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maraviglioso sollazzo a contemplare le prove di cotesta belva, e a Marzio, che gli si era accostato, così favellò:

      —Questo è il figlio della mia predilezione, come disse la voce sul Giordano; e lo educo, a Dio piacendo, a difendermi dai nemici, ed anche dagli amici; in ispecial modo dai miei figli dilettissimi; dalla consorte più diletta ancora, ed anche un po' da te—e toccava la spalla al cameriere—mio lealissimo Marzio.

      Così empita di spavento e di terrore la casa tornò alla stanza, dove la natura, vinta dalla spossatezza, lo costrinse a breve sonno e interrotto. Quando si alzò era torbido in vista.

      —Ho fatto mal sonno, Marzio…. mi son sognato che stava a mangiare co' miei defunti. Questo denota morte vicina. Prima però ch'io vada a mangiare costà, bene altri, Marzio, bene altri mi avranno preceduto ad apparecchiarmi la tavola.

      —Eccellenza, sono giunte lettere dal Regno per cavallari apposta….

      Il Conte sporse la mano per riceverle. Marzio continuava:

      —E di Spagna col corriere ordinario; le ho messe tutte sul banco dello studio.

      —Bene: andiamo….

      E sorretto da Marzio, accompagnato da Nerone, si avviava allo studio.

      Sorgeva appena un magnifico sole di agosto, il quale tingeva in oro co' giovanetti raggi l'azzurro emisfero. Unica gloria, dacchè la viltà nostra ci ha tolto perfino quello, che sembrava a perdersi impossibile—il sentimento della nostra abiezione. Dio! Oh come grandi hanno da essere le nostre colpe e la tua ira, se nè pianto, nè sangue, nè nulla vale a fecondare sopra questa terra un fiore di virtù!

      Il Conte si appressò al balcone, e, fissato il maestoso luminare, mormorò detti segreti. Marzio, letiziato a tanta bellezza di cielo e di luce, non potè trattenersi da esclamare:

      —Sole divino!

      A queste parole gli occhi del Conte, per ordinario spenti, corruscarono a modo di baleno dentro una nuvola, e gli avventò contro al cielo. Se è vero che Giuliano l'apostata lanciasse contro il cielo il sangue, che gli scorreva dalla ferita mortale, deve averlo gittato come quel guardo, e con quella intenzione.

      —Marzio, se il sole fosse una candela, che soffiandovi sopra potesse spegnersi, la spegneresti tu?

      —Io? Le pare, Eccellenza!—lo lascerei acceso.

      —Io lo spegnerei.

      Caligola aveva desiderato al popolo romano una testa sola, per recidergliela con un colpo; il Conte Cènci avrebbe voluto stritolare il sole. Povera creta! Se il sole si accostasse, la cenere della terra non occuperebbe spazio nell'universo.

      Si assise al banco; aprì, e lesse una, due e tre lettere, pacato in prima, poi precipitosamente; al fine, scorsele tutte, proruppe con orribile bestemmia:

      —Felici tutti! Ah Dio! tu me lo fai proprio per dispetto.

      E chiuso il pugno, abbassò il braccio con quanto aveva di forza: caso volle che colpisse in mezzo alla fronte Nerone, il quale col muso levato e gli occhi pronti seguitava i moti del suo signore. Il cane diè un balzo di furore, poi irruppe contro la porta, ne spalancò le imposte, e fuggì via sbuffando. Il Conte gli mosse dietro richiamandolo, non senza aver prima con un suo riso amaro osservato:

      —Vedi, Marzio, s'ei fosse stato un figliuolo mi avrebbe morso!—

      NOTE

      [1] «La nostra pelle è divenuta bruna come un forno per l'arsura della fame.» Geremia Lamentaz. V. n. 10.

      [2] «E Iddio separò la luce dalle tenebre.» Genes. C. I. n. 4.

       Indice

      IL PARRICIDIO.

      ……..tutta la Caina

       Potrai cercare, e non troverai ombra

       Degna più di esser messa in gelatina.

       DANTE.

      Marzio invitò il gentiluomo dal volto chiazzato di sangue a passare nello studio del Conte. Questi attendevalo in piedi; e tostochè lo vide, con bella leggiadria di maniere lo salutò dicendo:

      —Benvenuto, Principe; in che cosa noi possiamo avvantaggiare le comodità vostre?

      —Conte, ho da parlarvi; ma qui dentro vi è uno di troppo.

      —Marzio ritirati.

      Marzio, inclinata la persona, usciva. Il Principe, andatogli dietro, si assicura se avesse chiusa diligentemente la porta; tira la tenda, e poi si accosta al Conte, che, maravigliando non poco di coteste cautele, lo invita a sedere, e senza far motto attende ad ascoltarlo.

      —Conte! sarà Catilina adesso, che incomincerà la sua orazione ex abrupto. Però io vi dico ad un tratto, che estimando meritamente voi uomo di cuore e di consiglio, di mente e di braccio, a voi mi rivolgo per l'una e per l'altro, e spero mi sarete cortese di ambedue.

      —Parlate, Principe.

      —La svergognata mia genitrice, incominciò costui con voce velata, vitupera con sozze opere la casa mia ed anche un poco la vostra, pel vincolo di parentela che passa fra le nostre due famiglie. La età, invece di spegnere, riarde le sue aride ossa di libidine infame. Lo usufrutto ampissimo che gode, per disposizione dello stolido mio padre, sperpera fra turpi drudi:—per tutta Roma ne corrono le pasquinate:—vedo lo scherno dipinto sopra i volti della gente:—dovunque passi mi feriscono detti oltraggiosi…. il mio sangue ribolle nelle vene… il male è a tal ridotto, che non patisce rimedio, tranne…. Or via, ditemi, Conte, che cosa io mi debba fare.

      —La clarissima donna Costanza di Santa Croce! Ma lo pensate voi? Orsù; se voi fate per giuoco, io vi consiglio a torre per lo scherzo argomenti meglio dicevoli; se poi favellate da senno, allora, figliuolo mio, vi ammonisco a non lasciarvi andare alle tentazioni del demonio, il quale, come padre di menzogna, conturba le menti con immagini false….

      —Conte, lasciamo il diavolo a casa sua. Io posso mostrarvi qui le prove manifeste, ed obbrobriose pur troppo.

      —Vediamo.

      —Udite. Essa mi abbandona, per così dire, annegato nella miseria, mentre con l'entrate di casa tira su fanti e staffieri, e uno stormo dei loro figliuoli, che si sono annidati nel palazzo peggio che rondini;—me dal suo cospetto bandisce;—di me non vuol sentire favellare;—di me, Conte, intendete, di me che non mi sarei dato un pensiero al mondo dei fatti suoi, se si fosse comportata come madre benemerita verso figlio benemerente. E, per palesarvi ogni cosa di un tratto, ieri sera giunse a cacciarmi via di casa—dal mio palazzo—dalla magione dei miei illustri antenati.

      —Avanti, ecci egli altro?

      —E parvi poco?

      —Mi pare anche troppo: e veramente, a confessarvelo in secretis, corre buon tempo che io mi sono accorto come la Principessa Costanza nutra per voi, Dio la perdoni, naturale avversione. Adesso fanno appunto otto giorni ch'ella mi tenne lungo proposito di voi….

      —Sì?—E che cosa mai vi disse cotesta sciagurata di me?

      —Metter legna sul fuoco non è da cristiano; però taccio.

      —A quest'ora, Conte, lo incendio acceso dalle vostre parole è tanto, che poco più vi potete aggiungere;—e questo comprenderete di leggieri coll'ottimo vostro giudizio.

      —Pur troppo! E poi il silenzio mi grava, imperciocchè le mie parole vi serviranno di governo, e v'impediranno di farvi capitare male. La signora Costanza dichiarò espressamente, alla presenza di parecchi insigni prelati e baroni romani, che voi sareste il vituperio della famiglia; voi ladro,—voi omicida—voi, soprattutto, bugiardo….

      —Ella

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