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mi fece intrar dentr’ a quel muro,

      per trarne un spirto del cerchio di Giuda.

      28 Quell’ è ’l più basso loco e ’l più oscuro,

      e ’l più lontan dal ciel che tutto gira:

      ben so ’l cammin; però ti fa sicuro.

      31 Questa palude che ’l gran puzzo spira

      cigne dintorno la città dolente,

      u’[7] non potemo intrare omai sanz’ ira».

      34 E altro disse, ma non l’ho a mente;

      però che l’occhio m’avea tutto tratto

      ver’ l’alta torre a la cima rovente,

      37 dove in un punto furon dritte ratto

      tre furie infernal di sangue tinte,

      che membra feminine avieno e atto,

      40 e con idre verdissime eran cinte;

      serpentelli e ceraste avien per crine,

      onde le fiere tempie erano avvinte.

      43 E quei, che ben conobbe le meschine

      de la regina de l’etterno pianto,

      «Guarda», mi disse, «le feroci Erine.

      46 Quest’ è Megera dal sinistro canto;

      quella che piange dal destro è Aletto;

      Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto.

      49 Con l’unghie si fendea ciascuna il petto;

      battiensi a palme e gridavan sì alto,

      ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto.

      52 «Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto»,

      dicevan tutte riguardando in giuso;

      «mal non vengiammo in Teseo l’assalto».

      55 «Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso;

      ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi,

      nulla sarebbe di tornar mai suso».

      58 Così disse ’l maestro; ed elli stessi

      mi volse, e non si tenne a le mie mani,

      che con le sue ancor non mi chiudessi.

      61 O voi ch’avete li ’ntelletti sani,

      mirate la dottrina che s’asconde

      sotto ’l velame de li versi strani.

      64 E già venìa su per le torbide onde

      un fracasso d’un suon, pien di spavento,

      per cui tremavano amendue le sponde,

      67 non altrimenti fatto che d’un vento

      impetuoso per li avversi ardori,

      che fier la selva e sanz’ alcun rattento

      70 li rami schianta, abbatte e porta fori;

      dinanzi polveroso va superbo,

      e fa fuggir le fiere e li pastori.

      73 Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo

      del viso su per quella schiuma antica

      per indi ove quel fummo è più acerbo».

      76 Come le rane innanzi a la nimica

      biscia per l’acqua si dileguan tutte,

      fin ch’a la terra ciascuna s’abbica,

      79 vid’ io più di mille anime distrutte

      fuggir così dinanzi ad un ch’al passo

      passava Stige con le piante asciutte.

      82 Dal volto rimovea quell’ aere grasso,

      menando la sinistra innanzi spesso;

      e sol di quell’ angoscia parea lasso.

      85 Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo,

      e volsimi al maestro; e quei fé segno

      ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso.

      88 Ahi quanto mi parea pien di disdegno!

      Venne a la porta e con una verghetta

      l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno.

      91 «O cacciati del ciel, gente dispetta»,

      cominciò elli in su l’orribil soglia,

      «ond’ esta oltracotanza in voi s’alletta?

      94 Perché recalcitrate a quella voglia

      a cui non puote il fin mai esser mozzo,

      e che più volte v’ha cresciuta doglia?

      97 Che giova ne le fata dar di cozzo?

      Cerbero vostro, se ben vi ricorda,

      ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo».

      100 Poi si rivolse per la strada lorda,

      e non fé motto a noi, ma fé sembiante

      d’omo cui altra cura stringa e morda

      103 che quella di colui che li è davante;

      e noi movemmo i piedi inver’ la terra,

      sicuri appresso le parole sante.

      106 Dentro li ’ntrammo sanz’ alcuna guerra;

      e io, ch’avea di riguardar disio

      la condizion che tal fortezza serra,

      109 com’ io fui dentro, l’occhio intorno invio:

      e veggio ad ogne man grande campagna,

      piena di duolo e di tormento rio.

      112 Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,

      sì com’ a Pola, presso del Carnaro

      ch’Italia chiude e suoi termini bagna,

      115 fanno i sepulcri tutt’ il loco varo,

      così facevan quivi d’ogne parte,

      salvo che ’l modo v’era più amaro;

      118 ché tra li avelli fiamme erano sparte,

      per le quali eran sì del tutto accesi,

      che ferro più non chiede verun’ arte.

      121 Tutti li lor coperchi eran sospesi,

      e fuor n’uscivan sì duri lamenti,

      che ben parean di miseri e d’offesi.

      124 E io: «Maestro, quai son quelle genti

      che, seppellite dentro da quell’ arche,

      si fan sentir coi sospiri dolenti?».

      127 E quelli a me: «Qui son li eresiarche

      con lor seguaci, d’ogne setta, e molto

      più che non credi son le tombe carche.

      130 Simile qui con simile è sepolto,

      e i monimenti son più e men caldi».

      E poi ch’a la man destra si fu vòlto,

      133 passammo tra i martìri e li alti spaldi.

      Canto X

      Ora sen va per un secreto calle,

      tra ’l muro de la terra e li martìri,

      lo mio maestro, e io dopo le spalle.

      4

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<p>7</p>

u’ – сокращение от лат. «ubi» (где); в совр. языке «dove»