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ai 14 ottobre 1525, e morí un mese appresso, esecrato. – Fecesi poi, a’ 22 maggio 1526, una lega migliore, poiché aperta, tra il liberato Francesco I, Clemente VII, lo Sforza e i veneziani. Ma fu infelice del paro; l’avesser fatta al principio della guerra! ora era tardi. Lo Sforza ne rimase spoglio di Milano [24 luglio], e Roma pagò caro la leggerezza, la pretesa abilità, l’effettiva inabilità e i lussi de’ Medici. In settembre di quell’anno fu presa Roma una prima volta, e saccheggiato il Vaticano da Pompeo Colonna; e Clemente, rifuggito in castel Sant’Angelo, riescì a far patti e liberarsene. Ma l’anno appresso, il Borbone, giá vittorioso in Lombardia, in tutto il settentrione, ed a capo d’un grande esercito quasi disoccupato e non pagato, s’incammina con esso verso mezzodí; senza che si sappia, senza che sapesse egli forse qual città o provincia d’Italia destinasse a servir d’occupazione e di paga a sue vecchie e feroci bande. Scende, varca Appennino, minaccia Firenze, piomba su Roma [5 maggio 1527]. Addì 6 dà l’assalto ed è ucciso d’un’archibugiata che il vano Benvenuto Cellini dice aver tirata egli. Succedegli un tedesco francese, il Nassau-Oranges; e si continua, s’entra in Trastevere e Vaticano, si saccheggia ed ammazza, e si passa il Tevere; e in tutta Roma, peggio che mai, prede e stragi e tormenti a’ prigioni per trame riscatti e far palesar nascondigli, men da soldati arrabbiati che da assassini da macchia. S’aggiunsero i Colonna, la fame, la moria. Eserciti alleati s’appressarono, e non osarono mettersi in questo inferno; il papa s’arrese e rimase prigione, e poi fuggì. Carlo V fece le viste di piangerne da lontano, ma lasciò continuare nove mesi. Ai 17 febbraio 1528 solamente, uscirono l’Oranges e sue bande, per danari mandati da Clemente giá scampato. Intanto si sfidavano Carlo V e Francesco I; e non ne seguiva nulla di piú che in quell’altra scimmiata di lor maggiori, Pietro d’Aragona e Carlo d’Angiò. Scendea Lautrec con un esercito francese, e correa tutta Italia fino al Regno; dove guerreggiò poi coll’Oranges, e perirono egli e molti de’ suoi d’una gran morìa. Ed anche in Lombardia v’era moría e guerra tra un nuovo esercito francese sotto il Saint-Pol, e un nuovo tedesco sotto il Brunswick. Ai 28 maggio, Filippino Doria, genovese ed ammiraglio di Francia, dava una gran rotta navale all’armata imperiale nel golfo di Salerno. Ai 30 giugno, Andrea Doria, zio di Filippino ed anche ammiraglio di Francia, ne dismette il servigio; e ai 20 luglio, passa all’imperatore, a patto di lasciargli liberar la patria, e la libera addí 12 settembre, e ne rifiuta poi la signoria, la tiene in libertá, ne riman primo e gran cittadino. Finalmente, ai 20 giugno 1529, si fa pace in Barcellona tra Carlo V e Clemente VII; e in luglio s’incomincia, e addí 5 agosto si firma in Cambrai, tra Luigia di Savoia per Francesco I suo figliuolo, e Margherita d’Austria duchessa di Savoia per Carlo V, un trattato che fu detto quindi «delle dame»; per cui, fatta pace tra le due potenze strazianti Italia, rimase questa una seconda volta abbandonata tutta ad Austria. In novembre, furono insieme a Bologna papa, imperatore e Sforza; e fu restituito a questo il ducato con dure condizioni [22 novembre]; fatta pace con Venezia [23 dicembre]; fatto duca il Gonzaga, giá marchese di Mantova [25 marzo 1530]; e dal papa incoronato a re d’Italia e imperatore Carlo V [22 febbraio, 24 marzo 1530]. Questo congresso di Bologna fu quasi placito imperiale a modo de’ Carolingi. – E rifatti cosí amici imperatore e papa, rimasene abbandonata a questo la misera Firenze. Ella avea gia cacciati i governanti medicei, s’era rivendicata in libertá fin da dieci di dopo la presa di Roma [16 maggio 1527]. Ed erasi poi ordinata in repubblica meglio forse che non fosse stata mai; aveva quell’armi proprie, ordinate un vent’anni prima per consiglio di Machiavello. Fortificò allora, afforzò sue mura; ed a tale opera venne, abbandonando Roma e i lavori e l’arte, bell’esempio, Michelangelo. Peccato che tutto questo spirito militare fosse nuovo in lei! Anche qui era troppo tardi. Fu causa che non avesse capitano di nome, che non conoscesse uno de’ propri cittadini, il Ferrucci, di ciò forse capace. Così fu ridotta a cercarsi, ad assoldare un capitano forestiero, Malatesta Baglioni. Il quale poi, fosse traditor veramente, o forse ingiustamente venutone in sospetto, ad ogni modo, fu perdizione ultima di quella città, troppo a lungo rimasta imbelle. Venne contro per il papa l’Oranges, a capo di quelle stesse bande che aveano testé saccheggiata Roma. Ai 14 ottobre 1529, pose campo dinanzi a Firenze, ai 10 novembre die’ un primo assalto, e fu respinto. Ai 15 dicembre morí nel campo imperiale quel Gerolamo Morone, il congiuratore per l’indipendenza d’Italia contro all’imperatore! Addì 23 dicembre, per quella pace di Venezia che dicemmo, la misera Firenze si trovò abbandonata dalla secolare alleata. Voltosi l’assedio in blocco, i fiorentini fan due belle sortite addí 21 marzo e 5 maggio 1530. Addì 27 aprile, il Ferrucci, che teneva fuori la campagna, prende Volterra; e la difende poi contro agli imperiali, e aduna e muove un esercito di soccorso; e ai 2 agosto, a Gavinana, s’incontra coll’Oranges, e questi v’è morto; ma Ferrucci ferito, preso e finito da Maramaldo, un indegno soldato. Addí 8, il gonfaloniero vuol deporre il Baglioni, ma non è secondato dal popolo giá stanco; si divide, s’indebolisce la difesa; e addí 12 agosto, capitola la cittá. Cosí, dopo una difesa di dieci mesi, che sarebbe bella in qualunque tempo, che fu bellissima, unica in questi, cadde non indegnamente quella cittá, quella repubblica di Firenze, che vedemmo, a malgrado gli errori, la piú nobile, la piú gentile, la piú alta, la piú guelfa, la piú nazionale di tutte, all’etá de’ comuni. Ella aveva, nella sua politica tutto nazionale, imitata bene quella Roma antica che le fu proposta sovente a modello da’ propri scrittori, dal Villani fino a Machiavello. Ma che serve? ella non seppe imitare la virtú militare romana. Ella mostrò in quest’ultimo assedio, ella aveva mostrato, dugento anni prima, in quello d’Arrigo di Lucemburgo, ch’ella non mancava di tal virtú naturalmente. Ma in que’ dugent’anni tramezzo, scacciata sua aristocrazia militare, e postasi sotto a una aristocrazia tutta commerciante, sotto i Medici commerciantissimi, ella aveva neglette, sprezzate, pagate l’armi; e l’armi pagate le fecer fallo al dí dell’ultimo bisogno. Né d’allora in poi, né trecento e piú anni corsi fino ai nostri dí, si combatté mai piú per lei, né intorno a lei. Ella non esercitò, non vide nemmeno piú mai il viril gioco dell’armi; ed ella ne rimane piú disavvezza che niuna forse delle cittá cristiane, abitate dall’audace schiatta di Giapeto. – Un Valori ed altri palleschi la governaron presso ad un anno tra gli esigli e i supplizi. Addí 5 luglio 1531, venne Alessandro de’ Medici, bastardo di quel Lorenzo che era stato duca d’Urbino; e tiranneggiò con nome di principe e duca, fatto ereditario per decreto da Carlo V, e marito ad una figliuola sua bastarda. Intanto, papa Clemente dava Caterina, figliuola legittima di quel medesimo Lorenzo, a un figliuolo di Francesco I, che fu poi re Enrico II di Francia [27 ottobre 1533]; e perciò venne egli stesso a Nizza e Marsiglia. E cosí barcheggiando, ed aiutandosi di Francia ed Austria, Clemente VII avanzava sua famiglia, e doveva esserne satisfatto oramai. Morí addí 25 settembre 1534. Da cardinale e ministro di suo zio aveva avuta voce di abilitá. E se questa sta in avanzar i suoi, conservolla ed accrebbela. Parve, del resto, principe e pontefice mediocre anche a’ contemporanei, salvo che ad alcuni letterati ed artisti.

       7. Paolo III [1534-1549]. – Succedette Alessandro Farnese, che prese nome di Paolo III [13 ottobre 1534], sangue d’antichi condottieri, prelato tutt’altro che incolpevole, padre di Pier Luigi ch’ei fece in breve gonfaloniere di Santa Chiesa. – Mutossi, fin da’ primi anni di lui, lo stato d’Italia per due morti. Era morto, fin dal 1533, l’ultimo de’ Paleologi marchesi di Monferrato; e pretendendo, come giá anticamente, i duchi di Savoia e i marchesi di Saluzzo alla successione, l’imperatore diedela [1536], come di feudo femminino, ai Gonzaga di Mantova, che rimasero poi cosí per piú d’un secolo, terza razza de’ marchesi di Monferrato. Morí poi [I novembre 1535] Francesco II, ultimo Sforza, senza figliuoli; e lasciò il ducato all’imperatore, che come imperatore giá il rivendicava, e l’occupò. Ma sorse Francesco I di Francia a disputarlo; e dopo sette anni di pace si riaprì la solita guerra. Fecesi questa volta meno in Lombardia che in Piemonte. Nel quale, al duca fanciullo Carlo II che dicemmo regnante nel 1494, erano succeduti Filippo II [1496], Filiberto II, detto il bello [1497], e Carlo III il buono [1504], infelici principi tutti: che avean sofferto con pazienza l’andar e venir degli eserciti francesi, tedeschi e spagnuoli. Ma or fu peggio; ché, piú forte, l’imperator duca di Milano rattenne la nuova guerra fuori del ducato, e quasi tutta in Piemonte. I francesi occuparono Savoia, Torino e mezzo Piemonte [1536]. Duca Carlo s’alleò coll’imperatore, e questi occupò il resto. Più forti gli imperiali, fecero nuovamente una punta in Provenza, ma furon respinti, e guerreggiossi di nuovo in Piemonte nel 1537. Fecesi in Nizza, nel 1538, una tregua di dieci anni, che durò appena

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