticello, detto dell’Inferno, nel parco di Mondrone, il conte di Squirace?

      – Sì.... l’ho veduto! – rispose audacemente Enrica. Roberto teneva il volto nascosto fra le mani; il suo cuore si spezzava negli sforzi ch’egli faceva per contenersi.

      Il conte Guicciardi non potè tacere più a lungo e mormorò al presidente:

      – Nella deposizione scritta manca una parte essenzialissima: la narrazione ragguagliata del modo con cui è avvenuto l’assassinio del conte di Squirace!

      L’avvocato di Roberto si alzava e faceva la medesima domanda.

      Enrica si sentì perder d’animo: que’ momenti erano per lei troppo crudeli.

      Le sembrava che l’espiazione fosse infinitamente più acerba del delitto, anzi de’ delitti, ch’ella aveva commesso per il suo egoismo.

      Sentiva che in quel tribunale essa era, in tal momento, la sola delinquente: e che, se fosse stato saputo tutto il vero, i giudici non l’avrebbero lasciata uscire.

      Enrica, quasi tramortita, teneva gli occhi fissi sul presidente.

      Già, a un cortese cenno di lui, ella si era alzato il velo.

      – La domanda è importante, – insisteva l’avvocato di Roberto. – Ci preme sapere qual era la posizione de’ due uomini: chi era fra loro che attaccava con energia: chi offendeva, e chi soltanto si difendeva.

      Ma già si alzava il vecchio avvocato della parte civile, irruentissimo.

      Era inutile per lui domandare chi attaccasse con maggior energia.... – Tutti abbiamo conosciuto il conte di Squirace: poteva esser coraggioso, ma era debolissimo: guardiamo l’accusato....

      Nacque un battibecco fra’ due avvocati.

      – Si vuol gettare lo scompiglio nella causa – dicea il vecchio avvocato della parte civile, – intimidendo il più importante e autorevole testimone che abbiamo. Si vogliono gettare insinuazioni, dubbii sulla parola di una gentildonna, e di una giovane gentildonna piissima, che ha prestato innanzi ai magistrati il suo giuramento....

      – Perdono, avvocato.... – interruppe il collega.

      – Mi lasci parlare.... Si domandano i particolari di un assassinio a una giovinetta, accorsa al rumore di una zuffa, impaurita, commossa, e che ha veduto, come è naturale, nel suo sbigottimento, un solo fatto, che è innegabile per tutti: quello di un uomo gettato nel mare.... dall’alto di un precipizio!

      L’avvocato di Roberto non era molto avveduto, e dovea portargli egli stesso, non volendo, il colpo forse più funesto.

      – Si parla di chi provocò: di chi attaccò con maggior energia, – disse il precipitoso avvocato, – ma non si è tenuto conto abbastanza di un ragguaglio in questo processo.... Il giovane, che si trova dinanzi a voi come accusato, era stato gravemente percosso nella faccia dal signor di Squirace con uno scudiscio.... Lo scudiscio fu ritrovato presso il ponte: e tutti attestarono aver appartenuto al compianto signore.... L’accusato, che io credo innocente, aveva, nel momento in cui fu arrestato, una ferita nell’occhio destro.... Vedete che il conte provocava, attaccava con energia....

      – E allora, – ripigliò l’altro avvocato, – se ammette tanta provocazione, tanta energia nel conte, in che modo il mio avversario può persistere a credere l’assoluta innocenza del suo cliente! Sì, concediamo la più dura provocazione, per parte del conte; è chiaro che l’accusato, volendo reagire, ha assassinato il gentiluomo nel modo che tutti sanno.... È inutile, dunque, cercar di torturare l’unica testimone che abbiamo, di confonderla, di atterrirla per gettar l’equivoco in un processo che, per noi, è sì limpido.... Questa insistenza dimostra che si vuol davvero scusare, cuoprire un delitto....

      L’avvocato di Roberto fece un gesto, come se fosse offeso dalle parole del suo avversario, che continuava con voce tonante:

      – E sottrarre un reo alla sua legittima pena! L’altro avvocato ribattè.

      Il presidente li lasciava fare: il tempo che costoro impiegavano a bisticciarsi, dava a lui agio di riflettere come uscire dalle sue perplessità e por termine all’interrogatorio della duchessa.

      Enrica, che avea ascoltato avidamente ciò ch’avea detto il vecchio avvocato della parte civile, si accorse che egli le porgeva modo di finire il suo interrogatorio, con una dichiarazione, corroborante le prove della reità di Roberto, e atta a toglier lei d’imbarazzo.

      Ella, dunque, a nuove domande del presidente, rispose che, dopo aver udito parlare dello scudiscio, che il conte di Squirace teneva in mano nel giorno in cui fu ucciso, rammentava una circostanza, dimenticata sin allora nella sua profonda agitazione.

      Aveva veduto, – soggiunse, – a una certa distanza, il conte di Squirace che alzava lo scudiscio sulla persona che aveva di fronte (non nominò Roberto) e la percoteva.

      L’avvocato della parte civile, il presidente sospirarono.

      Uno dei giudici era indifferentissimo a tutto: pensava sempre alle sue ristrettezze domestiche: alla moglie troppo spendereccia e ambiziosa, a’ figliuoli che logoravano troppo i vestiti, e il cui appetito non era proporzionato al suo gramo stipendio.

      Egli condannava, condannava sempre: gli pareva che l’ergastolo fosse una prigione assai più dolce di quella in cui egli viveva, fra i garriti, le esigenze domestiche, le privazioni e nell’ufficio le tirannie dei superiori.

      Avrebbe assoluto Roberto, se avesse avuto la certezza di far dispetto al presidente, che, secondo lui, col dar cattive informazioni sul suo conto, gli aveva impedito d’esser promosso.

      Il più giovane e il più dotto magistrato, di cui già abbiamo discorso al lettore, il conte Guicciardi, non era ancor convinto della reità di Roberto: vedeva sempre in questo processo molti e molti punti dubbiosi.

      La prudenza, o, diremo meglio, la pusillanimità, gli impediva di studiarsi a chiarirli con una certa franchezza, durante il giudizio.

      Prima di licenziare Enrica, il presidente chiese a Roberto se nulla avesse a domandare alla testimone.

      Enrica aveva il batticuore.

      – Nulla! – rispose Roberto con un tuono di voce, che Enrica non doveva più dimenticare, e che forse doveva riudire in un momento per lei terribile.

      Enrica fu licenziata.

      Non avea mai rivolto lo sguardo a Roberto: nè si volse punto a lui, nell’istante in cui essa usciva dalla sala, singhiozzando altamente col fazzoletto in sugli occhi, attrice perfetta, come tutte le donne viziose, cui l’inganno è potenza, ragione di vita.

      Non ebbe un

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