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un concilio a Pisa. Ma un forte esercito spagnuolo sotto al Cardona veniva in aiuto a Giulio II, ed assediava Bologna tornata nuovamente a’ Bentivogli [21 maggio 1511]; e i veneziani riprendean Brescia. Allora apparí per poco una vera meraviglia di arte e virtú militare, un predecessore de’ grandi capitani moderni, Gastone di Foix, nipote del re di Francia, giovane di ventidue anni. Il quale, appena ebbe preso il comando, che ficcatosi in mezzo ai due eserciti nemici, e piombando or sull’uno or sull’altro, addí 7 febbraio respinse gli spagnuoli da Bologna, addí 19 ruppe i veneziani e riprese Brescia, e ritornò quindi sull’esercito spagnuolo e papalino, e li sconfisse a Ravenna [11 aprile]. Ma ivi morí, immortalatosi in pochi mesi. E allora precipitarono i francesi. Massimiliano lasciò passare ventimila svizzeri che scendean alleati a’ veneziani; Spagna e Inghilterra assaliron Francia; Luigi XII richiamò il suo esercito dal Milanese; Massimiliano Sforza, figlio del Moro, fu fatto duca a Milano; in giugno si sollevò Genova e cacciò i francesi. Cosí, toltene alcune castella, furon questi cacciati di tutt’Italia. Ma eran tutt’altro che cacciati tutti i barbari. Abbondavano spagnuoli, tedeschi e svizzeri, e tiranneggiavan cosí, che, per dar loro una ricompensa delle vittorie procacciate alla lega, fu loro abbandonata una delle piu nobili cittá e potenze italiane, Firenze. – Questa fin da poco dopo la vittoria degli «arrabbiati» contro al Savonarola s’era riordinata e posata sotto l’autoritá d’un solo; e (tanto era impossibile oramai un governo piú repubblicano) sotto un Soderini, gonfaloniero a vita [1502], che avea poi retto con bontá, semplicitá, mediocritá. Machiavello era uno de’ due segretari o ministri principali di lui. Tra tutti ed a forza di trattare, barcheggiare, scivolare, eran riusciti ad ottenere che si lasciasse lor riprendere la desiderata Pisa, e l’avean presa [1509]. Ma, se non esclusivamente, eran pur sempre rimasti stretti con Francia; ed ora i vittoriosi di Francia le posero una multa per quella fedeltá. Que’ mercatanti repubblicani che aveano avute velleitá ma non volontá di ordinar armi proprie, secondo il consiglio di Machiavello, e che eran poi gretti e stretti in fatto di danari, ricusarono, indugiarono. Vengono i Medici, cioè (morto giá Piero da parecchi anni) Giuliano e il cardinal Giovanni, ed offrono pagar la multa se fosser fatti signori della cittá. Cardona accetta, varca Appennino, prende, saccheggia Prato; e i fiorentini, spaventati, si sollevano, cacciano Soderini, e accettan i Medici [settembre 1512]. Governarono insieme Giuliano e il cardinal Giovanni. Ma questi per poco; ché, morto papa Giulio addí 21 febbraio 1513, gli successe esso il cardinal Giovanni [11 marzo] con quel nome di Leone X, che, a torto od a ragione, è forse il piú noto, il piú popolare fra quelli di quanti papi furon mai.

       5. Leone X [1513-1521]. – Le nature facili, liete, pompose, leggiere, trascurate od anche un po’ spensierate, sogliono piú che l’altre trovar fortuna in vita, e gloria dopo morte. Tal fu, tal sorte ebbe Leone X, del resto non gran principe politico ed ancor meno gran papa. Nato nel 1475, cresciuto tra l’eleganze, le colture, le magnificenze del palazzo Medici e della villa di Careggi; tra Ficino, Poliziano, Pico della Mirandola, Michelangelo, e una turba di minori, ma simili; cardinale a tredici anni; fuoruscitosi in sui diciannove, ma nella porpora, ed ora a Roma, ora alle corti dentro e fuori d’Italia; in colti ozi durante Alessandro VI; poi negli affari, nelle legazioni sotto Giulio II; prigione alla battaglia di Ravenna, ma in breve liberato, ed autor principale della restaurazione di sua casa in sua bella cittá; l’elezione, l’assunzione, l’incoronazione di lui furono veri trionfi. Dopo Alessandro VI, troppo scellerato per essere nemmeno stato protettor d’arti o di lettere, dopo Giulio II, fiero, iroso in queste stesse protezioni, pensi ognuno qual gioia dovesse or sorgere in quella turba di letterati ed artisti che, quasi ballerine tra guerrieri, si frammettevano allora ai feroci invasori, ai cupi politici, ed ai dolenti popoli d’Italia. Quella lieta turba non si vuol perder di memoria mai da chiunque voglia farsi un’idea adeguata di questi tempi singolarissimi. Certo in quelli di PericIe, d’Augusto, né di Ludovico XIV, non fu, o almeno non durò, niun siffatto contrasto di feste e di dolori. Qui la patria era in mano a stranieri; e il principe successor d’Alessandro III e di Giulio II pensava ai nepoti, ai Medici, a far loro Stati in Firenze ed Urbino. Qui sorgeva il sommo degli eresiarchi stati mai dopo Ario; e il pontefice pensava che fosse un frataccio peggio che il Savonarola, e che finirebbe come lui; e proseguiva in quell’abbellir Roma, in quell’edificare, e scolpire, e dipingere, e fare scrivere e rappresentare commedie che avevano scandalezzata la rozza Germania. Insomma, moralmente, politicamente e religiosamente parlando, non sarebbe troppo il dire che fu un vero baccanale di tutte le colture; e se scendessimo ai particolari di sua incoronazione, o, peggio, di ciò che fu allora scritto, rappresentato, dipinto o scolpito in Vaticano, ei parrebbe forse dimostrato a ciascuno. Ma, non avendone luogo, lasceremo che ognuno giudichi secondo le proprie informazioni della severitá del nostro giudicio. – Pochi giorni dopo l’assunzione di Leon X, Luigi XII firmò sua pace con Venezia [24 marzo 1513]; e, cosí assicurato, mandò La Tremoglia e Triulzi a riconquistare Milano contro allo Sforza. Ma vinti i francesi dagli svizzeri presso a Novara [6 giugno], ripassaron l’Alpi; e allora Leon X e gli spagnuoli si rivolsero di nuovo per lo Sforza contra Venezia, e rioccuparono quasi tutto lo Stato di terraferma. Guerreggiossi e trattossi variamente tutto l’anno appresso. Ma morto in gennaio 1514 Luigi XII, e succedutogli Francesco I, principe buono, leggero, facile, gran protettor di lettere ed arti ancor egli, non gran capitano ma gran cavaliero e guerriero, rinnovò l’alleanza con Venezia; e (guardatogli contro dagli svizzeri il passo di Susa) scese per l’Argentiera e Sestriera con un forte esercito a quel Piemonte cosí sovente attraversato, a quella Lombardia cosí sovente riconquistata. Due giorni [13 e 14 settembre] si combatté in Marignano tra’ francesi e gli svizzeri dello Sforza; vinse Francesco I; ventimila cadaveri vi giacquero; il Triulzi, stato a diciotto battaglie, disse, che l’altre eran giuochi da fanciulli, questa battaglia di giganti. Ondeché qui cessa la meraviglia che i venturieri italiani, avvezzi a non ammazzarsi, fosser vinti da tutti questi stranieri che s’ammazzavano cosí davvero. Quindi ritrassersi finalmente gli svizzeri a lor montagne, e noi fummo liberati almen di questi, che fecero l’anno appresso una pace perpetua con Francia. Intanto, ritrattisi anche gli spagnuoli, Lombardia fu di nuovo di Francia, Terraferma di Venezia, e Massimiliano Sforza lasciò il ducato per sempre, e fu a vivere pensionato in Francia, dov’era vivuto e morto prigione il Moro suo padre. E Leon X fece pace col vincitore; ed abboccatosi con lui a Bologna, v’aggiunse poi un concordato, che per secoli regolò le cose di religione di Francia. E il medesimo di che firmò quest’accordo [18 agosto 1516], investi suo nipote Lorenzo di Pier de’ Medici del ducato d’Urbino, tolto pochi mesi addietro a Francesco della Rovere, che aveva pur data l’ospitalitá a’ Medici esiliati. Morto poc’anzi [17 marzo 1516] Giuliano ultimo fratello di Leone, questo Lorenzo era oramai il piú prossimo parente di lui, e governò poi colla solita potenza indeterminata la cittá di Firenze, e come principe il ducato d’Urbino, ritoltogli dal La Rovere e restituitogli l’anno appresso. – Intanto, morto Ferdinando il cattolico re di Spagna ed Indie e Sicilia e Napoli [15 gennaio 1516], e succedutogli Carlo figlio di sua figlia, che fu primo in Ispagna e quinto in Germania e nell’imperio, questi firmava [13 agosto] in Noyon un trattato di pace con Francesco I, al quale aderí in breve pure [4 dicembre] Massimiliano. E cosí finalmente, dopo sette anni, finirono gli scompigli politici e guerrieri sollevati dalla lega di Cambrai. Salvo le cittá di Romagna e del Regno, ripresele fin da principio di quella guerra, Venezia riebbe tutti gli Stati suoi di terraferma; esausti sí, ma che dovetter rifarsi prontamente, ondeché non mi sembra valere tale scusa per quella neutralitá od indifferenza in cui ricominciò a poltrire rispetto agli affari d’Italia. Non furono le forze, furono gli spiriti di lei che si trovarono abbattuti dopo quella guerra, o piuttosto che giá erano quando ella rimase neutrale ed infingarda alla discesa di Carlo VIII, o piuttosto giá dall’antico, tante altre volte che si racchiuse in sua sicurezza delle lagune, tra’ pericoli e i guai dell’indipendenza nazionale. La repubblica di Venezia, indipendente essa, non si curò della indipendenza nazionale, non fu guari italiana mai, se non al tempo della lega lombarda; del resto, sempre strettamente, grettamente veneziana; e se le si voglia cercare una scusa od anche una gloria italiana, non le si può trovar guari a questi tempi se non quella d’averci difesi da’ turchi. Prima di questi, quella politica di lei, che tanti dicono profonda, non può non tacciarsi di leggerissima, per non aver pensato mai a nessuna impresa d’indipendenza, a cui ella sola forse poteva esser capo o centro, che ella piú che l’altre potenze italiane doveva prevedere necessaria. Cosí il languire poi, e decadere, e cadere ultimo di lei, servan d’esempio salutare a qualunque

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