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1847, quando era povero e incerto tuttavia del proprio avvenire, il signor De Mauro condusse in moglie una vedova di circa venticinque anni, la quale gli portava in dote una rara bellezza, un cuore di angelo e circa seimila lire fra danaro e masserizie. A quell'epoca, pel De Mauro, era un matrimonio di speculazione; quelle seimila lire dovevano costituire la prima base della sua fortuna.

      Sarebbe malignità soverchia attribuire all'influenza di quel piccolo capitale l'affezione che il signor De Mauro portò sempre alla moglie. Egli non cessò mai di amarla anche in mezzo al tumulto degli affari ed al tripudio affannoso delle ricchezze. Si chiamava Serafina. Una donna di spirito mediocre, docile e mansueta come un agnello. Dopo aver condivise le angustie e le agitazioni del marito negli anni più disagiati, quella rapida e abbagliante prosperità che dal 1848 in appresso si era veduta sviluppare intorno a lei, le pareva miracolosa. Ne era quasi sgomentata — e quegli ingenui sgomenti formavano la gioia del marito. Il signor De Mauro, nelle sorprese di sua moglie, in quelle enfasi di maraviglia che toccavano i confini della paura, gustava doppiamente i propri trionfi. Egli era il giuocatore di prestigio che dopo aver gettata nel bossolo una moneta di rame, ne fa uscire gli scudi a centinaia fra lo stupore e l'applauso del pubblico. Per il signor De Mauro il pubblico era la moglie — la buona Serafina vedeva l'oro moltiplicarsi, crescere la agiatezza, e sempre, all'annunzio di nuove fortune, rideva e tremava per impeto convulso. Qualche volta, fissando nel marito i suoi grandi occhi pieni di spavento, ella non poteva trattenersi dallo esclamare: saresti tu mai il diavolo!... A tali parole il marito si sentiva rapire dalla gioia. —

      V.

      Abbiamo schizzato due ritratti e due biografie. Ma il signore e la signora De Mauro, come già avvertimmo, non prenderanno molta parte nella breve storia che siamo per riferire. — Vi è un giovane di ventidue anni in questo palazzo costrutto coll'oro degli appalti e delle forniture militari, un giovane che è passato per tutte le fasi delle fortune paterne senza quasi avvedersene, che sarà un giorno l'erede di uno dei più cospicui patrimonii di Milano, ed è, cionnullameno, infelice, noiato della vita e cupamente misantropo. Un bel giovane dai capelli bruni, dallo sguardo profondo, dal labbro ardente, adorato dai genitori, stimato dagli amici, desiderato nei circoli della società più eletta. Eppure il figlio del signor De Mauro non brilla fra gli eleganti di Milano, rifugge dai convegni brillanti, vive quasi isolato. In famiglia, rare volte si abbandona a quelle espansioni confidenziali che una madre affettuosa, una tenera madre qual è la signora Serafina, avrebbe diritto di attendersi dall'unico figlio. — Qual è il segreto di questa tristezza che ogni giorno progredisce in un cuore di ventidue anni? — Noi lo sapremo fra breve. È tempo oramai che i nostri personaggi si mettano in azione, che prendano a rivelarsi da sè medesimi.

      VI.

      Una sera, in sul finire del maggio 1866, si trovava adunata nel medesimo gabinetto — ciò che avveniva rare volte — tutta la piccola famiglia — La signora Serafina era intenta a ripassare delle lingerie — Ella non aveva mai potuto rinunziare alle abitudini casalinghe de' suoi anni meno fortunati — Il signor De Mauro leggeva la Gazzetta di Milano — e tratto tratto levava la testa dal giornale per lanciare una occhiata fuggitiva a suo figlio che, in quella sera, pareva di umore assai tetro.

      — Ebbene? non ci dici nulla, Edoardo! Come hai passata la giornata? — domandò la signora Serafina al figliuolo.

      — Come al solito! — rispose il giovane a voce bassa; stamattina ho lavorato un poco nel mio studio da pittore... poi verso le due sono uscito..,

      — A cavallo?...

      — No... sono andato a piedi fino alla stazione della ferrovia... Quest'oggi partivano per Como più di duemila volontari...

      — Ah!... tu pure ti trovavi alla stazione, Edoardo! — disse il signor De Mauro, interrompendo la lettura. — Non ti ho veduto... Ti avrei ricondotto colla mia carrozza...

      — C'era tanta folla!... rispose il giovane sbadatamente senza volgere gli occhi a suo padre.

      — È vero! c'era mezzo Milano... per vedere quei bei... mobili! Che faccie quegli alessandrini... quei greci...! gente da far paura! tutti armati di coltello... e di revolver... Parevano assassini!

      — Eppure... a quanto dicono... sono tutte persone...

      — Persone...? sentiamo un poco... Edoardo!...

      — Persone rispettabili e degne di ammirazione! esclamò il giovane con accento vibrato — essi hanno attraversato il mare e sono venuti ad offrire il loro braccio all'Italia, a far arrossire quei pochi italiani che, giovani com'essi e vigorosi, rimangono qui a poltrire nell'ozio e ad almanaccare sui dispacci dell'Agenzia Stefani!

      Il signor De Mauro fissò nel giovane due occhi quasi atterriti. L'enfasi di quelle parole gli avevano rivelato ciò che egli da parecchie settimane tremava sempre di dover intendere. La buona Serafina intervenne fra padre e figlio.

      — Oh! sicuro... Edoardo ha ragione... Li ho veduti anch'io quei bravi giovani... l'altro ieri... quando sono arrivati... Non è poco sacrifizio... venire da paesi così lontani e dicono... a loro spesa... per combattere contro i tedeschi... e sarebbe proprio vergogna se i nostri...

      — Non c'è questo pericolo, mamma — riprese Edoardo con accento più mite — quest'oggi, anche dei nostri ne partivano più di due mila... e altrettanti ne partirebbero domani, se il Governo non avesse creduto bene di sospendere gli arruolamenti per la esuberanza degli accorsi... Ma quanto prima... dicono il cinque giugno... si ricomincerà da capo...

      — E tutti quelli — riprese la signora Serafina — tutti quelli che amano la patria, e che sono abbastanza robusti da poter resistere alle dure fatiche del campo... faranno senza dubbio il loro dovere!...

      — E lo faremo tutti, il nostro dovere! — esclamò il signor De Mauro con una voce che indicava il proposito di conciliarsi la benevolenza e l'ammirazione di suo figlio. — Noi abbiamo già dato cinquecento lire per le famiglie povere dei contingenti — d'altre cento lire ho disposto per quelli fra i nostri giovani di studio che sono partiti per il campo e saranno per ritornarne colla medaglia del valore militare — Se tu credi, Edoardo — sentiamo un poco il tuo parere — sai... del denaro non ce ne manca... è roba tua... e puoi farne liberamente quell'uso che credi migliore... Dobbiamo stabilire una piccola rendita vitalizia a tutte le vedove e le madri dei nostri coloni, le quali avessero a perdere il marito od il figlio in queste ultime battaglie della patria?

      — Tu sai bene che quando si tratta della patria...

      — Ebbene... sì! faremo anche questo sacrifizio... cioè... tu, Edoardo... Alla fine... come dicevo... è roba tua... E faremo stampare sui giornali... che il signor Edoardo De Mauro...

      — Questa ci mancherebbe! — esclamò il giovane con accento di sentita ironia — Stampare nei giornali che il signor Edoardo De Mauro, un giovinotto di venti anni, sano, robusto, addestrato al maneggio delle armi, ha voluto esimersi dal suo obbligo di prestare il braccio alla patria... costituendo una pensione vitalizia in favore di quei poveri contadini che sono andati a farsi ammazzare in sua vece, perchè hanno sentito — essi, idioti e quasi ignari di avere una patria! — hanno sentito che in questo sublime momento della nazione non vi è altro posto d'onore per un giovine italiano che il campo di battaglia!

      La fronte del signor De Mauro si coperse di una nube. I suoi occhi bigi coperti da folte palpebre cercavano ansiosamente quelli di Serafina — ma dessa, la buona madre di Edoardo, teneva lo sguardo intento alle lingerie, e non osava respirare.

      Il signor De Mauro, dopo breve meditazione, riprese a parlare con quel tuono moderato e insinuante che pretende persuadere colla duplice influenza della logica e del sentimento.

      — Si lavora per tutta la vita e si diventa vecchi... Si adunano delle fortune... non per sè stessi... ma per quelli che vivranno dopo noi... pei nostri figli.... Quando se ne ha molti dei figli... si capisce... questi vanno e quelli restano a casa.... Fossero due!... meno male! — io non mi farei pregare... io direi: qual è di voi che vuole arruolarsi?.... Tirerebbero a sorte... non è vero, Serafina? — anche tu saresti contenta.

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