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      Rinaldo ardito / Frammenti inediti pubblicati sul manoscritto originale

      PREFAZIONE

      L'annunzio della stampa d'un'Opera del divino Ariosto, non solo inedita, ma quasi sconosciuta, e tale da essersene perfino impugnata da solenni scrittori la reale esistenza, ai nostri giorni in cui si è tanto rovistato e tanti disotterramenti si son fatti dalla polvere delle pubbliche e private Biblioteche ed Archivi, parve cosa mirabile e da reputarsi quasi favolosa, ove il fatto di per se stesso non rispondesse perentoriamente. L'Opera della quale ci avvisiamo parlare è il Rinaldo Ardito1, altro poema dell'Omero ferrarese, dettato da esso dopo l'Orlando Furioso, e sugli ultimi anni di sua vita. Ma perchè la storia bibliografica e letteraria di questo Poema è nuova del tutto, ed alquanto intricata, non sia grave al Lettore che noi vi spendiamo quel tanto di parole che servano a dilucidarla, ed a renderla piana ed incontroversa. Così operando, verremo a supplire al difetto del Ch. Fr. Reina Editore del Furioso della Collezione de' Classici di Milano, il quale nel 1812 prometteva corredare quella ristampa d'un comento, ed aggiungervi per la prima volta tutti i frammenti di un altro poema trovati fra carte dimenticate e già spettanti al D. Giuseppe Lanzoni. Onde non conoscendo le cause che lo impedirono a dar fuori quel comento, e a pubblicare questi Frammenti, ci lusinghiamo che egli avrebbe a grado che l'avessimo rilevato da questo secondo debito, se il cielo gli avesse concesso più lunga vita.

      Antonfrancesco Doni fiorentino, uno degl'ingegni più bizzarri e fantastici che coltivassero le lettere italiane sulla metà del Secolo sedicesimo, fu il solo che nella Seconda Libreria2 palesasse ai dotti l'esistenza del nostro Poema, con queste nude e magre parole «Lodovico Ariosto, Rinaldo Ardito, dodici canti.» Ma al bugiardo (ed il Doni n'avea fama ben giustificata) non è creduto neppure il vero; cosicchè tutti coloro che parlarono della vita e delle opere di Messer Lodovico, dal di lui figlio Virginio sino al Tiraboschi, o si astennero dal registrare fra queste il Rinaldo Ardito, o lo rammentarono solo per causa di dileggio e di rimprovero al Doni, tacciando d'impostura e menzogna la notizia che egli ne dava. Nè questa imputazione, benchè dura e falsa, può dirsi moralmente temeraria, poichè non si credè presumibile che il Doni potesse conoscere tutti gli scritti del Poeta editi ed inediti al tempo suo, meglio di Virginio figlio amatissimo di esso, il quale conviveva seco lui, ne riceveva precetti e buon avviamento alle ottime discipline, ed aveva agio e libertà di leggere tutto ciò che il padre dettava. Ed in fatti fu questi che raccolse tutte le di lui poesie latine, e che nel 1545 dette ad Antonio Manuzio, che li stampò per la prima volta, i cinque Canti che seguono la materia del Furioso, o meglio preparati per altro Poema. Ma comunque la cosa si fosse, la verità è che il Rinaldo Ardito è esistito, ed in parte esiste; e forse il Doni lo vide completo in mano dell'Autore, o da esso medesimo n'ebbe contezza: e dico così, perchè niun altro ne fa parola. Però non saprei indagare la ragione per la quale gli piacque tenerlo celato ai suoi più cari e confidenti, pe' quali non avea segreto, e lo palesasse al Doni: in questa riserva è un qualche enimma, ed aspetteremo che sorga l'Edipo per darne spiegazione. Frattanto per non perdersi in vane induzioni e fallaci ipotesi sulla via che condusse il Doni alla conoscenza di questo componimento, proseguiamo il discorso diretto sul medesimo.

      A questo lavoro par certo ponesse mano l'Ariosto dopo l'Orlando Furioso, e dopo il 1525; imperocchè nella stanza V a pag. 44 accenna già successa la prigionia di Francesco re di Francia, che avvenne in quell'anno sotto Pavia. Il Poeta morì nel 1533, appena compita la stampa da esso vegliata e corretta del Furioso, nè fra le Opere manoscritte da esso lasciate si fece motto da veruno trovarsi il Rinaldo Ardito; da questo silenzio io non saprei altro dedurre, o che non fu fatto un accurato esame di questi Manoscritti, il che non sembrerà verosimile, o che a quel tempo il Rinaldo non era più in sue mani, per averlo passato in quelle di qualche amico e confidente, il quale si tacque dappoi per ignota ragione sul prezioso deposito. Che il nostro Manoscritto fosse ab antico custodito nello stesso luogo ed insieme ad altre opere di questo Autore, ce ne fanno accorti le antiche macchie d'umidità che deturpanlo in più carte di seguito, macchie dello stesso colore e della stessa configurazione che vedonsi in molti altri de' suoi scritti originali, che conservansi nella Biblioteca comunale di Ferrara, e che perciò attestano aver corso sorte eguale al nostro, allorquando trovavansi insieme riuniti.

Fermata così l'esistenza effettiva e l'originalità del nostro Codice, ci manca il filo per proseguire la storia del suo destino, accompagnandolo nei diversi passaggi che sempre sconosciuto può aver fatti, dallo studiolo del Poeta alla copiosa e scelta raccolta di Opere a stampa e manoscritte, messa insieme con pene e dispendio dal D. Giuseppe Lanzoni Ferrarese, morto nel febbraio del 1730, e quindi nella libreria dei Marchesi Bevilacqua. E dicemmo sempre sconosciuto, perchè il Lanzoni stesso che era così generoso e cortese nel favorire ed accomunare cogli amici suoi l'uso della propria biblioteca, non conobbe o almeno non palesò a veruno il gioiello che egli possedeva; mentre nella Vita affettuosa e molto particolarizzata che di questo egregio e dotto medico scrisse Girolamo Baruffaldi il seniore,3 non vien neppure emesso il dubbio ch'egli possedesse il nostro Manoscritto. L'onore adunque di avere scoperto e messo in luce il ritrovamento dei frammenti del Rinaldo Ardito, d'averli esaminati e recatone fuori un saggio, si deve a Girolamo Baruffaldi il giovine, il quale nella Vita dell'Ariosto a pag. 172 ci fa sapere che ad altro poema eziandio pose mano, oltre a quello del Furioso: uno squarcio, o piuttosto abbozzo di esso fu trovato a caso tra le carte dimenticate del chiariss. Medico Ferrarese Giuseppe Lanzoni; ma riuscendo il manoscritto originale difficilissimo ad intendersi per la rozza scrittura, per la mala conservazione de' fogli, e per le varie cancellature, io non ho potuto relevarne interamente, che alquante stanze, quali saranno poste in fine… Io non peno a credere, abbenchè il Barotti lo neghi, che questo possa essere il Poema dall'Ariosto intitolato il Rinaldo, come accennò il Mazzuchelli sulla relazione del Doni; conciossiachè nel Canto IV.4 diffusamente parlasi di questo Paladino, delle sue imprese, de' suoi viaggi e della sua donna Bradamante5… Ed i frammenti da me veduti non sono che un primo abbozzo informe in molti luoghi scorretto fino al leggervisi una stanza scritta seguentemente di soli sette versi6.

      Era oltrepassato mezzo secolo dalla morte del Lanzoni al tempo che il Baruffaldi scriveva la vita dell'Ariosto, di maniera che avrebbe potuto manifestare la persona presso la quale egli ebbe agio di studiare e trascrivere degli squarci del nostro Codice, nè saprei indovinar la causa per cui si tacque: era forse tuttora in casa Bevilacqua?.. Ma tralasciando le congetture, e venendo alla storica certezza, diremo che il Sig. Canonico Vincenzio Faustini, uomo fornito di buone lettere, ereditò dal padre suo il nostro Codice, ed a noi come possessor legittimo ne fece legittima cessione nel luglio dell'anno decorso; onde io mi do a credere che essendo il padre del Sig. Can. Faustini assai versato in questi studj e nella paleografia, ed avendo vissuto negli anni in cui per straniera invasione tanti insigni stabilimenti rimasero soppressi, e tanti pubblici e privati monumenti di libri e scritture andarono dispersi o per ignoranza distrutti, fu una fortuna che queste preziose reliquie venissero alle mani di lui, che seppe raffigurarle e tenerle nel pregio che meritavano. Quindi se mancano ad appagare la curiosità del Lettore notizie positive e speciali sulla sorte corsa da esse, ciò vien largamente compensato dalla sodisfazione che gli deriverà dal percorrere queste pagine, ove stampava sì luminose tracce della fecondità del suo immortal genio il Cantore del Furioso; e se qualche gusto gli rimane della buona poesia, e se qualche scintilla d'amor patrio gli scalda le vene, sarà contento aver veduto in questa età aumentarsi il patrimonio delle nostre lettere, e di nuove fronde rinfrescarsi la corona immortale che cinse l'onorata fronte del Poeta che, se Dante non era, sarebbe per primo inchinato.

      Che poi questi Canti fossero dettati per innestarli all'Orlando Furioso, come opinò taluno, oppure dovessero unirsi ai cinque altri postumi pubblicati da Virginio, la lettura attenta dei medesimi, ed il filo delle storie che vi son narrate, benchè interrotto, mostrano chiaramente che questa opinione non ha sussistenza; imperocchè il Furioso fu in ogni sua parte perfezionato dal Poeta nell'edizione del 1532, e tutte le storie intessutevi hanno il loro pieno sviluppo particolare. Di più nel Rinaldo compariscono personaggi ed attori diversi da quelli rammentati nell'Orlando, e toltone tre o quattro, nuovi affatto. E finalmente alla pag. 45 si allude ad alcuni

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<p>1</p>

E così ci è parso doverlo intitolare, quantunque nel corso dell'opera il Poeta chiami sempre Ranaldo, ed una volta Rainaldo, l'eroe del poema, che nel Furioso è nominato Rinaldo. Nè può cader dubbio che sieno due personaggi diversi, venendo sotto ambedue le denominazioni ciascuno qualificato per figlio d'Ammone paladino di Francia, Signor di Montalbano e fratello di Bradamante; cosicchè di tal cambiamento non può addursi per causa che il buon piacere dell'Autore.

<p>2</p>

Venezia 1551, presso il Marcolini a pag. 82.

<p>3</p>

Opuscoli del Calogerà vol. XII pag. 143 a 214.

<p>4</p>

Ora V. per le ragioni addotte a pag. XXI.

<p>5</p>

Qui sbaglia il Baruffaldi, perchè Bradamante non era donna di Rinaldo, ma sorella di esso e di Ricciardetto.

<p>6</p>

Ed una di nove, potea aggiungere.