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che mi dice mio figlio non essere morto… Ah! io avrei per voi la maggiore riconoscenza del mondo, se voi foste così pietoso da restituirmelo.

      Nariccia alzò dalla punta de' suoi scarponi lo sguardo de' suoi occhi birci, e lo fece guizzare un momento sulla faccia d'Aurora.

      – Suo figlio? diss'egli poi colla voce flebile di chi con pena si decide a parlare di cosa altrui dolorosa. Perchè la vuole tornar sempre su questo per lei crudelissimo argomento? Oh! se io potessi restituirglielo! Che cosa non farei per ciò? Ma la terra non rende più la sua preda.

      Aurora, dimentica un momento di quel suo riserbo di maniere con cui aveva sempre trattato Nariccia, lo prese ad un braccio e glie lo strinse forte.

      – Mi giurate voi che il mio bambino è morto davvero? Me lo giurate sull'anima vostra?

      Nariccia, che conosceva perfettamente la teoria gesuitica delle restrizioni mentali, rispose senza punto esitare:

      – Glie lo giuro.

      La giovane lasciò andare il braccio di lui, e le mani le caddero abbandonatamente lungo il corpo con desolata rassegnazione.

      – Partirò quando si voglia: diss'ella dopo un poco, facendo un atto che indicava preferire a quel momento rimaner sola, e Nariccia s'affrettò a levarsi dalla presenza di lei.

      – Che cosa avete detto? Domandò l'intendente con feroce cipiglio ad Eugenia, avutala sola tosto dopo quel colloquio con Aurora. Che cosa avete lasciato capire alla marchesina?

      Eugenia, allibita, non seppe che cosa rispondere.

      – Traditrice: riprese più niquitoso che mai il tristo. Voi ora, tosto, senza un minuto d'indugio, prendete le vostre robe ed uscite di questa casa.

      La misera, senza il menomo cenno di resistenza, si dispose ad obbedire. Avrebbe voluto vedere ancora la padrona cui stava per abbandonare per sempre, ma non le fu concesso. Nariccia per punirnela avrebbe anche voluto privarla affatto di quella somma che le era stata promessa per comprarne il complice silenzio, ma in ciò Modestina si intromise efficacemente, ed aiutata da Padre Bonaventura ottenne che ciò nulla meno Eugenia non fusse priva del pattuito compenso. Usci essa di quella casa nè le si diminuì il rimorso del suo passivo concorso a quell'empio delitto che ogni giorno le sembrava maggiore, di avere derubato ad una madre il figliuolo; e molte volte anco di poi fu sul punto di rinviare a chi l'aveva pagata i mal guadagnati denari, per riprendere il diritto di dar compiutamente ascolto alla sua coscienza e rivelar tutta la verità in una lettera alla marchesina Aurora.

      Ma com'avrebb'ella fatto poscia per vivere? Tornare a Torino le ripugnava profondamente: preferiva rimanere dove non si sapesse che suo padre e suo marito erano condannati in carcere per truffa; pose la sua dimora a Milano e cercò lavoro per guadagnarsi la vita. Presto conobbe che non era così facile il trovare questo lavoro, principalmente a lei nello stato di gravidanza inoltrata in cui si trovava. Se non avesse avuto la somma pagatale da Nariccia avrebbe dovuto morire di fame essa stessa, altro che poter bastare alle provviste necessarie pel nascituro, ai bisogni di quest'esso quando fosse venuto al mondo. Ritenne con pena il male acquistato denaro e si tacque.

      Aurora frattanto era stata condotta al monastero scelto da Padre Bonaventura. Aveva ella domandato di Eugenia e meravigliatasi assai dell'improvvisa di lei sparizione, ed erale stato risposto da tutti d'accordo che, venuta prima che si credesse a maturanza la gestazione di lei, aveva essa dovuto allontanarsi sollecitamente per disporsi al parto che in quella casa non si doveva, nè si voleva avesse luogo. La spiegazione era affatto naturale, ma tuttavia sembrava ad Aurora che un momento avrebbe pur potuto averlo Eugenia a venirle dare il saluto d'addio, e un intimo sospetto ch'ella si guardò bene dal manifestare ad alcuno, l'avvertiva che par null'altro erasi impedito fra lei e quella donna un ultimo colloquio che pel timore si ripigliasse fra loro quel discorso cui la venuta di Nariccia aveva in sì mal punto interrotto. La speranza convien dire che sia un'edera tenace e vivacissima quando s'attacca al cuore d'una madre e per poco favorevoli che trovi le circostanze pur vive, poichè un vago sentimento di essa, una specie di lusinga continuò ad esistere nel fondo dell'anima di Aurora, cui ella nascose quasi come un tesoro che temesse le venisse rapito, e ad appurare la verità del quale sentimento ella si riprometteva di impiegare ogni mezzo che le si presentasse ed appena potesse.

      Modestina Luponi, pagata de' suoi servigi, fu congedata colle più serie minaccie s'ella parlasse, e fra Bonaventura e Nariccia s'incaricarono di vegliare sul suo silenzio. Ella, datasi in preda alla più sregolata vita, non istette gran tempo che cadde nella miseria, vide, come udimmo da lei medesima narrato, volgere a male sua figlia, e visse finalmente di elemosine col raccattato nipotino di cui traeva, come sappiamo, profitto, elemosine alle quali concorreva dapprima la famiglia Baldissero e poi, quando l'attuale marchese, stomacato di lei, proibì la si lasciasse ancora entrare nel suo palazzo, che la aiutava a guadagnare Padre Bonaventura, rimasto sempre con lei in abbastanza intime attinenze.

      Aurora stette un anno circa nel monastero. Passato questo tempo, suo fratello tornò di Spagna. La sua anima buona e generosa era tormentata dal rimorso di tutto il male che aveva fatto a quella sorella, cui aveva amato ed amava tuttavia pur tanto. Si adoperò presso il padre affinchè Aurora fosse ripresa come prima in famiglia, posto compiutamente in oblio, come se non fosse avvenuto mai, tutto il passato. Ma il marchese padre disse che non altrimenti sua figlia avrebbe potuto degnamente tornare e non sarebbe tornata alla società che al braccio d'uno sposo, il quale coll'onorevolezza del suo nome coprisse tutto il disdoro dell'episodio trascorso; Aurora da canto suo si mostrò riluttante ad ogni modo a entrare di bel nuovo nel seno della famiglia, in quel luogo pieno di memorie ora tanto dolorose per lei, in mezzo a persone che avevano cagionato la sua irrimediabile sventura. Si rifiutò ella persino a tutta prima a rivedere suo fratello che supplicava caldamente di poterle andare a chieder perdono; e acconsentì finalmente a riceverlo, perchè un nuovo disegno era nato in lei, attinente sempre a quella incerta, irragionevole speranza che pur durava nel suo cuore.

      Con qual animo si trovassero a fronte dopo tanto tempo e dopo le cose intravvenute, fratello e sorella, è più facile immaginare che descrivere. Il cuore palpitava ad entrambi, a lui di tenerezza soltanto; a lei parte di commozione nel trovarsi a fronte il compagno della sua infanzia, l'amico più caro della sua giovinezza, parte d'odio nel pensare che quello era pur l'uccisore del suo Maurilio.

      I primi minuti del colloquio furono penosamente impacciati. Fu Aurora medesima che dominata dal concepito disegno, diede per prima più animata andatura al discorso. Disse al fratello le sue vaghe speranze, aggiunse che allora avrebbe perdonato a chi le aveva tolto il marito, quando egli le avesse restituito il figliuolo. Il marchese non potè a meno che trovare destituiti d'ogni buon fondamento quei dubbi onde si lusingava l'amore materno d'Aurora: ma pure promise a lei ed a se stesso che tutto avrebbe fatto per venire in chiaro della verità e se la cosa era possibile, egli ad ogni costo avrebbe ritornato fra le braccia della misera madre il bambino.

      Per saper qualche cosa in proposito non gli si presentava che un mezzo: quello d'interrogare la persona che da suo padre era stata incaricata di accudire ad Aurora, l'intendente Nariccia; ed il marchese, benchè senza la menoma credenza che i sospetti della sorella avessero ragione, si recò da lui. Nariccia a quel tempo aveva già abbandonato il servizio della casa di Baldissero e si era dato esclusivamente a quel bel traffico d'usuraio che doveva gonfiare sino ai milioni la già rotonda cifra dell'aver suo.

      Non occorre dire come alle prime parole che il marchese figliuolo diresse a quel tristo a tal riguardo, egli giurasse, e spergiurasse che il bambino era morto per davvero, positivamente morto, e non c'era più da discorrerne. Il fratello d'Aurora stava per partirsene, quando una subita ispirazione suscitata in lui dal desiderio di non lasciar nulla d'intentato per soddisfare all'assuntosi debito, lo fece arrestarsi e ricorrere ad un argomento che, per la conoscenza cui già aveva del suo interlocutore, sapeva potentissimo sull'animo di lui; promise che se mai questo bambino non fosse morto e venisse ritrovato, si sarebbe disposti a ricompensare chi lo recasse alla madre con una vistosa somma che si lascierebbe fissare a quel fortunato medesimo a cui si dovrebbe il suo rinvenimento.

      Nariccia non fu tanto padrone di sè da non manifestare una certa emozione onde fu sovraccolto, e il marchese che se ne accorse, cominciò a sentire alquanto scossa la sua incredulità nei dubbi e nei presentimenti della sorella. Ripetè le sue parole, insistette

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