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a dialogo, i sonetti con due sole rime ed altre consimili preziositá; e soprattutto è oscuro, pesantemente oscuro, tanto da rivaleggiare in questo col piú oscuro dei guittoniani, Panuccio del Bagno. Di questo rimatore specialmente e di fra Guittone d'Arezzo si mostra caldissimo ammiratore e imitatore: del primo infatti rimaneggiò una canzone: «Di sí alta valenza ha signoria», in quella sua: «Considerando l'altèra valenza»; col secondo tenzonò su vari argomenti, e a lui diresse tre epistole in prosa. Se mai qualche peculiaritá si voglia trovare in questo oscuro e faticoso rimatore, è, a mio parere, l'esagerazione dei difetti della scuola, e l'imitazione cosí pedissequa de' provenzali, da non muovere un passo nelle canzoni, se non dietro le orme di quelli; cosicché si avvertono facilmente, or qua or lá, imitazioni da Bernardo di Ventadorn, da Peirol, da Gaucelm Faidit, da Peire Vidal, da Blacasset e da altri ancora.

      Il testo delle poesie dell'A. è condotto sull'edizione che giá ne feci nel 1907 nei Rimatori pistoiesi, e quindi sul Laurenziano-Rediano (L), e per la canz. III anche sul Palatino 418 (P): l'ho migliorato in alcuni punti, giovandomi delle osservazioni che mi furono fatte da coloro che ebbero occasione di recensire il mio lavoro, e adattandolo alle norme stabilite per questa collezione.

      E ciò s'intenda detto di tutta questa edizione dei Rimatori pistoiesi[2].

      Canz. I, v. 3. Veramente L ha «d'esto mondo»; ma mi sembra che qui «mondo» non significhi nulla. Credo che voglia dire: «Spesso ho pensato di tacere, abbandonando il proposito di parlarne in questo modo».

      v. 28. L, veramente, ha «pena»; ma di questa lezione non riesco a persuadermi. Intendo: «Non è colpa intera d'amore, ma d'odio».

      v. 31: «ad esso». Cosí credo debba sciogliersi «adesso» di L, riferendo «esso» a «piacere».

      v. 31. Il Casini, nell'ediz. diplomatica che fece del Laurenziano-Rediano 9, lesse «fa legge»; ma, oltreché codesta frase non dá un senso soddisfacente, è proprio scritto «s'alegge».

      v. 57. «Con so» manca in L; ma giustamente ve lo aggiunse il Casini.

      v. 61. «dobblanza». Cosí correggo la mia edizione, poiché mi pare che in tal modo corra meglio il senso, e perché anche nella seguente canzone al v. 35 si dice: «Dunque dobblanza tenete in sentire». Vuol dire: «Mi pesa anche il dubitare (dobblanza = dubitanza, dubbio) di ciò».

      Canz. II, v. 11. «Prendendo» ha L; ma non dá alcun senso, quindi bene il Gaspary lesse «prendono».

      v. 15. L ha «per servire»; ma, poiché ogni strofa incomincia riprendendo le ultime parole della strofa precedente, è certo che qui si deve leggere «star servidore».

      v. 55. Il Nannucci volle leggere «torte», e intese che fosse un avverbio «a torto»; ma, oltreché codesta sarebbe una forma inconsueta, è da credersi che si debba sciogliere in «tort'è», anche perché l'Abbracciavacca prediligeva queste rime imperfette.

      v. 57. L ha «porea»; ma, poiché la strofe precedente termina con «poría», per la sopraddetta ragione deve leggersi «poría».

      v. 65. Nella ediz. del 1907 scrissi «né voi»: ma deve correggersi, com'é in L, «né in voi».

      Canz. III, v. 3. Il Biadene, che già pubblicò questa canzone, unisce «pensero» con «piager» del v. 2 e ne forma un concetto solo, quello di «piacevole pensiero»: credo invece di dover togliere l'«e» dopo «beltate» e la virgola che avevo posta dopo «pensiero», e cosí piú facilmente si può intendere: «Lo pensiero soviemmi», cioè «mi torna in mente».

      v. 19: «non deggi'». Ho aggiunto l'«i» per ragioni fonetiche.

      v. 29: «ch'è». Io stesso nella mia vecchia edizione ed anche il Biadene abbiamo lasciato «che»; ma certo è meglio intendere cosí: «Poiché è provato, cioè si è visto, che sotto viso dolce si nasconde cuore amaro, allora non si cela piú...».

      v. 39: «ragione». Cosí scrivo, seguendo il Biadene ed L, sebbene P abbia «rasone».

      v. 42: «bassenza». Cosí correggo «bassansa» di P., seguendo, per ragioni di rima, L.

      Son. I, v. 2: «e luxuria». Nella mia precedente edizione avevo creduto aggiungere un «è» innanzi a «luxuria»: ma la risposta di fra Guittone fa presupporre una triplice necessità affermata dall'Abbracciavacca.

      Lettera I a Fra Guittone. È in L.

      Son. III, v. 4: «Ed eo». Cosí è in L, e non «ecco», come errando lesse il Bottari (Lettere di fra Guittone d'Arezzo, Roma, 1745, p. 76).

      v. 7: «Regno»: non «segno», come avevo creduto di leggere, per aver un senso più chiaro, nell'ediz. del 1907. «Regno» dice veramente L.

      Lettera II a Fra Guittone. È in L, da cui la riproduco. Fu già pubblicata dal Bottari (Lettere citt., p. 77).

      Son. IV, prima terzina. Com'è in L, questa terzina non dà senso. L'ho rabberciata, sciogliendo il «che» in «ch'è» nel primo verso e aggiungendo la congiunzione «e» nel terzo. Il senso allora corre spedito: «Me ne scoraggio, perché anche la giustizia di Dio è senza difetto. Vorrei sapere come misericordia chiede contro di essa al vero Dio o mi dà la salvazione dell'anima».

      Lettera a Bindo di Alessio Donati. È in L, da cui la traggo, correggendo l'ediz. cit. del Bottari.

      Son. V, v. 8: «unde». Cosí ha L, non «onde», come lesse erroneamente il Bottari.

      v. 12: Tolgo l'«e», che avevo creduto di aggiungere, ma che non è in L, e sciolgo il «perché» in «per che». Leggo quindi «per che è», giacché nel ms. è anche questo «è».

      v. 13: «animai». Veramente L ha «animali»; ma in tal modo non tornerebbe più il verso.

      Son. VI, v. 12: «S'è per». Attenendomi ad L, correggo cosí la mia antica edizione, e il senso è chiaro: «Se è per colpa della fattura del corpo che contiene l'anima».

      Lettera a Dotto Reali. È in L. La riproduco dall'edizione che ne ha data il Monaci nella Crestomazia del primo secolo della lingua, con lievissime modificazioni grafiche.

      Son. VII, v. 4: «volere». L ha «voler»; ma, per necessità di verso, ho aggiunta un «e» finale.

      v. 8: «ten». Cosí ha L, e non «tien», come, rabberciando, lesse il Bottari.

      v. 14: «di lod'agi'altura». Il Bottari: «di loda gialtura».

      Son. VIII. Nell'altra mia ediz. ho invertito l'ordine dei vv. 11-2 e 13-4, perché lo schema di questo son. corrispondesse a quello di Monte Andrea: «Languisce il meo spirto», di cui è risposta a rime obbligate; ma le giuste osservazioni, che altri mi ha fatte, m'inducono a rimaner fedele a L, anche perché mi sembra che ci si guadagni di chiarezza.

      v. 13: «Monte». Mi pare che qui si tratti del vocativo di Monte Andrea. Infatti non è presumibile che il rimatore abbia voluto far rimare con «monte» del v. 10 proprio la stessa parola nel medesimo significato. Intendo: «Chè non v'è buono che possa dire: — Io discendo a valle, perché sento, o Monte, che vi posso trovare luogo fermo. — Né cavalieri, né baroni, né conti, né re possono dire ciò».

      Son. IX, v. 10. Tolgo il «via», che avevo messo nella precedente ediz., perché, oltre che non necessario pel senso, non è in L.

      v. 14: «dará li cura». Non occorre allontanarsi da L, che ha «dara li cura», per render piú chiaro il senso e cambiare «li» in «la», come feci nell'ediz. del 1907. Ma, prendendo «li» come pleonasmo, il senso corre assai bene.

      II

       SI. GUI. DA PISTOIA

      Nonostante le piú diligenti ricerche, non ho potuto rintracciare chi mai sia questo antico rimatore: forse è Simbuono o Siribuono giudice, da Pistoia, a cui qualche cod. attribuisce due canzoni: «Spesso di gioia nasce ed incomenza» e «S'eo per cantar potesse convertire?». Certo è che il nome di Siribuono non è raro nei documenti pistoiesi.

      I

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