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che gli stava dietro aspettando un cenno:—usciamo—disse allegramente, e dopo molto correre e vociare di qua e di là per tutte le stanze battendo palma a palma e mettendo sossopra la casa per cercare le vestine e i cappelli al buio, i ragazzi son pronti e la brigatella si mette in moto. Anche la nonna, povera vecchia, si sente quella sera fuggire qualche anno d'addosso e, malgrado i malanni abituali, esce anch'essa, appoggiata al braccio del nipote più savio. La comitiva si allunga giù per la via, due a due; i ragazzi innanzi salterellano e sfringuellano tra loro dando colla testa e colle mani nelle gambe a chi passa; i vecchi indietro, zoppicando e tossendo, badano a scansare le carrozze e a non perder d'occhio i fanciulli. Gli sposi di fresco e i fidanzati girano, due a due, e rigirano per le vie più quiete e pei viali dei giardini, stretti pel braccio, appiccicati, le teste che si toccano, le dita che si stropicciano, le gambe che si rasentano, e lì a dire e a dire e a dire, e a scambiarsi delle lunghe occhiate, e dei lunghi sospiri, e delle lunghe strette di mano, esclamando di tratto in tratto cogli occhi volti al cielo:—Com'è bella, questa sera, la luna!—La sartina torna dalla bottega alla casa dondolando rasente i muri la personcina leggera, e facendo le viste di non accorgersi di un cappello cilindrico che le tien dietro passo per passo, e le si parerà dinanzi alla svolta di quella tal cantonata, buia che è un piacere. Le fanciulle più poverelle, che hanno lavorato in casa dal levar del sole al tramonto, scendono, saltellando, le scale, incontrano sulla soglia della porta le vicine che stavano ad aspettare, fan crocchio e levano un cicaleggio garrulo e vivace, aggruppando le testoline come i fiori di un mazzetto, e facendo rotare attorno all'indice teso il nastro delle forbici attaccato alla cintola, e rispondendo alle parolette bisbigliate dai giovani che passano:—Grazioso! col cuore, e colla bocca: sfacciato!—E volgon loro, con un moto dispettoso, le spalle, non tanto però che colla coda dell'occhio non arrivi a squadrarli dalla testa ai piedi per veder chi sono e come sono. Altre, schierate in quattro o cinque a braccetto, col capo scoperto, giungono fino in fondo alla via, toccandosi nei gomiti al passar dell'uno e dell'altro, e parlandosi nell'orecchio e ridendo forte, e volgendosi di quando in quando a garrire con un piglio materno alle più piccine che scorrazzano attorno. Intanto i garzonetti vengon via dalle fabbriche e dalle officine col cappello schiacciato sur un orecchio, la giacchetta gettata a casaccio sopra una spalla, un mozzicone di sigaro sprezzatamente addentato e volto e rivolto fra le labbra nere; vengon giù a stormi per la via, dimenando le spalle con quel certo vezzo sgarbato e vociando lo stornello di moda; s'imbattono in quelle fanciulle, si accostano, dan del gomito nel gomito, del ginocchio nei cerchi, una gran boccata di fumo nel viso; le poverette si sparpagliano strillando, tossendo, passando le mani sugli occhi lagrimosi. I monelli staccano coll'unghie e tiran giù dai muri gli avvisi de' teatri; i fanciulletti fanno il chiasso nelle piazze, e le madri, ritte in crocchio sulle porte coi bimbi in collo, indugiano il grido consueto:—A letto!—grazie alla tepidezza inconsueta dell'aria e alla serenità purissima del cielo. Lungo le vie, dalle botteghe a dritta e a sinistra, si sente uno sbatter continuo d'imposte, un suonar violento di spranghe e uno scorrere rumoroso de' paletti negli anelli, e un darsi e un ricevere la buona notte dagli operai che vanno a casa. Rimangono aperte le botteghe signorili, illuminate, lucenti, dalle ampie vetrine, dalla soglia affollata di curiosi; notevoli, fra le altre, quelle de' librai, per quei concistori di letteratoni antiquati, tabaccosi, colle chiome lunghe e scarmigliate, rincantucciati là in fondo a brontolar di politica barbogia o di cartapecore dissotterrate; i caffè pieni zeppi di avventori avvolti in una gran nebbia di fumo, e un cicalìo rumoroso che, ad ogni aprire e chiudere della vetrata, risuona a ondate nella via. Nelle piazze, come dissi, e nelle strade un vero formicolìo, e un andirivieni di carrozze veloci.

      Era una di codeste belle sere, quando il mio reggimento, giunto la mattina in una delle più cospicue città d'Italia, si trovava sparpagliato per le vie aspettando che si sgombrasse la caserma ch'ei doveva occupare, e si desse nei tamburi per la ritirata.

      I soldati erano tuttora in pieno assetto di marcia, le ghette abbottonate sopra i calzoni, la giberna alla cintura, la sacca del pane e la borraccia a tracolla. Stanchi della marcia e tuttora bianchi di polvere i panni e i capelli, stavan fermi a gruppi sulle cantonate, le spalle al muro, le braccia incrociate sul petto, l'una gamba piegata sull'altra; o immobili dinanzi alle botteghe degli orefici a contemplare a bocca aperta quelle vetrine tappezzate di medaglie e di croci d'ogni forma e d'ogni colore, a cui gl'impiegati vecchi e i maggiori anziani sogliono, passando, lanciare un'amorosa occhiata di traverso, e un sospiro. Molti s'erano impancati nelle osterie a rifocillarsi con un sorso di vino; altri, i meno rifiniti, vagavano per le vie. Tutti però, o quasi tutti, avevano la cera seria, ingrognata, e parlavano rado, sommesso e svogliato; un po' per la spossatezza e la sonnolenza, e più per quell'attonitaggine, quello stordimento da cui suol esser presa la mente quando ci troviamo per la prima volta in mezzo a una città sconosciuta e rumorosa.

      In mezzo alla serietà taciturna d'un piccolo gruppo di soldati che stavan seduti sulla gradinata d'una chiesa accanto alla caserma, spiccava in singolar modo la gaiezza irrequieta e l'incessante parlantina di uno di loro, bassetto della persona, di forme esili e snelle e di volto imberbe e simpatico per due grand'occhi color del cielo, il quale saliva e scendeva e risaliva continuamente la gradinata, saltellando a mo' di un ragazzo; e si fermava ora accanto all'uno, ora accanto all'altro, ed empiva l'orecchio di chiacchiere a tutti, e a questi tirava le falde del cappotto, a quell'altro levava dal cheppì la nappina per posargliela sulle ginocchia, a un terzo metteva le mani sugli occhi dicendogli. Indovina!—Insomma, pareva che avesse l'argento vivo addosso. Passando davanti a quella chiesa, lo notai; mi fermai rasente al muro opposto della via, e stetti qualche minuto a guardarlo, pensando quale potesse mai essere la cagione di quella tanta e così strana festività. La fisonomia aperta e piacevole di quel soldato mi si scolpì nella memoria. Mi allontanai.

      Il dì dopo mi venne fatto di sapere, per mero accidente, ciò che avevo dimandato a me stesso la sera. Quel soldato era soldato da quattr'anni; per una serie fortuita di casi che non importa narrare, dal dì della sua partenza da casa fino a quel giorno, egli non aveva ancora ottenuto un congedo, nemmeno brevissimo, per ritornare al suo paese e rivedere la sua famiglia. Quattr'anni! A un soldato, come seppi ch'egli era, di cuore, svisceratissimo dei suoi parenti e del luogo ov'era nato e cresciuto, d'indole mite e pacata e abborrente da ogni maniera di stravizzo (gli stravizzi, fatti abituali, addormentano, o, almeno, illanguidiscono gli affetti più vivi e le memorie più care), a un soldato siffatto quattro anni passati senza vedere la famiglia e il paese natìo dovevano esser parsi assai lunghi! E gli eran parsi tali davvero; si era sempre mostrato un po' malinconico; in caserma, taciturno; fuori, per lo più, solo. Nelle ore di libertà, mentre i suoi compagni gironzavano pei giardini pubblici facendo delle carezze interessate ai bimbi condotti per mano dalle belle ragazze, egli soleva misurare in lungo e in largo la piazza d'armi col mento inchiodato sul petto, o stava seduto sur un sedile di pietra all'estremità d'un viale solitario a disegnar dei fantocci nell'arena colla punta dei piedi. E pensava sempre ai parenti, agli amici, ai luoghi che non aveva più visti da quattro anni; e sopra tutti e sopra tutto pensava a sua madre. Sua madre era una povera contadina, vecchia, infermiccia, ma di natura gioviale e intensamente amorosa; un cuor d'angiolo. Dei suoi figli, quel ch'ell'amava con più viva tenerezza ed anche con un cotal sentimento particolare di sollecitudine e di pietà gentile, era il figlio soldato; cosa naturale. E gli scriveva o gli faceva scrivere di frequente, e le sue lettere lette, rilette e baciate e ribaciate e portate lungamente in seno come una reliquia di santo, avevano virtù di mitigarle d'assai l'amarezza di quella lontananza. E così al figlio le lettere della madre. Ma sì! ci vuol altro! La carta, alla fin fine, è carta, e le madri amorose li voglion vedere, i figliuoli, li vogliono aver sotto gli occhi, vogliono toccarseli colle mani e baciarseli in fronte dieci e dieci volte d'un fiato; e ai figliuoli non basta il saper che quella cara testa dai capelli bianchi è a casa e pensa a loro; vogliono stringersela fra le braccia, quella testa; voglion posarci la bocca sopra, a quei capelli bianchi. E però, così la buona vecchia come il suo caro soldato avean vissuto, in quei quattr'anni, una vita di continue speranze e di continue aspettazioni deluse, di malinconie, di ansietà, di batticuori. Il figliuolo, partito da un paesello del settentrione d'Italia, era stato condotto, col suo reggimento, in Sicilia e vi s'era trattenuto due anni (in Sicilia, povera mamma, con quel mare così lungo fra mezzo); dalla Sicilia era passato nelle Calabrie e v'era stato un anno, un altr'anno nell'Italia centrale. Finalmente, un bel giorno, si sparse nel reggimento una voce di partenza.—Dove si va?—domandò il nostro soldato al suo sergente di

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