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Come serpe all’incanto. Giá sleghi lo sacco delle bugie per vomitarmele adosso. Fa’ che a quanto ti dimando mi risponda subito, accioché non abbi tempo a pensare e colorir menzogne.

      Forca. Se stimate che quanto dico sia bugia, a voi soverchio il dimandare, a me il rispondere.

      Filigenio. Ben, che si fa?

      Forca. Si sta in piedi, con la beretta in mano, aspettando se mi comandate alcuna cosa.

      Filigenio. Dove è Pirino?

      Forca. Stando qua, non posso saper dove sia.

      Filigenio. Dove l’hai condotto?

      Forca. Egli conduce me dietro a lui, perché li son servo.

      Filigenio. Dove l’hai lasciato?

      Forca. Egli ha lasciato me.

      Filigenio. Parli cosí poco, come avessi a pagar la gabella delle parole. Furfante, furfante, ben sai che ci conosciamo insieme: se non mi dici il vero, farò che muti nome, e da Forca che sei diventerai un appiccato.

      Forca. Se dicessi la bugia, voi lo conosceresti in aprir la bocca.

      Filigenio. Quanto tempo è che mio figlio non ha visto la…?

      Forca. La che?

      Filigenio. Quella.

      Forca. Chi quella?

      Filigenio. Quella vostra…

      Forca. Chi quella vostra?

      Filigenio. Quella cosa vostra che voi sapete.

      Forca. Ah, ah, ah: sí, sí.

      Filigenio. Vedi pur che la conscienza accusatrice dell’animo tuo ti fa accertar il vero, ancorché non vogli?

      Forca. La vede ogni ora, ogni momento.

      Filigenio. Come ne sta innamorato?

      Forca. Innamoratissimo.

      Pirino. (Questo forfante par che discuopra i miei secreti).

      Filigenio. E segue tuttavia la prattica?

      Forca. La segue con tutto il suo studio.

      Filigenio. Quando pensa lasciarla?

      Forca. Quando lasciará la vita.

      Filigenio. Come lo sai?

      Forca. Ce l’ho inteso dir mille volte.

      Filigenio. Tanto è ostinato?

      Forca. Ostinatissimo.

      Filigenio. Perché tu non lo togli da questo proposito?

      Forca. Se non ubbidisce a voi, perché vuol ubbidir me?

      Filigenio. Quando va a casa sua, che fa?

      Forca. Gionto in casa sua, si butta sul letto supino, se la toglie in braccio e se la squinterna sul ventre e se l’accomoda innanzi: volta di qua, volta di lá, non la fa star mai ferma per tre o quattro ore, finché stracco non va tutto in acqua.

      Pirino. (Oh, che ti cadano i denti e quella lingua traditora!).

      Filigenio. E ti par questa buon’opra?

      Forca. Buonissima, eccellentissima.

      Filigenio. E tu sei quello che lo guidi e aiuti?

      Forca. Io, quando lo vedo tiepido e disamorato, l’aguzzo l’appetito.

      Filigenio. Talché tu sei il maestro.

      Forca. Maestro io? signor no, è il maestro del Studio.

      Filigenio. Che Studio? che signor no? Di che parli tu?

      Forca. E voi di che parlate?

      Filigenio. Io parlo della sua puttana.

      Forca. Ah, io non pensava che voi parlaste di cose triste, ma della sua Legge; e tutto il giorno si trastulla con la sua libraria, la strapazza e se la tiene aperta innanzi.

      Pirino. (O buon Forca, come l’hai ben salvata!).

      Filigenio. Cosí mi burli, eh?

      Forca. Io non burlo altrimente; rispondo alle vostre dimande.

      Filigenio. O Dio, che avessi un bastone! ché avendo tu la pelle delle spalle piú indurita di quella degli asini, se ti do con le mani, offenderò piú me che te. O che unguento di cancheri! Traditorissimo, se non ti disponi a dirmi la veritá, proverai lo sdegno di un padron irato e schernito da te. Ti darò tante bòtte che amboduo restaremo stracchi, io di dar, tu di ricevere.

      Forca. Dico il vero, a voi sta il creder quel che volete.

      Filigenio. Non mi hai risposto a quello che ti dimandava. Vuoi tu negarmi che Pirino non stia innamorato di una puttana, chiamata Melitea, che l’ha in poter un ruffiano che ne chiede cinquecento ducati?

      Forca. Signor no, signor sí, eh, padrone.

      Filigenio. Che «signor sí», «signor no» cerchi in nasconder la veritá? ed è tanta la sua forza che a tuo dispetto ti muove la lingua a dirla.

      Forca. Eh, padron mio.

      Pirino. (Sta’ saldo, Forca, ché il padron non ti scalza).

      Filigenio. Che padrone? mi fai del balordo; che balbezzare è il tuo?

      Forca. Io non so nulla; ma… .

      Filigenio. Che ma?

      Forca. Direi alcuna cosa, se stessi sicuro che egli non l’avessi a sapere.

      Filigenio. T’impegno la fede mia che non sará per saperlo giamai.

      Forca. Dubito che voi lo scoprirete un giorno, ed egli mi salterá adosso con un bastone; e non sapete che tremo in sentirlo nominare?

      Filigenio. Non dubitar, dico, ché quando io non bastassi a difenderti, sarei uomo da farti franco e mandarti via.

      Pirino. (Questa bestia mi fa entrare in suspetto).

      Forca. So che lo risaprá, e le spalle ne patiranno la penitenza. Ma alfin voi sète il padrone, vo’ piú per voi che per lui.

      Filigenio. Cosí mi par di ragione.

      Forca. Quanto avete detto, tutto è vero: che sta innamorato di una cortegiana, detta Melitea, che sta in poter di un ruffiano che l’ha venduta ad un dottore per cinquecento ducati; e però ne arrabbia di dolore.

      Filigenio. Dove pensa avergli?

      Forca. Rubbargli a voi come meglio potrá.

      Pirino. (Ecco che fa l’affratellarsi con i servidori: pensava aver un servo fidele e ho una spia secreta di mio padre).

      Filigenio. Come volete rubbarmi, se sto in cervello e mi guardo piú di voi che di tutti i ladri del mondo?

      Forca. È deliberato scassar lo scrittorio, se non lo può aprir col grimaldello.

      Pirino. (Merito questo e peggio. Or non sapevo io che i maggiori inimici che abbiamo sono i servidori?).

      Filigenio. Ma come mi accorgeva del fatto, come andava il fatto per voi?

      Forca.

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