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I dei peccati mortali superò i dieci non che i sette; materia affatto agitata principalmente dalla lussuria, dall'ira, e dalla superbia: anch'egli empiè la terra di morti: massime la Italia contrastando senza concetto regio all'emulo Carlo imperiale concetto per la propria immanità condannato a screpolarglisi nelle mani, ed era la conquista del mondo, o di quanto più mondo si potesse; poi rifinito patteggia la pace tradendo i collegati suoi. Qui si manifesta non meno trista, ma più aperta che altrove la perfidia di Francia, imperciocchè da un lato si aizza vano i Fiorentini, e gli altri stati italiani a intorarsi nella guerra contro Cesare, e a chiudere gli orecchi ad ogni proposta d'accordo, e ciò perchè i negoziatori imperiali non salissero in baldanza nelle trattative di pace a Cambraio facendola alla Francia pagare caro.

      Confronta e vedi se le arti di allora uguali a quelle, che la Francia volle usare poi. Baldassarre Carduccio oratore fiorentino raccomanda al Re Francesco la sua povera Patria con queste parole: «Sire, la Maestà vostra tante volte mi ha affermato e ripetuto le medesime cose, che se io non veggo la osservanza di quelle, non che io creda più a parola di Re dubiterei si avesse a credere a Dio.» A cui il Re di Francia rispose: «Voi avreste mille ragioni perchè io ve l'ho promesso, e con l'effetto lo manterrò.» E mosso dalla medesima passione il buon Carduccio mentre faceva uffizio pari col Gran maestro udiva dirsi: «Ambasciatore, se voi trovate mai, che questa Maestà faccia conclusione alcuna, che voi non siate in precipuo luogo nominati e compresi, dite, ch'io non sia uomo di onore, anzi ch'io sia un traditore»; e mentre queste cose così solenni dal Re, e dal suo ministro affermavansi essi avevano bruttamente, come in quei tempi fu detto, e i posteri ratificarono, traditi e venduti i collegati, nè Carlo V dopo avere condotto i Francesi al passo iniquo volle lasciarsi scappare di mano la occasione di trafiggerli; imperciocchè sollecito a procurare agli amici suoi il benefizio della pace, mentre domanda il mandato all'oratore di Ferrara esce fuori col detto amaro: «io vo' avere risguardo ai miei collegati, e non fare come fece il Cristianissimo.»

      Nonostante questo allora, come adesso (sebbene con meno largo strazio della coscienza umana per difetto di Giornali) affermavasi in Francia i collegati essere rimasti comprasi nella lega, e il Re stesso pregava, che così si propalasse per avere agio di andarsene prima che le querimonie incominciassero; le quali scoppiando poi violentissime, mostrarono la indegna remunerazione alla lunga osservanza, e ai danni patiti in pro della Francia; avere per ben quindici anni tenuto i Fiorentini, a lei devotissimi, servi, senza avere detto o fatto cosa che valesse per la liberazione di loro; alle quali dolorose rampogne mutato, volto il Gran maestro rispose: «O che volevate voi, che per piacere vostro rimanesse impedita la liberazione dei figli dei re rimasti statichi nelle mani dello Imperatore?» E poi che il Carducci lo rimbeccava dicendo: «Bene sta, ma la libertà nostra, e il nostro sangue dopo le promissioni vostre non avevano a servire di prezzo come avete fatto, avendo noi venduto, anzi dato noi tutti in preda al nemico per loro.» Il Gran maestro voltategli le spalle lo saldò. Donde gli Scrittori dei tempi cavarono due considerazioni generali, una di etica, e l'altra di politica; la prima fu che l'uomo savio non deve abbandonarsi in balia alle promesse, alle leghe ed ai giuramenti degli uomini; e questa parmi ripetizione della sentenza Attribuita niente meno, che allo Spirito Santo: «maledetto l'uomo, che confida nell'uomo:» la quale, nonostante la reverenza che professo grandissima allo Spirito Santo, per me giudico balestrata là in un momento di stizza; la considerazione politica generale è quest'altra, che non merita uscire di servitù quel popolo, che si raffida riacquistare la libertà con altro braccio, che col proprio; una terza particolare ce la metto io dichiarando, che consultata la Storia senza passione di odio o di amore non sai se la Francia sia riuscita più molesta alla Italia amica, o nemica. Alla casa di Savoia portarono via i Francesi quasi tutto l'avito retaggio; Nizza fedele asprissimamente combatterono con le armi proprie congiunte a quelle dei Turchi. Le Storie della monarchia piemontese dalle più antiche fino alla recentissima del Ricotti ti mostrano le perpetue ingiurie recate a lei dalla Francia, e il racconto degli strazi, che Carlo di Savoia ebbe a patire da Enrico IV dettato dal cardinale Bentivoglio, empiono l'animo dei leggitori di tristezza, e di rabbia. Della prima repubblica di Francia tu sai; ci rubò fino ai chiodi del Vaticano, e parte d'Italia, la Venezia, prezzo di pace necessaria, almeno così afferma nelle sue memorie Napoleone I difendendosi del tradimento di Campoformio; lo Impero pretese plasticarci francesi, ed altra volta io ammonii gl'Italiani: badate! porgete mente al concetto di Napoleone I quale si svela intero nella sua corrispondenza col fratello Giuseppe Re di Napoli pubblicata per cura dello inclito suo nipote Napoleone III; costui persuadeva Giuseppe a trovare modo di torre la sostanza ai baroni, per renderla poi a titolo di dote alle figliuole a patto si maritassero con soldati francesi, i quali arebbono dovuto comporre la nuova baronìa di Napoli, sempre che si obbligassero a fermarsi per sei mesi dell'anno a Parigi. Appartiene a lui la parola, la quale se avesse voluto tradurre in effetto sarebbe stata seme di guerre senza fine, vo' dire: «il mediterraneo ha da diventare lago francese.» La Francia di Luigi Filippo aizzava i popoli alle rivoluzioni, e poi se li metteva dinanzi a mo' che il Buonarroti costumò sospendere le balle di lana intorno al campanile di Samminiato a fine di ammortire la percossa delle bombarde. Se si trattava di beduini, bandivasi la Francia ricca abbastanza per pagare la sua gloria; se di sovvenire la Italia, e la Polonia l'oro e il sangue francesi avere a bastare per la Francia; e se la Polonia sdrucciolava nel sangue si annunziava il caso dal Sebastiani nel truculento modo, che la Provvidenza gli fece provare pari nella sua famiglia.—Del secondo impero non parlo, non mica perchè a quello che largamente fu addotto non si possa arrogere troppo più, ma perchè la copia partorirebbe a un punto fastidio e sazietà.

      Tale avvisando, so come altri, nella sfacciata petulanza che oggi tiene il campo, non mancherà riprendermi come o perniciosamente sconsigliato, o mosso da smania di screditare il governo, o di parzialità per la Inghilterra: risponderemo ora all'ultima rampogna, le altre confutammo in prevenzione, o ribatteremo a suo tempo dopo: la Patria vuolsi amare, gli stranieri se in casa di riffa[1] odiare con le viscere dell'anima, e qualunque essi sieno, a casa loro rispettare, e proseguire con ogni maniera di buoni uffici, come uomini fratelli, che procedano di conserva al miglioramento scambievole. Gl'inglesi certo si mescolano nelle nostre faccende, però nella guisa, che non si può loro impedire, e potendo non si dovrebbe; le arti adoperate da loro, il consiglio, le insinuazioni, e dove occorra anco un po' di moneta: della natura del trapano essi ritengono molto, e le loro dita penetrano nella carne dei popoli più che non facciano le grappe di bronzo dentro la pietra. Quando venne Riccardo Cobden a predicarci il libero commercio, onde avere facilità anco maggiore di levarci di sotto le materie gregge per rimandarcele lavorate, io molto tenendo in pregio l'uomo mi astenni da fare di berretta alla sua predica e ne esposi con breve scrittura le ragioni, tra le quali, manifestando il concetto a quel modo che la mia natura m'ispira, dissi che quante volte mi occorre un'Inglese con gli occhi fitti nel nostro sole ho paura che egli almanacchi se ci sia verso di portarselo a Londra per rimandarlo a venderlo in Italia ridotto in candele sopraffini. Questo ed altro può dirsi dell'uomo inglese intento al proprio interesse; forse lo trascurarono gli altri?—Non ci è che i Francesi i quali si spencolino fuori della finestra per una idea! Gl'Inglesi hanno senno pratico, e stima dell'uomo: ordinariamente conoscono dove devono andare, come i Francesi ordinariamente non lo sanno, comecchè fine di entrambi sia l'interesse. Lo Inglese negoziando teco, fa il tuo conto, che del guadagno ne vuole a mano salva tre quarti, ma una volta rimasti d'accordo va franco, ch'egli curerà l'interesse tuo al pari del proprio; perchè non intende usare teco come i contadini a lascia podere, e confida cavarti di sotto qualche altro vantaggio: il Francese vuole tutto per sè, ti agguanta quanto può; se qualche cosa ti lascia e' sono gli occhi per piangere, ma poi il rubato volentieri sprofonda teco per farti ridere; lo Inglese quando ti spoglia non confessa ai quattro venti che ti ha spogliato, ma nè manco si vanta averti vestito; mentre se dai retta al Francese sai tu chi è il ladro? Quegli che si è lasciato rubare; così vero questo, che uno dei loro filosofonisti ha spiattellato chiaro, che la proprietà è un furto; epperò i ladri devono venerarsi sopra gli altari come operai; a fare rivivere la pristina comunione delle cose; l'Inglese non pone nel traffico tenerezza in nulla eccettochè sul netto ricavato; salda affare per affare; la gratitudine che cerca sta nel profitto, ed altra non ne cura: al Francese non basta, esige la lode, desidera tu lo saluti generoso e magnanimo se portandoti via un quadro di Raffaello te ne lascia una copia fatta di sua mano; quasi quasi pretende una statua se dopo averti mangiato le ostriche te ne depone in mano con religiosa gravità i gusci vuoti!

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