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concepito un furioso amore per certa fanciulla…

      —Delle nostre, o delle vostre?

      —E che so io? Una camerista…

      —Nè nostra, nè vostra; notò Olimpio, alzando le spalle in atto di disprezzo.

      —Ricercata di amore, si avvisa a starsi sul sodo. La proteggono i Falconieri, che se stessero a patrimonio come a superbia, a noi converrebbe far la sementa in mare. Ella ripara in casa loro, e questo le cresce baldanza; forse, e senza forse, vi sarà di mezzo qualche lussuria di prelato, la quale non ho voglia, nè tempo verificare adesso: comunque sia, ciò fa impaccio al signor Duca…

      —Chi mi chiama?.. interrogò il Duca riscuotendosi a un tratto.

      —Povero giovane, ve' come lo ha concio la passione! Giuoco, che voi non avete inteso parola di quanto abbiamo favellato fin qui Olimpio ed io?

      Il Duca abbassava la faccia, e arrossiva.

      —Per concludere, Olimpio, bisogna che tu la levi, e la porti colà ove ti verrà indicato.

      —Comandate altro, Eccellenza?…

      —Per ora no. Tu farai d'introdurti nel palazzo; e, non potendo altramente, scasserai qualche porta, o ferrata terrena. Se anche questo non ti riuscisse, ti aiuterai con una scala di corda…

      —Azzittatevi; voi portate la febbre a Terracina. Il calzolaio, salvo vostro onore, non ha a passare la scarpa. Queste cose io so bene da me, con qualcheduna altra ancora che non sapete voi. Lasciatemi contare… Uno… due… tre… mi vi abbisognano quattro compagni.

      —E tu li troverai…

      —Bisognerà procurarci pistole e cavalli.—Quanto avete disegnato spendere intorno a questa impresa?

      —Ma!—Non ti parrebbe abbastanza un cinquecento ducati?

      —No, signore, non bastano. Fatta la parte ai compagni, levate le spese dei cavalli e delle armi, mi riviene una miseria.

      —Orsù; non ci abbiamo a guastare fra noi. Vadano ottocento ducati, oltre le grazie e i favori grandi, che puoi sperare da me…

      —Farò ammannire le carra per portarmeli a casa. Fatta la festa si leva l'alloro. Don Francesco, diamo un taglio a queste novelle; aspettate a pascermi di rugiada quando vi apparirò davanti in sembianza di cicala.—Dove ho da portare la ragazza?

      —Nel palazzo del signor Duca, o in qualcheduna delle sue vigne, che t'indicherà…

      —Ecco un granciporro, Eccellenza. Se la Corte prende fiato della cosa, i primi luoghi che verrà a perquisire saranno le dimore del signor Duca. Procurate dunque prendere a fitto, o farvi imprestare da persona segreta qualche vigna remota in città; ma meglio sarà torla a fitto, impiegandovi persona che non sia punto dei vostri…

      Il Conte aveva guardato in faccia Olimpio, e sorriso in modo strano, quasi schernendolo di non essere stato compreso: poi erasi accomodato al banco, e posto a scrivere. Il masnadiero mosse al giovane Duca alcune interrogazioni brevi ed aspre. Questi rispondevagli a modo di smemorato: sentivasi travolto come foglia dal turbine: era caduto sotto la potenza del fascino, che alcuni serpenti pur troppo gittano sopra gli animali vicini: voleva protestare, si provava a fuggire, e non poteva. Quando gli sembrava esser prossimo a rompere lo incantesimo con lo aiuto di Dio, ecco affacciarglisi al pensiero la immagine dell'amata donna, ch'ebbra anch'essa di amore gli gittava le braccia al collo… Allora un diluvio di fuoco gli scorreva le vene; le arterie gli battevano così, che per poco non gli si spezzavano; e se il ratto fosse avvenuto subito, non gli sarebbe parso presto abbastanza. La gioventù, il desiderio e la speranza ordiscono tale una catena, dentro la quale l'anima onesta e appassionata spesso si dibatte, ma di rado la spezza; se poi vi si aggiungano eccitamenti, non è cosa umana potere resistere. Il cattivo genio aveva vinto, e il buono si allontanava cuoprendosi il volto con le ali. Il Conte, quantunque attendesse a scrivere, pure sentiva la vittoria del vizio su la virtù dello ingenuo giovane; sicchè soffermatosi ad un tratto, domandò sbadatamente:

      —A quando la impresa?

      —Facendo i miei conti, ormai vedo che fino a domani notte non ci posso entrare,—rispose Olimpio.

      —Domani notte, eh! Ma tu non sai, che l'orologio a polvere, col quale la passione misura il tempo dello aspettare, è la sua fiaccola, di cui gitta le gocciole accese sul cuore del povero amante? Tu invecchi. Olimpio, nè sei più quel desso. Prima potevano stamparti sul viso: cito ac fidelis, ch'è la impresa delle Decisioni della sacra Ruota Romana, la quale impresa però non impedisce che le liti non durino quanto lo assedio di Troia, e sieno traditrici da disgradarne Sinone. Dunque dopo il trotto contentiamoci del passo: a domani. Brevi istanti appresso, piegando il volto verso il Duca, domandava di nuovo:

      —Quantunque per natura io rifugga da ogni maniera di indiscreta curiosità, pure non posso resistere alla voglia di conoscere il nome della vostra innamorata. Vorreste essermi cortese di compiacermi, signor Duca?

      —Lucrezia…

      —Oh! Lucrezia. È par fatale, che queste Lucrezie abbiano a mandar sempre sottosopra i nostri cervelli romani. Questa volta però non farà cacciare i re da Roma: vi stanno i papi, e con bene altre radici, che Dio li prosperi, e con bene altre virtù, che non erano quelle di Tarquinio; e Rodrigo Lenzuoli basti per tutti.—La Italia può fare a meno piuttosto del sole, che del Papa; senza quelle benedizioni urbi et orbi non crescerebbero i baccelli.—E riprendendo a scrivere, quasi per eccesso di brio mormorava:—Crezia, Creziuccia, Crezina,—ardo per voi la sera e la mattina…—Terminato lo scritto, si levò in piedi dicendo:

      —Olimpio, io mi figuro che tu abbia a recitare i tuoi rosarii; sicchè sarà bene che tu te ne vada. Avverti che non ti veggano uscire di casa mia; perocchè, quantunque tu sii meglio del pane, e onesto a prova di maglio, tu capisci bene che si possono avere amicizie migliori delle tue.—Marzio!

      E Marzio comparve.

      —Marzio, accompagna questo evangelista, per le scale di ritirata, all'uscio del giardino che sta sul chiasso. Addio; mi raccomando alle tue sante orazioni.

      ———

      —Come va, compare?—mentre Olimpio andava, così, battendo sopra la spalla di Marzio, lo interrogò.

      —Come piace a Dio,—rispose Marzio un po' duramente. E l'altro:

      —Oe, che non mi ravvisate, Marzio?

      —Io no…

      —Guardatemi meglio, e vedrete che parrà a voi quello che pare a me.

      —E che par egli a voi?

      —Pare che noi saremmo un magnifico paio di gioie attaccati alle orecchie di donna forca.

      —Olimpio, siete voi?

      —Lo spirito della forca ci fa come lo aceto nel naso; rischiara lo intelletto, e richiama la memoria…

      ———

      —Conte, prese a dire il giovane Duca esitando; io temo mostrarmi ingrato al consiglio ed aiuto vostri… e non pertanto sento non vi poter ringraziare. Dio… (ma io faccio male a invocare il suo santo nome in questa trista faccenda,—sarebbe meglio ch'ei non ne sapesse nulla). La fortuna dunque operi, che non vada a finire in pianto.

      —E la fortuna è per voi; perocchè, come femmina, ella ama i giovani, e gli audaci. Se Cesare non passava il Rubicone, sarebbe diventato Dittatore di Roma?

      —Sì; ma neppure gl'idi di marzo lo avrebbero veduto trucidato sotto la statua di Pompeo.

      —Ogni uomo porta, nascendo, l'ascendente della sua stella. Avanti dunque. Voi non potete fallire, che vi sovviene copia di autori volgari, greci e latini. D'altronde perchè repugnate commettervi alla fortuna? Ella governa il mondo. Vedete Silla, che più di ogni altro seppe accomodare le differenze con la scure, le dedicò il bel tempio di Preneste.

      E

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