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sul mercato, sulle variazioni e modificazioni della tecnologia, della finanza, del sistema creditizio, sulle fonti energetiche, sulle modificazioni climatiche, sulle variazioni del Pil. Tutto ciò comportò l’esigenza di far ricorso nell’analisi a una serie di fonti diverse, in primo luogo alle fonti statistiche prodotte da enti pubblici e privati sia in ambito nazionale sia internazionale, fonti ricche di dati quantitativi che consentissero raffinate elaborazioni matematiche.

      avvertono molto meno dei loro colleghi di formazione più prettamente storica la necessità di mediazione con le fonti e, preoccupati soprattutto del «modello» teorico presentato, non esitano a forzare le cose insistendo nel porre domande che trovano riscontro nei dibattiti di moda della teoria […] Non trovando nelle fonti delle epoche di cui si occupano i dati storici necessari, fanno acrobazie e in più di un caso ricorrono a dati sostitutivi […] Si producono così spesso lavori che, perfettamente ammirevoli per la eleganza logica del «modello» teorico interpretativo e per l’ingegnosità dell’apparato statistico, rimangono creature dai piedi di argilla […].

      Se gli storici economici nella maggior parte dei casi hanno da decenni ormai abbandonato il Medioevo come arco cronologico delle proprie analisi, va sottolineato che al contrario molti medievisti puri hanno dedicato larga parte dei propri studi a tematiche economiche, come ad esempio il commercio, la banca, la struttura e la vita nelle campagne e negli aggregati umani, ecc. Ma va ancora una volta posto in luce che anche se questi lavori, pur di grande interesse, hanno determinato una svolta nella medievistica italiana e internazionale, grazie proprio all’arricchimento che agli stessi è stato dato dall’apporto dell’indagine su fonti economiche e quantitative, a tutt’oggi può notarsi nei singoli autori una carenza di formazione teorico-economica.

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