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vecchia Veronica facendosi colla mano ventaglio alla fronte — sentitelo! — esclamò — lo sentite, don Remondo? — Non vi pare che egli abbia perduto la testa?... A settant'anni voler seguire Garibaldi!... E quell'altro! Un ragazzo di sedici anni... sempre malato.... e timido come un passerino...

      — Va a letto, Veronica!... Va a dormire... Già, tu sai bene... Non siamo mai andati d'accordo su questi interessi... Anche l'altra volta...

      — Ma dunque... tu vuoi farlo morire, quel povero figliolo!... disse la vecchia con voce alterata dai singhiozzi.

      — Va a letto, ti dico!... silenzio!...

      Ernani tornava col vino.

      Il vecchio Gregorio guardò con tenerezza le mani scarne e profilate del fanciullo alle quali pareva enorme peso il litro ricolmo. Poi accennò alla moglie di ritirarsi, ma questa volta con espressione più mite.

      La vecchia obbedì — Ernani usci dal cortile chiamato da alcuni ragazzi che giuocavano nella strada. Gregorio e don Remondo rimasero soli.

      II.

      — Ho da farvi una confidenza, prese a dire Gregorio nell'atto di versare da bere.

      — Di' su.

      — Una confidenza che non ho mai fatta a nessuno... nè anche alla mia Veronica... Una sola volta... ma non qui in paese — lontano... lontano assai — ne ho detto qualche cosa a lui... a papà Garibaldi, che Dio lo benedica sempre!... E lui... Garibaldi — lo vedo ancora — Garibaldi ha fatta una smorfia come se gli venissero le lacrime su per la gola... E mi ha battuto la mano sulla spalla... come volesse dire: va là... che hai proprio ragione di odiarli... quei cani di tedeschi!

      Il vecchio vuotò un bicchiere e riprese:

      — Dunque... come vi dicevo... la cosa per intero... non l'ho mai detta a nessuno... Ed ora, metterò di essere al confessionale... Promettetemi, don Remondo, che non si saprà mai da anima viva ciò che sto per narrarvi...

      — Gregorio... tu mi conosci!

       — Sì... Ed è per questo che mi sono deciso ad aprirvi tutta l'anima mia per chiedervi consiglio. Vi ricordate della mia povera Martina...? L'unica nostra figlia... la nostra gioia. Ora avrebbe trentasette anni... A trentasette anni una donna è giovane ancora!... Eppure, quand'essa è morta, non aveva compiuti i venti!...

      Il vecchio si interruppe — si versò da bere, portò il bicchiere alle labbra, ma tosto lo ripose in sulla tavola. Il vino, in quel momento, gli ripugnava.

      — Come or diceva — riprese il vecchio — prima del quarantotto, io ne sapeva di politica quanto l'asino del mulinaro. Mi avevano mai detto cosa fosse la politica? Noi altri si viene su come gli alberi di frassino — grossi di fusto e buoni da far legna. A quarant'anni, io non ero mai uscito da Val d'Intelvi — una volta ero andato fino a Bellano, e quando fui arrivato laggiù, ho pianto dalla paura... Mi pareva di essere andato così lontano, così lontano, che per me non vi fosse più speranza di poter tornare al paese! Ma veniamo a lei... a quella povera figliuola!... Nel quarantotto aveva diecianove anni... La mia Martina — lo dicevano tutti — era la più bella figliuola della valle. Buona, poi! — altrettanto buona quanto io ero bestia!... Non sapeva niente di niente... Avevamo due conigli nella stalla... Una mattina, vedendoli uscire nel cortile con un seguito di piccoli coniglietti, la Martina mi chiese: chi li ha portati tutti quei piccoli? Ed io, bestia: «ma sono i figli di quei grandi.» «Eh! lo so bene anch'io, disse la Martina; ma domandava appunto chi è che li ha portati nella stalla... da qual parte sono venuti...» Vedete s'ella ne sapeva qualche cosa di ciò che succede a questo mondo!... Com'io della politica!... Basta!... È venuta fuori la guerra... Pio IX... il governo provvisorio... i piemontesi... e tutto il resto... Un bel giorno hanno arrestato i due gendarmi — hanno disarmato le guardie di finanza — sul campanile di Argegno s'è veduta svolazzare una bandiera di tre colori che pareva l'arcobaleno... e i ragazzi cantavano certe canzoni... Dio sa dove le avessero imparate! — certe canzoni che allora mi parevano del latino come i salmi che si cantano in chiesa. Cominciarono a passare dei giovanotti che non erano nè uomini ne soldati... Sulle prime io non ci capiva nulla — vi ho già detto che ero un bestione in quanto alla politica — ma quel passaggio di gente mi portava dei guadagni — si vendeva del vino — l'osteria era sempre piena — facevo denari. A forza di osservare, di ascoltare, di domandare..., a poco a poco io venni a capirci qualche cosa... alla meglio... tra chiaro e oscuro. Fra quei ragazzi che passavano dalla mia osteria per andare allo Stelvio, ce n'erano parecchi fra i dieci e i quindici anni. Quei biricchini sapevano già tutto... Un giorno entrò nell'osteria una grossa comitiva di quei caporioni trascinando legato e ammanettato un venditore di pipe. Gridavano: «morte alla spia!... fuciliamolo!...» Quel povero diavolo era smorto come un cadavere — tremava come un cane uscito dall'acqua — e implorava misericordia a nome di tutti i santi e della Madonna. — Mi sentii stracciare le viscere.... «Alto là!... alto là!... Nella mia osteria non si fanno di queste ribalderie... non si uccide un cristiano!» gridai a quei soldati senza uniforme. — E sentite mo questa! Un ragazzo, che forse non toccava i quindici anni... un coso da far ballare sulla punta del mio dito piccolo... si voltò indietro come una vipera, e guardandomi dal basso in alto con certi suoi occhi da gatto arrabbiato, incominciò a strillare: «chi è che difende i tedeschi?... Dunque... voi siete un tedesco!...» «Morte ai tedeschi! morte alle spie!» gridarono tutti, volgendosi dalla mia parte. «Tedesco io?... Ma io sono un taliano di val d'Intelvi... e dice che non si deve ammazzare un galantuomo...» — «Ah, siete anche voi della lega!... Abbasso le spie!... Morte ai traditori della... repubblica!...» Vi assicuro, don Remondo, che ebbi un bel da fare perchè quella gente non mettesse il fuoco alla casa per arrostirmi vivo in compagnia di quel povero venditore di pipe e di tutta la mia famiglia! In quel giorno io dovetti la vita a Veronica. — Ella tornava dalla campagna; vedutomi alle prese con quei furibondi, si fece nel mezzo a gridare: «ma non capite che egli è una bestia... un asino... uno zuccone, che non sa mai quello che si dice?... Animo, via, Gregorio! (e mi diede un gran pugno per spingermi in cucina) lascia fare a chi tocca.... e viva Pio IX! viva l'Italia!» — Quella Veronica aveva una gran testa... allora!... — La scena mutò di aspetto. — Cose da far piangere... Qualcuno sorse a gridare: viva le donne italiane!... La presero in mezzo... le saltarono al collo... le attaccarono una coccarda sulle spalle... tutti volevano baciarla... mentre io, sulla porta della cucina, vedeva tutto... e lasciava fare... perchè mi pareva che, in quel momento, fosse ben fatto... E quando uno la baciava, io diceva: «se lo merita! che tu sia benedetta! Io sono un asino, e tu sei sempre stata una gran donna!» Ma quella giornata segnò per la mia famiglia il principio di molte disgrazie. Veronica ammalò. Ella mi aveva salvato, ma non per questo ebbe a subire meno gravi le conseguenze dello spavento che ella aveva provato entrando nel cortile. Ella non potè mai dimenticare quella scena. La malattia fu lunga — per oltre due anni Veronica rimase inchiodata nel suo letto — ed oggi — voi lo sapete, don Remondo — la povera donna non ha più la sua testa — ha paura della sua ombra, e ricade malata ad ogni mutamento d'aria, ad ogni nuvolo che sorga. Ma ora viene il peggio della storia — bevete, don Remondo!... Beviamo!... Il vino non mi vuole andar giù... ma pure bisogna bere!...

      III.

      Dopo breve silenzio il vecchio riprese il suo racconto:

      «A quell'epoca, poco prima che tornassero i tedeschi, voi, don Remondo, veniste ad abitare in paese. Mia moglie era seriamente ammalata, e il medico non dava speranze. Qualche cosa di quella maledetta politica io cominciava a capire. Io sapeva che i tedeschi non erano nati in Italia, che erano venuti qui a comandare, come sarebbe, a mo' di esempio, se quei di Argegno andassero a dire a quei di Lezzeno: ecco, noi siamo i vostri padroni! Ma pure... ve lo confesso... dopo la scena del venditore di pipe... dopo la disgrazia accaduta a mia moglie, io non poteva capacitarmi che quegli altri... i taliani... fossero gente buona a qualche cosa. Sotto i tedeschi, la gendarmeria era rispettosa... era gente... pulita, pensava io — i finanzieri venivano qua a bere... pagavano... se ne andavano senza far male a nessuno... Non c'erano schiamazzi... non c'era confusione... Che volete, don Remondo? Io ragionava da bestia... io non sapeva che per via... della via... Corpo di quel cane!... so io di chi

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