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qual mi vinse ciascun sentimento;

      136 e caddi come l’uom cui sonno piglia.

      Canto IV

      Ruppemi l’alto sonno ne la testa

      un greve truono, sì ch’io mi riscossi

      come persona ch’è per forza desta;

      4 e l’occhio riposato intorno mossi,

      dritto levato, e fiso riguardai

      per conoscer lo loco dov’ io fossi.

      7 Vero è che ’n su la proda mi trovai

      de la valle d’abisso dolorosa

      che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.

      10 Oscura e profonda era e nebulosa

      tanto che, per ficcar lo viso a fondo,

      io non vi discernea alcuna cosa.

      13 «Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,

      cominciò il poeta tutto smorto.

      «Io sarò primo, e tu sarai secondo».

      16 E io, che del color mi fui accorto,

      dissi: «Come verrò, se tu paventi

      che suoli al mio dubbiare esser conforto?».

      19 Ed elli a me: «L’angoscia de le genti

      che son qua giù, nel viso mi dipigne

      quella pietà che tu per tema senti.

      22 Andiam, ché la via lunga ne sospigne».

      Così si mise e così mi fé intrare

      nel primo cerchio che l’abisso cigne.

      25 Quivi, secondo che per ascoltare,

      non avea pianto mai che di sospiri

      che l’aura etterna facevan tremare;

      28 ciò avvenia di duol sanza martìri,

      ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,

      d’infanti e di femmine e di viri.

      31 Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi

      che spiriti son questi che tu vedi?

      Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,

      34 ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,

      non basta, perché non ebber battesmo,

      ch’è porta de la fede che tu credi;

      37 e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,

      non adorar debitamente a Dio:

      e di questi cotai son io medesmo.

      40 Per tai difetti, non per altro rio,

      semo perduti, e sol di tanto offesi

      che sanza speme vivemo in disio».

      43 Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,

      però che gente di molto valore

      conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.

      46 «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,

      comincia’ io per volere esser certo

      di quella fede che vince ogne errore:

      49 «uscicci mai alcuno, o per suo merto

      o per altrui, che poi fosse beato?».

      E quei che ’ntese il mio parlar coverto,

      52 rispuose: «Io era nuovo in questo stato,

      quando ci vidi venire un possente,

      con segno di vittoria coronato.

      55 Trasseci l’ombra del primo parente,

      d’Abèl suo figlio e quella di Noè,

      di Moisè legista e ubidente;

      58 Abraàm patriarca e Davìd re,

      Israèl con lo padre e co’ suoi nati

      e con Rachele, per cui tanto fé,

      61 e altri molti, e feceli beati.

      E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,

      spiriti umani non eran salvati».

      64 Non lasciavam l’andar perch’ ei dicessi,[5]

      ma passavam la selva tuttavia,

      la selva, dico, di spiriti spessi.

      67 Non era lunga ancor la nostra via

      di qua dal sonno, quand’ io vidi un foco

      ch’emisperio di tenebre vincia.

      70 Di lungi n’eravamo ancora un poco,

      ma non sì ch’io non discernessi in parte

      ch’orrevol gente possedea quel loco.

      73 «O tu ch’onori scienzia e arte,

      questi chi son c’hanno cotanta onranza,

      che dal modo de li altri li diparte?».

      76 E quelli a me: «L’onrata nominanza

      che di lor suona sù ne la tua vita,

      grazia acquista in ciel che sì li avanza».

      79 Intanto voce fu per me udita:

      «Onorate l’altissimo poeta;

      l’ombra sua torna, ch’era dipartita».

      82 Poi che la voce fu restata e queta,

      vidi quattro grand’ ombre a noi venire:

      sembianz’ avevan né trista né lieta.

      85 Lo buon maestro cominciò a dire:

      «Mira colui con quella spada in mano,

      che vien dinanzi ai tre sì come sire:

      88 quelli è Omero poeta sovrano;

      l’altro è Orazio satiro che vene;

      Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano.

      91 Però che ciascun meco si convene

      nel nome che sonò la voce sola,

      fannomi onore, e di ciò fanno bene».

      94 Così vid’ i’ adunar la bella scola[6]

      di quel segnor de l’altissimo canto

      che sovra li altri com’ aquila vola.

      97 Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,

      volsersi a me con salutevol cenno,

      e ’l mio maestro sorrise di tanto;

      100 e più d’onore ancora assai mi fenno,

      ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera,

      sì ch’io fui sesto tra cotanto senno.

      103 Così andammo infino a la lumera,

      parlando cose che ’l tacere è bello,

      sì com’ era ’l parlar colà dov’ era.

      106 Venimmo al piè d’un nobile castello,

      sette volte cerchiato d’alte mura,

      difeso intorno d’un bel fiumicello.

      109 Questo passammo come terra dura;

      per sette porte intrai con questi savi:

      giugnemmo in prato di fresca verdura.

      112

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<p>5</p>

Пока он говорил, мы не прекращали идти,…

<p>6</p>

scola = scuola – вместо современного дифтонга «ио» часто встречается просто «о»: loco = luogo, rolo = ruolo и т. д.