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aliena, al momento della sua estinzione, aveva preceduto di oltre due secoli quella del nostro pianeta: al ritorno a casa, la datazione sarebbe stata ripetuta con strumenti assai più sofisticati di quello portatile in dotazione alla cronoastronave 22, ma assai probabilmente il risultato non si sarebbe scostato di molto.

      Grande era negli scienziati il desiderio di scoprire la causa della scomparsa di quella razza intelligente. In primo luogo avrebbe potuto dare una risposta la registrazione sul disco fonico recuperato, dopo la pulizia sonora e un lavoro d’interpretazione, non facile nonostante l'ausilio dei robot traduttori; e avrebbero potuto giovare anche due documenti cartacei rinvenuti nella medesima stanza; ma questo studio e altri si sarebbero potuti svolgere solo dopo il ritorno sulla Terra, nell’Università La Sapienza di Roma per conto della quale la missione scientifica era balzata su quel lontano pianeta; e ormai il momento del rimpatrio era giunto, essendo quasi passato il periodo, corrispondente a un massimo di tre mesi terrestri dal momento della partenza, entro il quale era fatto obbligo di rientro da una legge del Parlamento degli Stati Confederati d’Europa, la Legge del Cronocosmo.

      A fine cena la comandante, il maggiore ingegner Margherita Ferraris, aveva comunicato senza preamboli agli ufficiali fuori servizio e agli scienziati, tutti seduti con lei attorno alla gran tavolata della sala mensa e riunioni: “Signori, tra poco si torna a casa”: Margherita era una nubile trentasettenne slanciata e sfiorante il metro e ottantacinque, nera di chioma e dal viso pienotto e grazioso: una persona decisa e un ufficiale assolutamente brillante; s’era laureata col massimo dei voti, una dozzina d’anni prima, in Ingegneria Spaziale al Politecnico di Torino e, essendo stata ammessa per concorso, durante l’ultimo biennio, anche all’Accademia Cronoastronautica Europea, collegata a quello e ad altri politecnici del continente, aveva ottenuto il grado di tenente del Corpo assieme alla laurea; entrata in servizio, era stata assegnata dapprima come secondo ufficiale a un vascello cronoastronautico che portava il numero 9, vale a dire il nono in ordine di costruzione, e anni dopo era salita a sub comandante dello stesso sigaro col grado di capitano: s’era fatta un’esperienza completa, in quanto la nave 9 era stata impegnata prima in missioni spaziali e, negli ultimi anni, in viaggi nel passato della Terra; di recente Margherita era stata promossa maggiore e aveva avuto il comando del novissimo vascello 22.

      â€œSono ansioso di ascoltare il disco sonoro, non appena l’avremo accomodato nel nostro laboratorio a Roma”, aveva detto ai commensali il professor Valerio Faro, direttore presso La Sapienza dell’Istituto di Storia delle Culture e delle Dottrine Economiche e Sociali, uno scapolo quarantenne bruno di capelli alto quasi due metri e di fisico robusto.

      â€œSì, anch’io ne sono ansiosa”, aveva fatto eco la dottoressa Anna Mancuso, ricercatrice di Storia e collaboratrice del Faro, una siciliana trentenne dai fini lineamenti e occhi grandi verdi, bionda perché lontana discendente d'occupanti normanni della sua isola, bella nonostante la non alta statura d'appena un metro e settantaquattro, contro la media femminile europea di uno e ottanta.

      â€œIo pure ho gran curiosità al riguardo”, era intervenuto l’antropologo professor Jan Kubrich, un quarantacinquenne professore associato dell'Università La Sapienza, biondastro rotondetto alto un metro e ottantacinque, statura media per lo standard maschile del tempo, uomo scientificamente rigoroso, ma appassionato purtroppo della Vodka Lime fino al punto di mettere a repentaglio la propria salute.

      Aveva fatto séguito Elio Pratt, quarantenne professore associato d’Astrobiologia a La Sapienza, specializzato in fauna e flora acquatiche, nonché subacqueo eccellente distintosi in gare d’immersione nei mari terrestri: “Io ho già potuto avere molti risultati sulle specie che ho adunato nelle due vasche, ma certamente una volta a Roma potrò di molto approfondire”.

      â€œSeguirò con gran interesse il vostro lavoro e credo che potrò esservi utile nelle traduzioni”, aveva detto da parte sua la matematica e statistica Raimonda Traversi.

      Il coordinatore del gruppo astrobiologico dottor Aldo Gorgo non aveva invece parlato: essendo lui il medico militare di bordo e non un docente o ricercatore universitario, semplicemente avrebbe continuato il suo servizio sulla nave, lasciando il prosieguo delle ricerche agli altri studiosi.

      Meno di un’ora dopo, tempo terrestre, la nave 22 aveva lasciato l’orbita del pianeta dirigendosi nello spazio profondo per compiere, dalla distanza di sicurezza regolamentare, il balzo cronospaziale verso la Terra: come già all’arrivo prima dell’entrata in orbita, 2A Centauri s’era presentato ai cronoastronauti nella sua interezza, coperto di ghiacci nelle zone artica e antartica, entrambe senza terre sottostanti, e con due continenti, entrambi in area boreale, grandi ciascuno poco meno dell’Australia, divisi da uno stretto braccio di mare, mentre l’altra faccia del globo era coperta interamente da un oceano.

      Alle 10 e 22 minuti, ora di Roma, del 10 agosto 2133 la cronoastronave 22 s’era immessa in orbita attorno al nostro mondo. Sulla Terra erano trascorse poco più di diciotto ore da quando, alle 16 e 20 del 9 agosto, la spedizione scientifica s’era imbarcata con destinazione il secondo pianeta della stella Alfa Centauri A: era stato grazie al dispositivo Cronos del sigaro che sulla Terra non era passato neppure un giorno, anche se la spedizione era rimasta a lungo su quel mondo alieno. La fatica che gravava su tutti era però quella dei mesi di lavoro sopportati.

      Gli scienziati e la parte d’equipaggio che avrebbe goduto del primo turno di franchigia erano desiderosi di rilassarsi, chi non avendo famiglia in una vacanza tranquilla, chi nella quiete domestica ritrovando i propri cari dopo la lunga separazione. I famigliari, al contrario, non soffrivano mai il senso del distacco, per essi infatti passava ben poco tempo prima del ricongiungimento. Dopo le prime esperienze, i viaggiatori e i loro cari s’erano abituati alle conseguenze di tali anacronismi, fra i quali l’invecchiamento di chi era partito, sia pure non evidentissimo in quanto anche per questo motivo, oltre che per lo stress che comportavano, le missioni non potevano superare il tempo massimo di tre mesi. A differenza di quanto previsto dall’Einstein per i semplici viaggi spaziali a velocità prossima a quella della luce, per cui l’astronauta sarebbe rimasto giovane e gli abitanti della Terra sarebbero invecchiati, le spedizioni con balzi temporali non influivano sull’età del cronoastronauta, egli subiva solo l’azione invecchiante naturale dovuta al trascorrere dei mesi durante i soggiorni su altri pianeti e, per i cronoviaggi, sulla Terra del passato.

      Le comunicazioni dal e col nostro pianeta erano rimaste interrotte fin dal balzo della nave 22 verso il pianeta alieno, avvenuto per ragioni di sicurezza, secondo i regolamenti, dalla distanza d’un milione di chilometri dall’orbita lunare: le trasmissioni radio e televisive erano del tutto inutili perché, viaggiandole le onde a una velocità appena tendente a quella lentissima della luce, sarebbero giunte a destino dopo gran tempo: sul pianeta 2A Centauri sarebbero arrivate dalla Terra all’incirca 4,36 anni più tardi,27 quando ormai gli esploratori sarebbero ripartiti da un pezzo. Era sempre così nei viaggi spaziali e, ovviamente, a causa dello sfasamento cronologico, pure in quelli nel tempo: i cronoastronauti restavano del tutto isolati, i soli “collegamenti”, volendo chiamarli così, erano quelli detti “congelati”, si trattava cioè di tutte le informazioni relative alla Terra, dalle storiche più antiche alle recentissime, tratte dagli elaboratori elettronici pubblici del mondo e racchiuse, fino a un momento prima di partire, nelle memorie dei computer di bordo e, per certi dati, pure in quelli individuali dei membri dell'equipaggio e dei ricercatori: anche tali elaboratori personali, nonostante l'estrema piccolezza, erano potentissimi, con capacità di memoria e prestazioni inimmaginabili al tempo dei primi goffi personal del XX secolo e degli stessi PC dei primi decenni 2000.

      Non appena entrati in orbita, la comandante Ferraris aveva ordinato d’aprire il contatto con l’astroporto di Roma, nel quale i ricercatori e il personale in franchigia s’accingevano a sbarcare.

      Shock!

      Anche se la rigorosa disciplina di bordo aveva impedito all’equipaggio d’esprimere emozioni, la situazione era apparsa di colpo oltremodo

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