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La plebe, parte IV. Bersezio Vittorio
Читать онлайн.Название La plebe, parte IV
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Автор произведения Bersezio Vittorio
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
Frattanto, come sempre accade, anche le condizioni materiali di quella famigliuola andavano peggiorando. Il padre d'Eugenia aveva fatto capo ad un fallimento in conseguenza del quale aveva dovuto smettere il fondaco e vivere oramai di varii, incerti e non sempre onorevoli spedienti, a cercare e mettere in atto i quali concorreva massimamente Michele. Questi da parte sua, per la mala condotta, aveva perduto il posto da maestro all'Accademia militare, e vedeva ogni dì più dimagrarsi di accorrenti e di allievi la sua sala di scherma. Se malesuada, secondo il poeta latino, è la fame, più mal consigliero ancora è il vizio che non ha più mezzi di soddisfare le sue accanite ed empie voglie: un dì Michele e lo suocero furono implicati in un certo processo di truffa, ed andarono tuttidue a far conoscenza la prima volta col pane di prigione. Furono condannati a più anni di carcere: il padre d'Eugenia dopo non molto tempo ci morì; lo sciagurato di lei marito fu onninamente perduto, perchè colà strinse conoscenza e lega coi più scellerati fra i delinquenti, primo dei quali quel Graffigna che, conosciuto ben tosto il giunto della corazza in quel robusto colosso, seppe colla sua felina accortezza insinuarvisi nell'animo e governarlo a suo talento.
La povera moglie di Michele rimase adunque sola, senza mezzi di fortuna, con una salute resa cagionevole dai sofferti affanni, coll'onta d'avere padre e marito colpevoli, e per maggior sventura portando nel seno un frutto del materiale amore di Michele. Gli era in queste condizioni che l'aveva lasciata la Modestina, quando insieme colla padroncina erasi fuggita per alla volta di Milano. Siccome Eugenia erasi venuta raccomandando più volte alla cognata, e questa non poteva a meno che sentire alcuna pietà per lo stato veramente compassionevole in cui quell'infelice era ridotta, trattandosi poscia di avere qualcheduna a compagna nelle cure da prestarsi alla marchesina Aurora, la sorella di Michele propose e riuscì a fare aggradire da Padre Bonaventura e da Nariccia che a questo ufficio fosse chiamata Eugenia, della segretezza della quale essa si rendeva compiutamente garante. Aveva inoltre la Modestina in codesto un'altra idea ed un'altra speranza: ed era che Eugenia essendo per diventar madre ancor essa, quantunque la liberazione di lei dovesse venire qualche mese dopo quella di Aurora, potesse tuttavia combinarsi che la medesima diventasse poi nutrice, custode ed allevatrice del figliuolo della marchesina, la qual cosa all'immaginativa non infeconda della Modestina si presentava come sorgente e cagione di prosperità e di vantaggi, non che per sua cognata, ma eziandio per sè.
Padre Bonaventura, incaricato di arruolare a quella piccola schiera l'Eugenia, di darle le sue istruzioni e di condurla seco, riuscì compiutamente nella sua missione; e come già dissi, Aurora ebbe quindi delle cure veramente amorevoli, poichè l'anima pietosa della nuova attendente a' suoi bisogni non tardò a porre in lei e nelle sue condizioni il maggior interesse possibile ed un verace, sincero affetto.
Venne finalmente il giorno fatale. Aurora diede alla luce un bambino, di cui, fino da quel primo stadio di vita, non potevano essere più dilicate le forme, nè più avvenente l'aspetto. Nel trasporto ineffabile di quella divina gioia della maternità, la misera dimenticò tutti i suoi passati dolori, tutto il buio dell'avvenire che le si minacciava. Coprì quella piccola, bellissima creaturina di baci e di lacrime, in cui si stemperò la infinita tenerezza dell'anima sua; le parve fosse ricomparsa in quelle deboli forme di neonato per accompagnarla ancora nella vita, l'anima amorosa di quell'uomo che essa aveva supremamente amato: tutto il suo mondo, l'esistenza, ogni affetto sentì concentrati per sempre in quel debole bambinello, che già pareva sorriderle. Si ricordò di botto del voto tante volte manifestato dal suo sposo, che il nascituro, se maschio, portasse il medesimo nome di lui; volle che presso al suo letto senza ritardo Padre Bonaventura battezzasse il neonato e gl'imponesse tosto quel nome adorato: Maurilio; dopo tanti e tanti giorni di spasimi, di affanni, di atrocissimi tormenti, la misera sentì finalmente un istante di celestiale beatitudine quando, stringendosi al suo seno suo figlio, cadde in un lieve sopore, di cui sentiva il riposo, e nel quale pure si sentiva vivere, e sentiva fra le sue braccia il dolce carco del figlio, sopore di cui non è descrivibile, appena immaginabile, se non da una madre, la profonda dolcezza.
E intanto l'intendente di suo padre ed il gesuita pensavano a darle un nuovo e massimo dolore, congiuravano per decidere il come toglierle quel bambino condannato all'obblio, alla miseria morale e materiale del trovatello, dall'odio implacabile di colui che era pure suo avolo.
Ben sapevano che farla acconsentire a separarsi dal suo figliuolo era cosa impossibile; erano più che certi, quand'ella avesse avuto sentore dello scellerato loro disegno, che Aurora avrebbe difeso il bambino colla forza indomabile di quell'amore materno che non ha pari sulla terra; decisero pertanto ricorrere all'astuzia, e levarle di letto il piccino quando la fosse addormentata.
Vedete meraviglia di quel sovrumano affetto di madre! Mentre i due tristi nella camera vicina complottavano a bassa voce, proprio come si fa per combinare un delitto, Aurora dormiva chetamente nel più soave de' riposi che si possa gustar mai: pareva dunque affatto propizio quel momento medesimo ad eseguire l'empio rapimento, e i due malvagi non vollero perder tempo; entrarono dunque con infinita precauzione in quella stanza dove presso il letto della dormiente stavano sedute le due cognate Modestina ed Eugenia. Ma non avevano appena varcata quella soglia con passo guardingo, che la puerpera si svegliava in sussulto e fissava su di loro uno sguardo inquieto, scrutatore, sospettoso, sgomento. Un inesplicabile istinto l'aveva di subito riscossa ed ammonita del pericolo; strinse fra le braccia il neonato e chiese a que' due con accento in cui c'era alquanto dell'orgogliosa supremazia della famiglia Baldissero:
– Che cosa vogliono? Perchè entrano nella mia camera senza farsi annunziare mentr'io riposo?
L'imbarazzo ch'ella scorse sul volto dell'uno e dell'altro, accrebbe i suoi sospetti. Nariccia si confuse in umili proteste e domande di perdono; il frate parlò dell'interesse che aveva per la salute temporale e spirituale di lei e dei debiti del suo ministero che lo chiamavano intorno a chi soffrisse sì dell'anima che del corpo. Aurora giurò a se stessa che non avrebbe smesso nè dì nè notte della più attenta vigilanza sul suo bambino.
Rimasti un poco, Nariccia tolse licenza pel primo e passando innanzi alla Modestina le fece un piccol cenno che le comandava lo seguisse nelle altre stanze; la cameriera comprese e si affrettò ad obbedire; dopo alcuni minuti anche fra Bonaventura s'alzò e partì. Aurora, per una affatto nuova finezza d'intuizione e d'indovinamento, comprese press'a poco ciò che si voleva: si rivolse con accalorato accento all'Eugenia che era rimasta sola:
– Tu, le disse, mostri all'aspetto di avere un'anima bella e pietosa; stai per diventar madre tu pure e proverai, e già senti per certo che stretto, indissolubil legame ci avvince alla creatura delle nostre viscere; per la pietà che l'ispirano i casi miei, per l'amor di Dio, per quell'essere che avrà vita da te, Eugenia, ti scongiuro, tu non tradirmi, tu non unirti a chi vuole i miei danni, tu aiutami a difender me e mio figlio dalle insidie altrui.
La povera donna aveva gli occhi e la voce pieni di pianto. Eugenia commossa promise tutto ciò che volle l'inferma.
– Vogliono disgiungermi da mio figlio, continuava quest'essa, lo sento, lo so. Mio figlio che è l'unico bene che mi rimane!
Prese il bambino, lo sollevò all'altezza della sua faccia e lo baciò con passione.
– Povero piccino! Nato appena, hai già nemici così accaniti che ti vogliono togliere tutta la ventura che ti ha concesso Iddio, l'amor di tua madre. Eugenia, se tu vuoi che la Provvidenza conceda fortuna a tuo figlio, sta dalla mia parte e concorri meco a salvarmelo… Dio! Puniscimi de' miei falli nella più crudel guisa che tu vuoi, ma non in questa, non togliendomi questo povero innocente. Lo raccomando alla tua pietà, Vergine Santa, che conoscesti l'amore di madre; mi raccomando anche a te, anima di mia madre, che non devi volere tanto strazio della tua figliuola.
Un'idea le venne, quasi un'ispirazione, staccò dal capoletto il rosario d'agata di sua madre, cui aveva portato seco e lo passò al collo del neonato, come volendo porlo con ciò sotto l'immediata protezione di quell'anima benedetta.
– Questo rosario, soggiunse, ti sia, o Maurilio, come un sacrosanto talismano. Tu non avrai a lasciarlo più nella tua vita… Ricordatene