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al saggio di P. Malanima, Storia economica e teoria economica, ivi, pp. 419-427 e per la Gran Bretagna al saggio di W.M. Ormrod, Governement Records: Fiscality, Archives and the Economic Historian, ivi, pp. 197-224.

      ALLE ORIGINI DEL FATTORE ITALIA: LAVORO E PRODUZIONE NELLE BOTTEGHE FIORENTINE DEL RINASCIMENTO

      Giampiero Nigro Università degli Studi di Firenze

      Il tema della capacità del design rinascimentale è tornato più e più volte nella riflessione sulle attuali potenzialità economiche dell’Italia e delle sue vocazioni manifatturiere. Imprenditori, economisti e sociologi, cogliendo l’utilità della storia, affermano che per irrobustire la qualità e la visibilità del made in Italy è necessario fare riferimento al gusto e alla capacità tecnica e artigianale che ebbe inizio durante il Rinascimento. Dunque l’italian factor trova i suoi precedenti storici nel design-thinking del Rinascimento fiorentino. A parte gli sgradevoli neologismi, ho sempre avuto l’impressione che il concetto di capacità nel disegno rinascimentale sia stato usato solo in quel limitato significato, come se i connotati dei tempi si fossero semplicemente estrinsecati sul piano dell’abilità artistica e della sensibilità estetica.

      In effetti nella Firenze degli umanisti e degli artisti del Rinascimento, nella Firenze dei secoli XIV-XVI esisteva un insieme complesso di fattori economici, sociali e culturali che possiamo sintetizzare nella locuzione «fattore Firenze».

      Per mostrare questo, dovrò richiamare l’attenzione su una parte della società fiorentina di allora. Non parlerò delle masse dei diseredati, ma di una porzione minoritaria della società, non piccola e fortemente diversificata, che a partire dalla peste del 1348 concorse alla ripresa economica e alla riduzione della polarizzazione della ricchezza. Un ceto intermedio che fu artefice e partecipe di forte dinamismo sociale.

      Altri aspetti fondamentali erano il tempo e il ritmo del lavoro. Si lavorava, di norma, quindici ore al giorno, dall’alba alla compieta, le ore ventuno secondo l’attuale modo di misurare il tempo.

      Torniamo al tempo di lavoro; ho detto che la giornata era di quindici ore con tre intervalli: uno per asciolvere cioè per fare una piccola colazione, uno per il pranzo attorno a mezzogiorno (alla sesta delle ore canoniche) e uno per la merenda all’ora nona, cioè intorno alle quindici.

      Le giornate lavorative nell’anno erano mediamente duecentocinquanta con un ritmo settimanale che si aggirava intorno a cinque giorni di quindici ore e il sabato di ben dieci ore.

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