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vincono qualunque pazienza, — il pensiero sbigottisce. — cascano le braccia....

      E l'Accusa eziandio riporta la minuta di lettera da me indirizzata al Municipio, che bene a ragione io qualifico sfogo. Certo, quando basta la coscienza per insultare con turpe oltraggio un uomo come doppio di cuore a pravo intento, quando si nega pudore, probità, gentilezza, tutto infine si nega, e la mano non trema nel mettere me — a stregua di un vile paltoniere, che visse, se pure può dirsi visse, 51 anno addietro.... queste dimostrazioni di animo non solo non si credono, ma si scherniscono. Diversamente poi giudica la coscienza pubblica, ed a questa volgendomi domando se, perturbatore io dei moti di Livorno, avrei potuto, senza fasciarmi la sfrontata faccia di bronzo, scrivere e mandare le seguenti parole al Magistrato della mia città, compagno, testimone e aiutatore delle opere mie, per ridurla da tutto sconvolta per cittadina battaglia, in comportabile assetto!

      «Signori ed amici onorandissimi,

      «Voi sapete, che quattro volte chiamato dalla Commissione, dal Municipio e dalla Camera di Commercio, mi astenni dal venire in Livorno, parendomi che la città nostra contenesse copia di ottimi cittadini capaci di condurla traverso ogni più duro caso. Non potei resistere alla ultima, imperciocchè avrei dimostrato ostinazione somma e poco affetto a chi mi ama.

      «Pertanto io venni e feci il mio dovere; null'altro più che il mio dovere. Esaminando lo stato della città, mi parve che la sua commozione derivasse da un subito esasperamento per ingiuria che il Popolo reputava aver patita. Mi persuasi di due cose importantissime: la prima che durava perenne l'amore per il Principe costituzionale; la seconda che di Comunismo e Socialismo il Popolo non sapeva nè anche il nome. Ciò posto, e l'evento dimostrò che non mi ingannai, mi parve facile ridurre Livorno in quiete, e Dio aiutando, e gli egregi cittadini suoi, vi fu ridotto.

      «Ma Livorno non ha mestiero soltanto di quiete, ha ben bisogno di sollecito e vigoroso riordinamento. La prima cosa derivava da credito e da mutua benevolenza, e presto venne conseguita. La seconda poi ha da emanare dall'azione governativa energica, unisona, libera, secondo la gravità dei casi, in tutti i suoi moti.

      «Mancava una guardia di Polizia, e fu creata.

      «Mancavano Magistrati di sicurezza, e furono istituiti.

      «Mancavano opere pei braccianti, e procurammo che una Commissione le apparecchiasse.

      «Mancavano denari al Municipio, e pensammo a una Commissione che li provvedesse.

      «Insomma, onde io non vi trattenga in troppo lunghe parole, fu provveduto a tutto, per quanto un volere fermo a procurare il pubblico bene può suggerire.

      «Ma al Governo molte cose increbbero, e bisognò disfarle: così perdemmo il benefizio delle nuove istituzioni, e delle vecchie non ci potemmo valere, perchè guasti gli ordini, gli impiegati assenti, manchevoli i denari.

      «Se il Governo aveva per iscopo renderci impotenti, egli lo ha conseguito; se intendeva che noi riordinassimo la città, non ha adoprato gli argomenti necessarii.

      «Ora questo stato di cose non può durare, perchè il disordine diverrebbe malattia cronica, e la mia coscienza non mi permette autorizzare con la persona un sistema che reputo rovina dello Stato.

       «Inoltre io comprendo essere inviso al Ministero, e non è possibile che procedano vigorosamente insieme uomini tra i quali il sospetto si e insinuato. Io da più parti ho notizia piena, che il Ministero mi reputa autore dei casi di Livorno: quanto sia giusta questa supposizione lascio considerarlo a Voi; ma nonostante egli nutre simile sentimento, e mi parrebbe vergogna scendere a giustificazioni.

      «Aggiungete ancora che il mio congedo dalla Camera domani o domani l'altro spira. A me tarda andare alle Camere e render conto alla Nazione del mio operato. Vedremo se mi condannerà o mi approverà.

      «Io però nè posso nè devo lasciarvi all'improvviso: sarebbe un tradire la benevolenza vostra, e la fiducia che avete in me riposta, ma lo faccio per avvertirvi che o V. S. poniate l'occhio in persona che possa surrogarmi nel posto che adesso occupo, o avvisiate il Governo che mandi l'Autorità con capacità e attribuzioni di governare. I tempi si apparecchiano neri, perchè io temo la minaccia del Cholera, la fame prossima che è qualche cosa peggio di minaccia, le finanze esauste, il malcontento dello imprestito coatto, le armi straniere, sieno pure piemontesi, introdotte in Toscana, e soprattutto temo ogni autorità caduta, ogni vincolo sciolto, perpetuato il disordine, e il tremendo ribollire dei bassi fondi della società.

      «Io vorrei essere falso profeta, ma vi ripeto che dolorose vicende si accostano. Non che io mi reputi da tanto da riparare al flagello di Dio; ma richiesto da voi, mi era offerto a fare quanto è possibile all'uomo pel bene del proprio paese: lascio la ingiuria, lo insulto e lo avvilimento, — queste cose non mi toccano; — ma il sospetto in cui sono tenuto mi toglie adito a imprendere qualunque provvedimento.

      «Considerate questa lettera come uno sfogo, perchè il mio cuore trabocca, e in ogni evento, per quel poco che valgo, tenetemi per amico, fratello, o quale altra cosa più caramente a Voi congiunta vi piaccia. Addio.»

      E il Municipio nell'8 ottobre 1848 mi rispondeva:

      «Comunità di Livorno.

      «Dal Palazzo Pubblico, li 8 ottobre 1848.

      «Illustrissimo Signore,

      «La Civica Magistratura di Livorno riconoscente delle molte cose, che V. S. Ill. ha operato isolatamente, ed in unione della medesima per il riordinamento di questa Città, nella sua seduta del dì 6 corrente ha deliberato un Voto di ringraziamento, e mi ha conferito l'onorevole incarico di parteciparglielo, siccome faccio con il presente foglio, protestando i puri sentimenti di riconoscenza, non tanto per la detta efficace cooperazione, quanto per la saggia instituzione della Guardia Municipale, di cui la Città tutta è alla S. V. Illustrissima intieramente obbligata.

      «Profitto di questa fortunata occasione per professarle la mia alta stima e rispetto, dichiarandomi

      «Di V. S. Illustr.

      «Dev. Servo

       «Avv. Luigi Fabbri Gonf

      La città universa qualche giorno prima mi compartiva i lieti onori, che l'Accusa ha saputo tornare in tristi lutti.

      «Al nostro concittadino F.-D. Guerrazzi, Deputato al Consiglio Generale Toscano.

      «Concittadino!

      «Vostra mercè Livorno, questa città, che è vivace per giovinezza di età, lo che è un pregio, non irrequieta, e turbulenta per effetto di malo costume, ha sostenuto dignitosamente durissime prove.

      «Vostra mercè il Popolo illuminato sulla giustizia del chiedere, ha con inalterabile fermezza tranquillamente aspettato ciò ch'era giustizia concedergli.

      «Vostra mercè infine, utili quanto opportune disposizioni governative hanno mantenuto fra noi come supremi e insperati vantaggi l'ordine interno, la sicurezza pubblica, la libertà delle industrie, la prosperità dei commerci.

      «E tuttociò in un tempo in cui il Governo superiore, passionatamente reagendo, credeva che anarchici fossimo e ostinatamente e disordinatamente ribelli. Onde finiva coll'abbandonarci a noi stessi... Fatalissimo errore!!!

      «Dopo aver compiuto l'altissimo ufficio, ecco che già tornaste là dove la vostra voce come rappresentante del Popolo è organo de' suoi diritti, è oracolo delle sue libertà. Tale modesto contegno, come vale meglio di ogni altro argomento a uccidere la calunnia o l'invidia, quando percuotervi osassero, svela sempre meglio la grandezza dell'animo vostro. Voi col fatto approvate quel detto di Catone, il più grande degli antichi Romani, quando condolendosi alcuno con esso lui perchè i suoi concittadini non gli avessero posto una statua nel Campidoglio, rispose: essere meglio meritare un onore che conseguirlo, meruisse satis.

      «Ciò però non toglie a noi Livornesi un debito sacro, ch'è quello di offrirvi pubblico e solenne attestato di patria riconoscenza. Accoglietelo, illustre Concittadino, come parola di ringraziamento, come pegno di confidenza non peritura in noi per voi, come senso di sincera stima e perenne affezione.

      «Livorno,

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