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fecero un moto di assenso.

      – D'altronde, continuava lo sposo d'Aurora, quello che si ha da trattare fra chi li manda e me, esige anche da parte mia l'intravvento di intermediarii. Faccianmi il favore di stabilire un luogo di ritrovo e fissare un'ora, ed io manderò colà i miei rappresentanti.

      – È giusto: rispose di Castelletto. Ella non vorrà stupirsi se questo ritrovo lo fisseremo ad un'ora piuttosto vicina. Per le ragioni ch'Ella può facilmente immaginare, il marchese brama ardentemente che ogni cosa sia presto, assai presto finita.

      Valpetrosa sorrise con mesta ironia.

      – Capisco la sollecitudine del signor marchese, diss'egli, e non la condanno; anzi la partecipo ancor io. Ma lor signori capiranno pure come, per quanta volontà io abbia di accondiscendere alle brame del signor marchese, mi ci vuole un certo tempo a trovare due fidati amici a cui commettere il mio mandato, e come io, dovendomi preparare a quello che è scopo della loro venuta con provvedere ad infinite cose, non posso altrimenti che differire a domani l'onore di trovarmi a fronte del loro principale.

      I padrini di Baldissero mossero di subito alcuna obiezione, da cui non si lasciò smuovere Valpetrosa, il quale dichiarò fermamente che nulla lo avrebbe fatto cambiare di proposito a tal riguardo. Si stabilirono il luogo e l'ora de! convegno fra i padrini, e poi sì separarono. Lo sposo d'Aurora non tardò a trovare due amici che acconsentirono a rendergli quel funesto servizio, e si decise che il duello all'ultimo sangue avrebbe avuto luogo il domattina per tempissimo, arma la spada.

      Tutto quel giorno Valpetrosa ebbe lo straordinario coraggio di comparire in presenza di sua moglie e di sua madre più lieto, sereno e tranquillo che mai; se vi fu un cambiamento in lui non si mostrò che nella tenerezza dell'affetto che si sarebbe detta più espansiva e maggiore; potè avere la forza d'animo di parlare con Aurora dell'avvenire, di confortarla colle più lusinghiere speranze d'un destino migliore, di parlare delle gioie che la nascita del loro bambino avrebbe arrecato a far più prezioso e più santo ancora il diviso amor loro. E in cuore il misero aveva pur troppo i più funesti presentimenti; e la sua natura abitualmente risoluta era tutto ondeggiante fra le più opposte contraddizioni. Ora non voleva difendersi, voleva disarmare il suo avversario colla mitezza del suo contegno, presentandogli il petto indifeso, chi sa che alcun resto dell'antico affetto non fosse ancora per lui nell'animo di Baldissero, ed al vederlo così non si ridestasse tornando quale al tempo della loro amicizia? pensò perfino un momento – ma fu un solo momento – ad umiliarsi innanzi all'avversario, a tentare di vincerne colle parole e colle supplicazioni la collera, a dirgli come di loro l'uno a niun modo potesse uccider l'altro, perchè egli non doveva tornare dalla sua sposa lordo del sangue del fratello di lei, e questi non poteva presentarsi alla sorella, omicida dell'uomo a cui ella aveva dato l'amore, la sua sorte, tutto di sè. Ora invece egli pensava a difendersi con ogni vigore, a combattere con accanimento, ad offendere con feroce ardimento. I vincoli del sangue, le memorie dell'antico affetto non dovevano aver più ragione alcuna di farlo riguardoso verso i giorni di Baldissero: non s'aveva da veder più in costui che un fiero nemico il quale veniva per distruggere la sua felicità. Era suo diritto, era suo dovere, anche per Aurora, il ripulsarne, fosse pur colla sua morte, la minaccia e l'offesa.

      Ed era egli tuttavia colla tenzone di questi varii pensieri in capo quando il mattino di poi Valpetrosa vide giunta l'ora di recarsi al fatale convegno. A Nariccia, col quale il giorno innanzi aveva terminato ogni cosa che occorresse per quel certo aggiustamento che ho detto; a Nariccia, cui aveva pregato di un ultimo abboccamento prima dello scontro, Valpetrosa diede la lettera per la moglie e per la madre e tutte le più minute istruzioni sul modo di governarsi, ed ottenuto anco una volta i più solenni giuramenti di fedeltà da quell'ipocrita, partissi accompagnato da' suoi padrini pel luogo del ritrovo, mentre Aurora, ignara affatto d'ogni cosa, dormiva tuttavia tranquillamente.

      Quale fosse l'esito del duello fra il marchese di Baldissero e Maurilio Valpetrosa, lo sappiamo già dalle parole che dal primo di costoro sorprendemmo pronunziate a se stesso in un momento d'angoscia nell'attesa del figlio e poscia nel suo colloquio col Governatore.

      Non vi narrerò la desolante scena che avvenne quando in casa di Maurilio Valpetrosa fu quest'ultimo recato in aspetto di cadavere, innanzi alla povera Aurora che di nulla sapeva, ma che pur tuttavia era turbata da un'indefinibile inquietudine che era un presentimento di sventura. Il marchese di Baldissero non volle, non osò presentarsi innanzi alla sorella per annunziarle cotanta disgrazia; e nessuno l'osò di quelli che avevano assistito al duello fatale, da Nariccia in fuori, a cui si diede e il quale accettò l'incarico di correre a preparare, per quanto fosse possibile, al brutto colpo l'anima sensitiva dell'infelice amante. Ma Nariccia, fosse insufficienza in lui al dilicato ufficio, fosse anche (e di quel tristo ben può pensarsi cotanto orribile disegno) uno scellerato proposito di ferire mortalmente al cuore la misera donna, annunziò la cosa in modo che Aurora svenne e parve dovesse morire di quel colpo ancor essa. La madre di Valpetrosa non aveva guari maggior forza e coraggio della sposa di lui. Il trafitto recato con ogni precauzione a casa, non potè parlar più, non potè più esprimere che cogli sguardi i suoi ultimi addii alle dilette persone del suo cuore, e raccomandarle ancora a Nariccia, e morì fra le braccia delle sconsolatissime donne.

      Fu allora che primamente Baldissero ardì entrare in quella casa in cui egli aveva recato il dolore. Aurora giaceva priva di sensi abbandonata sul corpo di suo marito che abbracciava strettamente: la vecchia madre, in un accesso di dolore furibondo, malediva colei che aveva portato al suo figliuolo la barbara morte immatura.

      Baldissero sentì stringersi il cuore, e fino da quel momento gli penetrò nell'animo quel dubbio crudele che gli abbiamo udito manifestare tanti anni dopo all'epoca del nostro racconto, quando si domandava, s'egli aveva avuto il diritto di troncare colla spada dell'omicida il nodo di quelle due esistenze, se Dio aveva da perdonargli l'aver versato quel sangue.

      Mentre il marchese rimaneva colà fermo, immobile, sovraccolto, la faccia pallida, i lineamenti contratti, stretto il cuore da un'emozione impossibile a dirsi, Nariccia gli si appressò rispettosamente, e gli parlò piano:

      – Che ordina Ella si faccia?

      Il fratello d'Aurora volse su di lui uno sguardo torbido e semispento.

      – Lasciamo quell'infelice al suo dolore. L'intendente s'appressò ancora di più al figliuolo del suo padrone e soggiunse con voce ancora più bassa:

      – Mi rincresce, ma ho altri ordini da S. E. il marchese suo padre.

      Baldissero levò la testa con qualche vivacità:

      – Ah! quali?

      – Trar subito fuori di questa casa l'illustrissima signora marchesina Aurora.

      – Per condurla dove?

      – Ho già preso a pigione una comoda casetta fuori di città dove è intenzione di S. E. che nascostamente da tutti la stia finchè siasi sgravata… E mi pare opportuno profittare di questo suo stato medesimo per togliere la signora marchesina di qua.

      Il marchese stette un momento sopra pensiero e poi rispose asciuttamente:

      – Fate quel che vi ha comandato mio padre.

      Quando Aurora tornò in sè la si trovò in letto entro una stanza che non aveva visto mai, con intorno un medico sconosciuto, la sua cameriera Modestina e dietro le cortine del letto l'ombra d'un uomo ch'ella non poteva scorgere chi fosse.

      Dapprincipio non la si ricordò di nulla; non sentiva che un indolorimento generale, e per raccogliere il suo pensiero aveva bisogno d'uno sforzo penosissimo che gli tornava come una viva trafittura al cervello. Ma poi venne la funesta memoria: gittò un grido e volle gettarsi giù dal letto: ve la trattennero con amorosa violenza.

      – Lasciatemi, lasciatemi… Il mio Maurilio!.. Il mio Maurilio!.. Dov'è?.. Voglio vederlo ancora… Siate pietosi… Vo' morire con lui.

      L'ombra d'uomo dietro le tende s'agitò, si mosse e come tratto da una forza esteriore, venne fuori con passo lento, quasi riluttante fino all'arrivo degli sguardi della giacente.

      Questa mandò un'esclamazione soffocata che pareva di sorpresa: si lasciò andare sul letto senza più sforzi per togliersene, guardò fiso fiso un istante la faccia di quell'uomo che pareva non poter riconoscere. Dopo

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