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di desiderio senza speranza, di questo, pur senza martirii, ma duolo, di queste tenebre?

      La loro volontà peccò; peccò sì quella d'uno stato avanti il cristianesimo, sì d'un parvolo innocente. Il loro difetto non fu involontario. Questa è dottrina sì di tutti i filosofi cristiani e sì di Dante. Tutta la discendenza umana peccò in Adamo; e Adamo peccò liberamente e volontariamente. “Vostra natura„ afferma Beatrice[143] “peccò tota nel seme suo„. E il suo seme peccò[144]

      per non soffrire alla virtù che vuole

       freno a suo prode;

      e

      dannando sè, dannò tutta sua prole.

      Ciò che dalla divina bontà, senza mezzo, piove[145], è tutto libero: solo il peccato toglie questa libertà. E il volere d'ogni uomo sarebbe libero, se non fosse il peccato ad incepparlo, e il volere d'un bambino appena nato sarebbe libero, se non fosse asservito dal peccato ch'egli trae seco dall'origine sua. E quelli che furono avanti il cristianesimo, avrebbero anch'essi avuta questa libertà di volere e perciò il modo di meritare. Dante ne porge un luminoso esempio in Rifeo troiano.[146]

      Chi crederebbe giù nel mondo errante,

       che Rifeo Troiano in questo tondo

       fosse la quinta delle luci sante?

       Eppure si deve credere; perchè quell'anima uscì dal suo corpo, non gentile ma cristiana, “in ferma fede... dei passuri piedi„ e credette in Cristo venturo. Chi voleva, dunque, poteva; e tale pensiero è ragione del turbamento di Virgilio, quando parla dell'imperfezione naturale dell'ingegno pagano:[147]

      E desiar vedeste senza frutto

       tai, che sarebbe lor desio quetato,

       ch'eternalmente è dato lor per lutto.

      Io dico d'Aristotile e di Plato

       e di molti altri. E qui chinò la fronte;

       e più non disse, e rimase turbato.

      Egli pensava che Aristotile e Plato e tanti altri, lui tra tanti, avrebbero ora sazio quel desio di visione e di contemplazione, vedendo e contemplando Dio, se avessero voluto. Ma non vollero, e ora vivono in desio senza speranza. Non vollero; non adorarono Dio, debitamente cioè come era loro debito.

      Il loro difetto di fede non fu dunque involontario, quindi furono volontariamente servi. Il peccato disfrancò il loro volere. Quindi sono puniti più dentro l'inferno che gli sciaurati, perchè da una parte anch'essi, come quelli, avrebbero potuto salvarsi seguendo la croce, che per gli uni era già venuta e per gli altri era da venire; e non vollero; dall'altra nemmeno un poco sollevarono le catene che inceppavano la loro volontà. Chè non ebbero battesimo. Ma pure non hanno duol di martirii, e non gettano lamenti e guai, perchè il loro difetto, volontario bensì, è quasi involontario; chè credere nei piedi passuri e seguire la croce non ancora apparsa, è ben più difficile che seguire la croce già apparsa e credere nei passi piedi!

      Ma vi è, con le somiglianze, una differenza grande tra gli sciaurati e i parvoli innocenti coi quali si trovano gli spiriti magni. Ricordiamo il pensiero di Dante, riguardo alla nobile virtù; alla virtù, senza cui si è vili. Alla nostra anima fu dato lume, per discernere il bene e il male, e, perciò e con ciò, libero volere. Or questo lume è oscurato in chi non ebbe il battesimo, per via del peccato d'origine; e, quello non risplendendo, non si ha libero volere,[148] nè ragione di meritare. Chè non è, in essa anima, la virtù che consiglia,[149] la quale col battesimo s'infonde. Ora nei non battezzati, sì parvoli sì spiriti magni, chè, mesto e dolce, Virgilio sè accomuna a quelli, quando dice,[150]

      quivi sto io coi parvoli innocenti;

      nei non battezzati non fu quel lume e quella virtù consigliatrice; e perciò nè libero arbitrio nè ragion di meritare; ma, o atti di libero arbitrio non poterono fare, perchè furono morsi subito dai denti della morte, o d'altra colpa non si resero rei, se non di quest'una che è degli uni e degli altri; della colpa umana,[151] volontaria bensì ma, misteriosamente, volontaria. Fuor di quella, i parvoli furono innocenti, e gli spiriti magni furono senza vizio e seguirono le altre virtù, fuor delle tre sante,[152] e sono perduti non per altro rio.[153] Gli sciaurati invece il lume l'ebbero; ma in atti di libero arbitrio non proruppero; sì gli angeli sì gli uomini. E perciò hanno martirii oltre il duolo. Ma volontario è il difetto di lume nei non battezzati, come volontario è il rifiuto di libertà negli sciaurati; e perciò sospirano ora in vano gli uni e gli altri, e si lamentano di questa loro sorte che avrebbero potuto evitare. Sì; ma di quelli che videro la croce ed ebbero il lume, i sospiri sono guai, e di questi altri che non videro l'una e non ebbero l'altro, i lamenti suonano come sospiri. Pure in questi ultimi, che lume non ebbero, il difetto di libertà è assoluto e nulla la ragion di meritare; il che non si può dire dei primi. I quali perciò sono fuori dell'inferno, come gli altri sono dentro. E perchè non ebbero lume, i non battezzati vivono nella tenebra; e perchè non se ne fecero rischiarare, quasi non l'avessero avuto, gli sciaurati vivono tra un'aria tinta e in luogo, in cui appena si discerne “per lo fioco lume„.

      Tuttavia nel limbo è alcuna luce. Sì; ma di un fuoco; è luce umana e non divina, per così dire; d'arte e non di natura,[154]

      Non era lunga ancor la nostra via

       di qua dal sonno; quando vidi un foco,

       ch'emisperio di tenebre vincìa.

       E questo fuoco illumina il nobile castello, nel quale è un[155]

      loco aperto luminoso ed alto,

       sì che veder poteansi tutti quanti.

      E non ostante questo lume e questo fuoco, anche lì è tenebra. Virgilio, che ben lo sapeva, ben lo dice:[156]

      Loco è laggiù non tristo da martiri,

       ma di tenebre solo...

      Quivi sto io coi parvoli innocenti.

      Non ignoro che si proposero e si propongono interpretazioni sofistiche per sanare questa contradizione del poeta; ma io credo che non si debba violare la lettera di Dante, se non si vuole violare il pensiero di lui. Il luogo è tenebroso sì per i parvoli e sì per gli spiriti magni; anzi tenebra è il solo martirio che v'è; la tenebra che con quel desio senza speme è una cosa, quando noi pensiamo che quel desio dato eternamente per lutto ad Aristotele o Plato e altri molti è quello

      di veder l'alto sol che tu desiri

       e che fu tardi da me conosciuto,

      come Virgilio dice a Sordello.[157]

      Dunque? Dunque la contradizione è voluta, ed esprime appunto visibilmente quella contradizione intelligibile che è in quelle dominanti parole dell'aquila:[158]

      Lume non è, se non vien dal sereno,

       che non si turba mai; anzi è tenebra...

      Sì: un fuoco illumina il castello; gli spiriti magni sono in luogo luminoso; ma quel fuoco e quel lume è tenebra. Sono nel limbo gente di molto valore, gente onrevole, pieni d'onrata nominanza, altissimi poeti, poeti sovrani, signori dell'altissimo canto, savi, di grande autorità, spiriti magni, sapienti, maestri di color che sanno... Ebbene che fu lo splendore della loro intelligenza?

      Lume non è, se non vien dal sereno;

      fu tenebra, e tenebra resta, e desio, senza frutto, di sole, di luce ben diversa del fuocherello umano che lascia tenebra dove pure risplende.

      Insomma sono rei d'un difetto sì quelli del vestibolo, sì quelli del limbo; del medesimo difetto: di nobile virtù. Ma in quelli del limbo, il difetto è totale; perciò sono entro l'inferno; in quelli del vestibolo è vituperevole; perciò sono tormentati. Chè quelli non ebbero battesimo, questi avuto il battesimo, non scelsero tra il bene e il male che dovevano discernere.

      Gli uni non ebbero affatto il lume, e gli altri l'ebbero e non l'usarono. I primi non videro e pure operarono; i secondi videro e non operarono. I primi peccarono nella vita contemplativa, i secondi nell'attiva. Ora, poichè la vita contemplativa è migliore dell'attiva, così

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