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l'anima esaltata dall'insolito giubilo.»

      «Giubilo! Hai tu mai incontrato uomo di plebe più avvilito di me? Hai tu veduto quali modi ostenti meco — imperatore e re — cotesta schiatta di mercanti? Avevano tra noi convenuto ch'io facessi l'atto del prostrarmi, ed egli mi avrebbe rilevato a mezzo... invece egli finse dimenticarmi ai suoi piedi... ha bevuto un lungo sorso di gioia del suo trionfo e della mia stupidità. — Ora tutta l'acqua dell'oceano non varrà a lavarmi dalla fronte macchia siffatta. — Dammi l'elmetto, Agrippa: — cuopri la mia vergogna sotto il ferro del guerriero: — mi abbisogna vincere almeno dieci battaglie per diventare soffribile a me stesso; — io, vedi, mi disprezzo; e dispero ormai questo mio capo possa contenere il disegno di dominare sul mondo, dacchè ha toccato i piedi d'un uomo. — E tu, Agrippa, mi hai dunque deluso quando traevi l'oroscopo? Così si avverano i tuoi presagi? Se' tu l'ingannatore, — o la tua scienza è bugiarda?...»

      «Non proseguite, Sacra Corona, o le stelle si vestiranno a lutto per l'angoscia dei vostri rimbrotti. Se volete dominare sul mondo, cominciate a dominare sopra voi stesso, nè consentite che l'ira vi tragga a maledire la scienza del re Salomone, la scienza divina. — A dovere era tratto l'oroscopo; — i cieli non mentiscono; — la vostra carriera luminosa è tutta descritta lassù nel cospetto eterno: — noi per avventura male lo applicammo, e questo punto, che noi reputavamo rappresentato dalla congiunzione della vostra stella con Giove, forse era compreso dal breve scontro col tardo pianeta di Saturno. E poi voi stesso non contemplaste la vostra stella?»

      «Sì, certo: — io la vidi... ma adesso, più dei miei conquisti futuri, più assai dei miei trionfi passati, forte mi stringe un desiderio intenso... un'agonia...»

      «Di che cosa, Maestà? Non istanno nelle vostre mani il bene e il male? Non fate voi la pioggia ed il sereno? Ad ogni vostro pensiero non potete aggiungere il fulmine della vostra potenza per volerlo eseguito?»

      «Potente come sono, in questo non posso nulla, perchè io sono d'impedimento a me stesso. — Se quando tenni questo papa prigione, lo avessi fatto rinchiudere in una gabbia ed esporre in ludibrio ai popoli!... ma ora io l'ho innalzato, alla faccia del mondo, ho sancito la sua autorità... gli posi in mano le verghe per flagellarmi.»

      «Io conosco il mezzo alla vendetta.»

      «Ah! io ti darei un ducato», riprese Cesare, e per poco non gli gettava le braccia al collo; «in qual parte di cielo lo leggevi? Spiegalo... io ti ascolterò senza curare di fame, nè di sonno.»

      «Non l'ho letto nel cielo: — sibbene nello inferno.»

      «Nell'inferno, Agrippa?»

      «Non vi atterrite, Maestà; — voi sapete che dalle arti diaboliche, come ogni altro cristiano, meritamente io rifugga; voleva dire nel cuore dell'uomo. — Sapete voi che Clemente prima di esser papa fu Giulio figliuolo bastardo di Giuliano dei Medici trucidato nella congiura dei Pazzi?»

      «Pur troppo lo so...»

      «Sapete voi come Lione X su i primi mesi del suo pontificato lo eleggesse cardinale?»

      «Anche questo sapevamo.»

      «Ma voi non saprete i canoni della Chiesa sotto pena di nullità impedire che i figli nati da illegittimo connubio sieno promossi alla dignità dell'episcopato; — voi non saprete come per ovviare a siffatto impedimento s'inducessero falsi testimoni, i quali, la grazia umana alla verità preponendo, deposero la madre della quale era stato generato costui innanzichè ammettesse agli abbracciamenti suoi il padre Giuliano, averne avuto la fede segreta di diventarle marito[97].»

      «Va oltre...»

      «E non saprete neppure come al pontificato ascendesse con manifesta simonia, però che suoni universale la fama ch'ei lo comperasse mediante una cedola segretissimamente firmata di sua mano, con la quale si obbligava di conferire al cardinale Colonna la vice-cancelleria e il sontuoso palazzo fabbricato dal cardinale di San Giorgio...[98]»

      «Dunque?»

      «Ed alla Maestà Vostra importa ancora moltissimo comporre le differenze dei luterani, le quali come offendono il papato, così un giorno potrebbero offendere anche voi. — Io penso che non vogliate andare tanto pel sottile intorno alle tesi di fra Martino: — la bisogna sta di porre un calcio in gola a Giovanfederigo duca di Sassonia, al langravio Filippo e a papa Clemente; — tutto ciò conseguirete in un punto.»

      «E in qual modo? Spácciati: — come san Lorenzo mi pare di starmi sopra le brace...»

      «Convocando un concilio ecumenico. — Quivi sarà deposto Clemente come bastardo e simoniaco, esoso all'universale; quivi perderanno la riputazione Giovanfrancesco e Filippo, alcune pretensioni concedendo, alcuni pretendenti guadagnando, poco dando ed a pochi, a tutti moltissimo promettendo; insomma adoperandovi le arti di regno, che io so per avere sentito dire, e voi per pratica diuturna molto meglio di me sapete[99]. Che ve ne sembra, Sacra Corona?» Carlo non lo ascoltava più; — accostandosi alla porta, chiamò Adriano di Croy e gli disse:

      «Sire conte, — mandate ad annunziare la presenza della nostra augusta persona; — voi accompagnateci con le debite cerimonie al convito.»

      «Sacra Maestà! Sacra Maestà!» — correndogli dietro gridava Cornelio Agrippa.

      «A che chiamate, cavaliere?»

      «E il ducato?»

      «Oh! un ducato non si ha mica per le mani come un consiglio. — Abbiamo promesso conferirvelo, e lo avrete: — però noi non ci siamo prescritto spazio fisso di tempo... sperate... lo avrete... sarete consolato.»

      Cesare incamminandosi al banchetto, queste diverse parole si facevano a mano a mano più languide e meno distinte, come la gratitudine dei re all'avvenante che si dilunga dal benefizio.

       Indice

      E' vi fu un tratto una donna lombarda

      Che credeva che il papa non foss'uomo,

      Ma un drago, una montagna, una bombarda.

      E vedendolo andare a vespro in duomo,

      Si fece croce per la meraviglia:

      Questo scrive uno storico da Como.

      Berni, Capitolo in lode del Debito.

      E che il gran vecchio onde ti appelli erede,

      Tiranneggiando in noi del ciel l'impero,

      Vergogna il prenda, ove talor ti vede.

      Alamanni, Satira II, parlando di Clemente VII.

      Clemente papa ora se ne sta ridotto nella stanza più riposta del suo palazzo: ella era di forma ottagona con bellissime colonne di ordine ionico. Da quattro lati vi fanno capo altrettante porte di rare modanature come sapeva condurre la eccellenza dell'arte così comune in quei tempi; gli altri sodi appariscono ornati di quadri rappresentanti martirii di santi, membra segate, capi fessi, brindelli laceri, che infondono, piuttosto che riverenza, ribrezzo; — intorno all'architrave superiore si innalza una parete che gli architetti chiamano tamburo, e sul tamburo una cupola elegante a imitazione delle forme immaginate dal divino Brunellesco.

      Clemente posa in ampia sedia decorosa di velluto cremesino e per bollettoni dorati: un pulvinare di velluto sottosta ai suoi piedi; dinnanzi ha una tavola ricoperta di velluto; — sopra la tavola un Cristo effigiato con tanta maestria che par che spiri; — e un messale stupendo per gl'industri lavori di fermagli e cesellature co' quali maestro Benvenuto l'ornò.

      Il papa, deposta la pompa degli abiti pontificali, veste la cappa rossa, la mozzetta, o sarrocchino di velluto soppannato di pelli bianche come neve; — il capo ha coperto di un berretto che i preti chiamano camauro, di velluto anch'esso e soppannato di pelle. Gli occhi tiene fissi sopra il messale, ma come gli

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