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— Quei fu giá bono! — Ahi, carnal desiderio, quanti nobili e grandi hai nabissati! Forsi sembrati scusa s'avete vinto? No, ma defensione piú laude porta. Onne operazione vòle misura, e fòr d'essa vizio si trova; e quanto meno ende fori, meno have vizio podere. Donque, se misurare omo non puote volontá carnale, apressi quanto pote a misora. E se mi dici: — Gioventute forte m'asaglie, — dico: — Difendi con ragion vecchia c'hai. — Ché gioventude s'intende in due modi: quanto al tempo e quanto in costumi. E, se ragione loco resistere non pote, fuggi, ché fuggire s'intende prodezza, lá dove convene.

      Se pronto ti pare mio detto, reputane d'ira furore; e, se ti piace, mi scrive quello che la tua coscienza giudica di te dirittamente, e al sonetto di sotto risponde con paraule e con operazione.

      Non volontá, ma omo fa ragione,

       perché soverchia vantaggiando fèra;

       e qual sommette a voglia operazione,

       torna di sotto, lá dove sopr'era.

       Perciò chi have saggia oppinione,

       porta dinanzi di ragion mainera,

       e di sé dritta d'om fa elezione,

       unde li surge poi di gioi' lumera.

       E dunque, amico, c'hai d'omo figura

       razional, potente, bono e saggio,

       come ti sottopon vizio carnale?

       Pensa per che è l'umana natura,

       che di tutti animai sovr'ha barnaggio:

       non vorrai, credo, poi vita bestiale.

      VI

      A Dotto Reali

      Come mai l'anima, che è formata da Dio, possa essere sopraffatta da altre cure[1].

      A scuro loco conven lume clero,

       e saver vero — nel sentir dubbioso,

       per ciò ch'omo si guardi dall'ostrero,

       ch'è tutto fèro — dolor periglioso.

       Donque chi non per sé vede lumero,

       véneli chero — fare al poderoso;

       unde dimando a voi, che siete spero

       palese altèro — d'onni tenebroso.

       Io son pensoso; — dico: l'alma vene

       dal sommo Bene, — donque ven compita:

       chi mai fallita — pò far sua natura?

       S'è per fattura — de vasel che tene,

       perché poi pene — pate ed è schernita,

       da che sua vita — posa 'n altrui cura?

      VII

      Al medesimo

      Si lamenta che gli sia stato risposto oscuramente circa la questione esposta nel sonetto che precede.

      Messer Dotto frate, Meo Abracciavacca salute di bono amore.

      Da lume chiaro di natura prende scuro, e non da scuro chiaro lume, perché nond'abisogna vostro mandato. Credo che assai prova intelletto vostra operazione; perciò temendo parlo. Dico che ogni opera umana solo da volontá di posa move, e mai per omo in esto mondo non trovare si pò; e ciò è la cagione che 'l core non si contenta. Poi dico che ogn'altra criatura naturalmente in esto mondo tanto trova sua posa; e, se omo maggiormente nobile creatura fo formato, come non sovra l'autre criature have perfezione di posa avere? Nente ragion lo vòle che lo 'ntelletto posi ned aggia affetto u' non è sua natura, e ch'elli non è creato come corpo si crea in esso loco; ma have del sommo e perfetto compimento, cusí pur di ragione altra vita intendo, ove intelletto posi e sia perfetto. E voi, intendo, siete omo razionale, ch'avete presa via di ritornar al perfetto principio per fina conoscenza. Se volontate varia per istati diversi, non vari operazione d'avere verace spera, venendo a fine fine. In ciò che mandasteme lettera e sonetto, perché risposta avete di mio sentire, rispondo; e, se vostra intenzione non si pagasse, riputatene il poco saver mio, che volontá pur aggio di sodisfare ad onne piacer bono: per compimento volontá prendete. A frate Gaddo e a Finfo, come imponesteme, il mostrai e diei scritto.

      Parlare scuro, dimandando, dove

       risposta chiere veder chiaro l'orma,

       non par mistero che sentenzia trove,

       ma del sentir altrui volere norma.

       A ciò che 'ntendo dico mezo sove

       di primo fine, e di fine storma

       qual nel mezo difetto fine strove:

       dunqua per fine ten piú vizi a torma.

       Cosí bono tornare pregio chine

       di monte 'n valle del prefondo male,

       a ciò bisogna di ragione cura.

       Voi conoscete da la rosa spine,

       seguir convene voi a fine tale,

       che 'l primo e 'l mezo di lod'agi'altura.

      VIII

      A Monte d'Andrea

      Eviti le pene d'amore, mutando luogo.

      Vita noiosa pena soffrir láne,

       dove si spera fine veder porte

       di gioia porto posandovi, láne

       con bono tempo fôra tale porte.

       Ma pena grave perder còi e lane,

       e credensa piò doglia fine porte,

       ogne ramo di male parmi láne:

       me non sopporre, ma ben vorria porte.

       Chi sta nel monte reo vada 'n nel vallo,

       e chi nel vallo simel poggi a monte,

       tanto che trovi loco meno reo.

       Ché bono non è che dir possa: — Vállo,

       ch'i' sento loco fermo ch'aggio, Monte, —

       cavalieri, baron, conte, né reo.

      IX

      Amore gli renda più pietosa la sua donna.

      Poeta. Amore amaro, a morte m'hai feruto:

       tuo servo son, non ti fi' onor s'i' pero.

       Amore. Ver è, ma vedi ben che l'ha voluto

       quella da cui son nato e per cui fero.

       Or ell'ha di valor pregio compiuto

       e di beltá sovr'ogne viso clero:

       e però guarda non gli aggi falluto

       di vista o di parlare o di pensero.

       Poeta. Merzede! Amor, non dir: tu lei m'hai dato;

       e sai piú di me che non sacc'eo:

       fálli sentir per certo ciò ch'eo sento.

       Forse ch'avrá pietate del mio stato:

       al colpo periglioso del cor meo

       dara'li cura: giá non vi sie lento.

       SI. GUI. DA PISTOIA

       Indice

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      A Geri Giannini da Pisa.

      Si compiace dell'amicizia offertagli da Geri.

      Tanto saggio e bon poi

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