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pellicola: il sonoro doveva essere stato stereofonico. In uno dei due tratti di pellicola, il meno danneggiato e ch’era stato restaurato per primo e passato a computer, gli studiosi avevano potuto osservare una strada con pedoni sui marciapiedi e uno scorrere non intenso di veicoli con motore a scoppio, di forme simili a quelle delle carcasse di auto e camion ritrovate. Restaurato anche il secondo tratto recuperabile di pellicola e trasferite a computer le immagini, s’era potuto vedere un campo vacanze estivo di gente nuda.

      La mattina del 14 giugno 1933, sul presto, il “fascista della prima ora” Annibale Moretti, debitamente istruito e stanco per la notte insonne a parte alcune brevi pause pisolanti sopra una sedia, era stato lasciato libero di lasciare la caserma Giovanni Berta e tornarsene a casa: fra tanti ringraziamenti per la collaborazione prestata.

      La sua bicicletta era rimasta alla Stazione dei Carabinieri perché il giorno prima era stato trasferito al presidio della Milizia sopra una camionetta; il Moretti s’era rassegnato a farsi tutta la strada a piedi fino a casa, distante una decina di chilometri dalla caserma, ché nessuno, dal comandante all’aiutante maggiore, al centurione addetto alla sicurezza del reparto, all’ufficiale di picchetto, s’era sognato di favorirlo ordinando per lui un passaggio motorizzato. Nemmeno l’avevano ristorato, né con la cena la sera precedente né, almeno, con la prima colazione quella mattina, assieme alla truppa se non altro, s'era detto Annibale, se non presso il circolo sottufficiali o, magari, ufficiali. Con lo stomaco vuoto, aveva fatto sosta nel primo caffè che aveva incontrato, che esibiva l’insegna 'La Megasciada': veramente, più un trani12 che un caffè, ma dotato di macchina napoletana13 per i pochissimi avventori astemi e, la notte, per quei tranatt troppo ubriachi per tornarsene a casa dalle mogli senz’aver ingurgitato, prima, un buon litro d’ammazzavino. Erano le 8 in punto quando il Moretti s’era seduto ordinando caffè e pane. Aveva visto che nel locale c’era un apparecchio radiofonico e aveva chiesto d'ascoltare il giornale radio. Era stato accontentato e Annibale aveva potuto udire, sentendosi citare anonimamente, proprio il comunicato che aveva sperato: “…e il bolide celeste è stato visto per primo da un bravo agrario, fascista ante Marcia, che subito ha avvisato, con la tipica diligenza del vero fascista! i Regi Carabinieri i quali, con altre forze dell’ordine, hanno recuperato e consegnato alla scienza quanto restava dell’oggetto celeste”:

      La notizia di quel meteorite era stata diffusa fin dalla sera prima dall’EIAR14 e dalle edizioni del tardo pomeriggio dei quotidiani e, il dì seguente, da quelli del mattino e dai primi giornali radio. Annibale non s'era stupito sentendo del bolide, infatti nella caserma Berta era stato ripetutamente invitato, da vari ufficiali, a studiare a memoria una frase che proprio di bolide parlava, scritta a stampatello il pomeriggio precedente, sopra un foglietto, dal comandante Trevisan, ma precedentemente ideata e comunicata per telefono al medesimo dal meticoloso Bocchini. Era una lezioncina pedante da ripetere in pubblico e in famiglia: “Si tratta d’un bolide, cioè d'un oggetto naturale caduto dal cielo, però non rotondo ma dalla strana forma di pietra discoidale, un po’ come quelle che si lanciano sull’acqua per farle rimbalzare, ma molto più grande”. Al mattino, sul presto, prima il capo manipolo che montava di picchetto, poi il centurione addetto alla sicurezza e alle informazioni e, infine, il primo seniore Trevisan, per l’occasione giunto in anticipo da casa, avevano interrogato l’agrario con scrupolo. Questi aveva dato prova, tutte le volte, di conoscere la lezione alla lettera. A precisa domanda del comandante, rivoltagli poco prima di congedarlo, egli aveva assicurato che così esattamente avrebbe detto e giammai diversamente, aggiungendo deciso per maggiore credibilità: “Sì, ma certo, si capisce bene ch’è un grosso sasso piatto dal cielo, e come no? è così evidente, signor primo seniore!” In cuor suo tuttavia l’uomo, essendo di fine intelligenza anche se aveva completato solo la terza elementare, non se l’era proprio bevuta ed era rimasto convintissimo – altro che palle! mica era un pistola, lui! – che quello era un aviomobile bello e buono, a forma di strano disco e segretissimo, sissignore, e non un oggetto naturale caduto dal cielo.

      Sempre in quella mattina del 14 giugno 1933, nello stesso momento in cui il Moretti stava facendo la sua prima colazione nel trani ascoltando il giornale radio e ragionando fra sé e sé, Mussolini, nel proprio ufficio, stava di nuovo riflettendo su quell’aeromobile sconosciuto: 'Prototipo francese, inglese o germanico?'. “La Germania”, s’era detto, “mi pare poco probabile, quell’isterico baffo da Charlot è al potere da pochi mesi e prima, con tutti i bordelli che avevano lassù i germanici, di sicuro non pensavano a progettare nuovi velivoli15. Però adesso 'l sbàfi16 Adolf sta mettendo ordine in fretta”: Mussolini non aveva in simpatia quel suo imitatore politico adorante che, parlando in pubblico, soggiaceva a momenti isterici e, come gli avevano riferito i servizi segreti, scadeva in privato, in certi momenti, nella più grave melanconia piena di paura per il giudizio del mondo e colma di senso d’inferiorità, cosa assolutamente inconcepibile, invece, per un sanguigno burbanzoso come il Duce ch’era certo-certissimo d’essere ammirato, soprattutto da capi e ministri d’altre nazioni, come ad esempio il Cancelliere dello Scacchiere britannico Winston – Winnie – Churchill che gli aveva fatto visita a Roma nel ’29 17 e ch’egli chiamava il sigarone – “gran fumatore di sigari Montecristo numero 1”, gli avevano riportato gli efficienti servizi dell'OVRA –; ma essere ammirato da 'l sbàfi Adolf non gli piaceva mica poi tanto, ve'!

      Eppure era stato proprio l’esempio di Mussolini a dar alimento all’azione di Adolf Hitler, 'l sbàfi per il Duce, capo d’un movimento analogo al fascismo, sorto sulle fondamenta d'un minuscolo Partito Tedesco dei Lavoratori divenuto il Partito Nazionalsocialista che aveva espresso tutto ciò che di violentemente aberrante covava sotto la sconfitta tedesca, in primo luogo i tradizionali militarismo acceso e il razzismo, in cui il Führer dai baffetti alla Charlie Chaplin aveva pescato a man bassa nel costruire la sua dottrina funesta che l’aveva portato al vertice della Germania il 31 gennaio di quello stesso anno 1933 in cui in Italia si sarebbe catturato, in giugno, il disco volante.

      Il telefono bianco del Duce aveva trillato. Nonostante fossero ormai le 19 passate, Mussolini era ancora nel suo studio presidenziale.

      Era Bocchini: “Duce, vi saluto!”

      â€œNovità?”

      â€œConosciamo la probabile nazionalità dei tre cadaveri”.

      â€œBravo! Come s’è saputa?”

      â€œFacilmente, grazie alle scritte di servizio all’interno del disco, tutte in inglese, e inoltre ad altre, nella stessa lingua, sulle etichette interne della biancheria intima dei tre morti. Purtroppo, su magliette e mutande non risultano indirizzi aziendali di Gran Bretagna o d’altro Paese anglofono, ma la prima nazione, vista la sua potenza e la situazione politica attuale, sembra la più probab…”

      â€œ...certamente! La Gran Bretagna è probabilissima! Quelli là sono maestri nel ficcare il naso a casa altrui; e se è vero che sigarone mi ha in gran simpatia, è pur sempre un patriota inglese. Bene, Bocchini, tu sai cosa devi fare coi servizi dell’OVRA, mentre a quelli militari faccio mandare disposizioni io”.

      â€œSempre ai vostri ordini, Duce, ma ho un altro paio di cose da dirvi”.

      â€œDille”.

      â€œAnzitutto, s’è rivelata del tutto precisa la vostra idea che si trattasse non di collaudatori ma di spie: lo si è capito quando in un comparto interno del disco si sono trovati altri abiti borghesi, questi di foggia cittadina e non, diciamo così,

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