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che erano stati narrati prima nei Canti III, XIV e XXXIII dell'Orlando; cosicchè se questi Canti fossero stati destinati ad inserirsi in esso, ne sarebbe resultata un'inutile ed oziosa ripetizione di fatti; però l'inesauribil vena del Poeta non abbisognava di tali sussidj, nè l'avrebbe consentito l'alterezza del suo genio. Mi fo meglio a credere che, avendo ideato questo nuovo Poema, volle mostrare ad Alfonso suo Mecenate, che non si lasciava fuggire occasione di cantare e ricantare le sue belle imprese, ogni volta che gli cadeva in acconcio di farlo solennemente.

      Il titolo di Rinaldo Ardito, credo che sia stato dato al poema, perchè apparisce dalla pag. 31, che questo famoso Paladino, protagonista dell'azione, onde ottener certa vittoria sull'esercito infedele, si travestisse da Saraceno, e sotto le mentite spoglie potè conoscere le forze del nemico; quindi dopo aver tutto esplorato, allorchè i due eserciti stavansi a fronte, avendo per mezzo della sorella Bradamante avvisato dell'inganno i capitani di Carlo, pose lo scompiglio nel campo nemico, e coll'aiuto dei Cristiani accorsi in tempo, disfecero l'oste pagana; e termina l'impresa colla conversione al Cristianesimo dei principali condottieri Saraceni e di Fondrano loro capo e Signore. Questo in breve pare che fosse il concetto del Poeta, innestandovi al solito vaghissimi episodj, che per la loro varietà e pel loro festivo colore ne rendono oltremodo gradevole la lettura.

      Accennata la storia del nostro Codice e del suo contenuto, ci resta da prevenire il Lettore sull'ordine da noi seguito in questa prima pubblicazione, cominciando dall'esatta descrizione del Manoscritto qual si trova attualmente. Questo si compone di trenta carte numerate modernamente da una sola parte, e distribuite in quattro quinternetti. Il primo di essi conduce da 1 a 6; il secondo da 7 a 14; il terzo da 15 a 22; ed il quarto da 23 a 30. È necessario però avvertire che il terzo è contrassegnato nel margine inferiore della pag. 15 di mano dell'Autore con b, ed il quarto medesimamente a pag. 23 con D: il primo e secondo non portano segnature; ogni pagina contiene quattro ottave, meno che la 2 che ne ha cinque, la 19 la quale ne ha otto, scrittevi a doppia colonna, e la 29 che ne ha tre; cosicchè formano nell'insieme dugento quaranta quattro ottave. Ai quattro quinternetti serve di custodia una cartella di rozzo cartone bianco, che in avanti fu destinata a conservare dei conti e delle ricevute. Un cordoncino di seta rosso trapassa nella costola per traverso il cartone e i quinternetti, ed è fissato in fine con nodo; i due capi di esso poi son fermati nell'interno con cera di Spagna e sigillo della pubblica Biblioteca di Ferrara, ad autenticare il Certificato che qui si riporta in nota7.

      Ora venendo alla disposizione materiale della stampa, la lettura del Manoscritto, nell'ordine in cui si trova, ci fece dubitare che le carte non seguissero regolarmente e con progresso razionale la materia, ma che i quinternetti fossero stati a caso in tal guisa disposti; ed il dubbio dell'interpolazione divenne certezza, quando le segnature del terzo e quarto c'indicarono chiaramente, che questi invece dovevano precedere i due senza segnatura: ed a questa via ci attenemmo. E volendo che il Lettore si convinca co' propri occhi della giustezza della nostra risoluzione, s'imagini che la stampa nell'ordine del Codice avrebbe cominciato da pag. 46 colla stanza X. fino a pag. 85 stanza XXX., avrebbe proseguito colla pag. 1 stanza I. fino a pag. 46 stanza IX., talchè alla lettura in questo senso ne resulta la narrativa de' casi incomposta ed a ritroso. Ed in fatti, nella nuova disposizione, si trovano in principio alcuni capitani infedeli combattenti contro l'esercito cristiano, quindi si veggono abbracciare il Cristianesimo ad insinuazione d'Orlando. Vi si legge pure un'avventura di Ferraù, il quale cade per inganno nell'acqua, e per forza d'incanto si vede trasportato nel giardino di Venere, ove è presente al trionfo d'Amore ec. ec. dovecchè adottando l'altro modo, ne sarebbe derivato una mostruosità, non procedendo naturalmente il filo della materia e degli avvenimenti raccontati.

      La ragione per la quale si è creduto bene render minutissimo conto di questo nostro materiale riordinamento, deriva dall'aver voluto fuggir la taccia d'arbitrarj, ove cadesse in mente a taluno raffrontar la stampa col manoscritto, giacchè ne piacque conservarlo religiosamente intatto ed inviolato nella sua compaginazione, alla quale va unita la preziosa autentica dell'originalità ed autografia del medesimo; onde precludere affatto il campo agli scettici, ai maligni ed agli ignoranti di sentenziare a sproposito. E giudicammo opportuno questo schiarimento, solo per quanto concerne la materialità del codice; che quanto al merito poetico, alla vivacità delle immagini ed al pregio dell'invenzione, tocca al Poeta a svelarsi, e a dar di se quelle prove irrefragabili che per unico lo caratterizzano, e per le quali come astro fulgidissimo risplende nell'italiano Parnaso: nè qui temiamo esserci ingannati.

      Ora venendo al modo da noi adoprato nel dar fuori questo lavoro, diremo che siamo stati scrupolosissimi a produrre il testo nella sua genuinità, riportandone perfino le voci viziate per eccesso o per difetto od anche per trasposizione di qualche lettera, rettificando però le principali in piè di pagina, affinchè non si credessero errate per colpa nostra. La stanza V del C. II, la XVI e XXVII del C. IV, si son lasciate difettose nella loro tessitura, nè ci prendemmo briga di raddrizzare qualche verso zoppicante; tutte negligenze comprovanti maggiormente l'originalità di questo primo getto, che l'Autore avrebbe eliminate dappoi, e che veruna pena ci sarebbe costato il togliere. Le frasi e gl'intieri versi rigettati e cancellati dal Poeta, sostituendovi quelli che gli parvero migliori, si son riportati in calce come varianti, per mostrare sensibilmente l'ordine delle concezioni di quel prepotente ingegno. Quanto poi alla puntuazione, ci siamo tenuti a quel metodo che credemmo il più conveniente ed il più seguito, quello cioè di agevolare possibilmente l'intelligenza dei concetti, senza gran fatica nè bisogno di ricorrere per tortuose ambagi il filo del discorso. Ai Canti si è dato abusivamente un numero progressivo dal I al V; non perchè così ce li abbia indicati l'Ariosto, ma pel comodo del Lettore e delle citazioni; giacchè Esso nei titoli lasciò in bianco la numerazione, e di sua mano non numerò che il terzo, il quale, per la lacuna indefinita tramezzo, siamo stati obbligati a chiamar quarto; a questa numerazione si son pure subordinati gli altri, che da penna più moderna e con altro inchiostro erano stati notati. Per servire egualmente alla comodità, si sono numerate le stanze d'ogni Canto, tornando da capo a ciascuno, come è stile; e dove esistono lacune, non si è omessa l'avvertenza.

      Resa sommariamente ragione di questa qualunque siasi fatica, onde impetrare alla medesima, se non il suffragio generale, almeno il benigno compatimento dei dotti, potremmo addurre a favor nostro le assidue e gravi cure sostenute di buona voglia nel breve ma spinoso aringo, non che le vinte difficoltà, che parvero quasi insuperabili al Baruffaldi, il qual pure avea tanta dimestichezza cogli scritti dell'Ariosto8. E la conferma della di lui genuina confessione si presenterà a chiunque si dia a confrontare le stanze da esso pubblicate per saggio di questi Frammenti, dalla pag. 310 alla 314 della rammentata Vita del Poeta, con quelle stesse ristampate da noi; e speriamo che questo ragguaglio porrà in maggior chiarezza le diligenze da noi usate.

      Forse non mancherà chi disapprovi ed anzi condanni lo zelo di aver messo in luce un'Opera mutila ed informe in molte parti, quale sfortunatamente si è questa. Per costui non abbiamo discolpa, nè sapremmo fargli altra risposta, che mostrandogli un gran numero di opere di sommi scrittori greci e latini, che hanno avuto la stessa sorte, avvalorando la nostra sentenza col giudizio di tale, che nè la materia nè il luogo consentono di nominare9. Gli additeremmo ancora tanti e tanti bellissimi antichi capolavori in bronzo ed in marmo, che si ammirano ne' Musei, i quali non sono che insigni monumenti dell'Arte più o meno frammentati. E questi scritti e questi monumenti ci saran sempre di modello, rimanendo a testificare dell'eccellenza degl'ingegni che li produssero, ed a rimproverare mutamente l'incuria, l'ignoranza o la perversità degli uomini che li ridussero in tale stato, e risveglieranno nel cuore dei buoni almeno il desiderio che sorga chi vaglia a ristorarne del danno.

      Finalmente poichè colla stampa collettiva di più componimenti d'uno stesso Autore (i quali pubblicati a parte in varie occorrenze divengon rari e fuori di commercio) si provvede alla maggior diffusione dei medesimi, e posson considerarsi come rami che si ricongiungono al tronco principale, così credemmo incontrare il pubblico gradimento riproducendo la gentilissima Canzone colla quale Messer Lodovico piangeva la partenza da Firenze per oltremonte della sua Ginevra10. Il Ch. Sig. L. M. Rezzi la trasse in luce per la prima volta da un codice miscellaneo Barberiniano, in occasione dei fausti sponsali di Donna Carlotta Luisa Barberini col Marchese

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<p>7</p>

Nel primo foglio che serve di guardia al Codice si legge di non antico carattere: Questo fu scritto dall'Ariosto, dopo il 1512, perchè descrive la gran battaglia seguita in Ravenna nel detto anno, vinta dai Francesi per opera del Duca Alfonso Primo, descritta dal Sardi nel lib. 2 della sua storia. Nell'altro foglio poi che forma la guardia in fine, si legge il seguente attestato:

Ferrara 30 Gennajo 1840.

Attesto io sottoscritto Bibliotecario della pubblica Biblioteca di questa città, che le qui unite carte num.º trenta di stanze 244, alcune delle quali imperfette, contenenti parte d'un poema inedito dell'Ariosto intitolato il Rinaldo, di cui parla il Baruffaldi Vita dell'Ariosto alle pagine 172-3, recandone saggio alle pagine 310-14, sono scritte di mano di Lodovico Ariosto, avendone io fatto il confronto tanto col poema intitolato Orlando furioso, che colle Satire, e con altri scritti, che autografi si conservano in questa pubblica Biblioteca; e per convalidare vieppiù questa mia attestazione vi ho posto il sigillo di questo pubblico stabilimento presenti i sottoscritti testimonj consultati nel confronto.

Don Pietro Caprara

Don Giuseppe Antonelli Vice Bibl. Testimonio

Don Gaetano Ortolanini Aggiunto alla Bibl. Testimonio

Andrea Borgonzoni maestro di Calligrafia

Benedetto Giovanelli Custode.

Ad onta però di questa solenne ed ingenua testimonianza di persone per ingegno e per probità commendabilissime, non son mancati certi cotali che da quell'oscurità che è la loro atmosfera hanno cercato, da bassa invidia o da crassa ignoranza mossi, di sparger dubbiezze sulla originalità del nostro Codice. Noi condoniamo loro il misero tentativo di nuocerci, perchè li uomini di sano giudizio faranno la nostra vendetta coi plausi, e perchè è rimasto ad essi tanto pudore da non volere, quantunque invitati e provocati, far pubblica la loro sentenza, per tema, ci crediamo, che non divenisse quel che fu a Mida il motto susurrato alla terra dal di lui barbiere. Però da buoni Cristiani preghiamo il Cielo che a tali giudici apra li occhi corporali, e spiani e raddirizzi le loro menti storte e contraffatte.

<p>8</p>

V. questa prefazione a pag. XI.

<p>9</p>

La stampa di questi Frammenti col fac-simile del carattere dell'Autore speriamo che ecciterà i bibliotecari ed i possessori di antichi manoscritti di poesie sconosciute ed anonime a fare degli studj e delle ricerche per entro ai medesimi, e ad istituire dei giusti confronti; e chi sa che un giorno qualcuno più avventurato di noi, seguendo la via che abbiamo aperta, non giunga a completare questo lavoro?

<p>10</p>

Roma, Tipografia delle Belle Arti 1835.