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e tu?”

      “Al,” rispose la Bestia.

      Subito, si ricordò.

      “Alon,” si corresse.

      Era quello il suo nome. Quand’era stata l’ultima volta che l’aveva usato? Che qualcuno l’aveva chiamato così?

      Finiti i convenevoli, si alzò e gli diede un calcio. Uno leggero, quasi un buffetto, per allontanarlo.

      “Corri,” gli disse. Ad lo guardò, le lacrime agli occhi. Lacrime di piacere, ovviamente. Venne, immediatamente, circondato da marpioni di ogni età che fecero a gara per occuparsi di lui.

      Ma il ragazzo non rimase a scegliere il suo salvatore. Si alzò di scatto e scappò nella sua cabina.

      “Ehi! Torna qui e continua lo spettacolo!” rise la folla.

      Tutti applaudirono, mentre la Bestia si ricomponeva.

      Una delle Schiave di Melinda, Selena, gli sorrise. Ma Aletta lo trascinò via. Il resto della cricca li seguì nella suite della donna.

      “Notevole! Davvero notevole,” commentò Gene.

      “Sì! Bravissimo, Al,” seguì Melinda.

      Aletta gli stava accarezzando i lunghi capelli, facendoli scivolare tra le dita.

      “Perché non hai pisciato addosso a quel piccolo figlio di troia, me lo spieghi?” domandò, cattivo, Amir.

      A quel pensiero, Stine e Gene ebbero un brivido. Un caldo fiume giallo su quella puttana capricciosa. Ebbero quasi un’erezione. Ma Aletta divenne cupa. Le era passato il buon umore.

      “Già,” disse, poi. “Perché non l’hai fatto?”

      L’atmosfera era stata rovinata.

      Selena tremò per la Bestia. Non le era mai passata, quella cotta adolescenziale.

      “Maddai, su, non ci avrà pensato!” intervenne Melinda. “Mica è un Padrone, lui! Poverino, che ne sa di certe cose?”

      Aletta non l’ascoltò.

      Tirò fuori il vibratore, ancora sporco.

      “Mettiti a quattro zampe. Subito,” ordinò alla Bestia.

      Dalle stelle alle stalle, in meno di un minuto.

      CAPITOLO SETTE

      Al sapeva quale orrore lo attendeva.

      Quel vibratore gigante avrebbe riaperto tutte le ferite e ulcere che avevano appena iniziato a cicatrizzarsi. Poi, l’avrebbero curato col ‘SalvaGente’ -panacea all’ultimo grido, in quel di Firokami, pure più famoso dell’Aspirina- che avrebbe guarito la qualsiasi.

      Se lo avessero lasciato in pace, per qualche giorno.

      Ma non sarebbe andata così.

      Gli uomini erano lì per scopargli pure il cranio, passando per l’uretra. Le donne non vedevano l’ora di pisciare su ogni singolo, minuscolo, taglietto che si ritrovava.

      Non sarebbe stato nulla fuori dall’ordinario, in tempi normali. Ma era appena caduto in disgrazia. Non aveva sottomesso abbastanza la puttana che aveva aggredito Amir.

      E se avessero scoperto che, in realtà, l’aveva aiutato?

      Non voleva nemmeno pensare alla caccia che si sarebbe aperta a bordo per trovarlo. E a quello che sarebbe successo, una volta acciuffato.

      Il suo Angelo, il suo Amore.

      No, non l’avrebbe permesso.

      Si inginocchiò, subito, davanti alla sua Padrona. Doveva ingoiare l’orgoglio e implorare.

      Non l’avrebbe fatto perché temeva il dolore, ovviamente, ma per salvare quel giovane che lo stava facendo impazzire.

      Poteva anche funzionare. Dopotutto, era sempre sull’orlo della narcolessia. Nessuna tortura più lo smuoveva. Quel cambiamento avrebbe acceso qualcosa, nei Padroni. Si sarebbe impegnato. Sarebbe stato Katherine Hepburn.

      “Vi prego, mia Signora!” implorò, gettandosi ai piedi della donna. “Lasciate che lo trovi e lo porti qui! Gli piscerò ovunque, lo giuro!”

      “E come pensi di fare? In questo momento starà sicuramente piagnucolando nella sua cabina. Oppure, più probabile, si starà facendo consolare da qualcuno. Quindi, te lo richiedo. Com’è che pensi di portarlo qui e finire l’opera, troia?” rispose Aletta, palesemente incazzata nera.

      Non aspettò nemmeno la risposta, prima di aggiungere, “Non temere. Il tuo amico gommoso qui presente saprà come stimolarti la fantasia. Magari, la prossima volta, sarai un pochino più creativo.”

      Non stava funzionando. Doveva aggiungerci un po’ di Meryl Street, alla sua performance.

      “Stasera! C'è un ballo. Parteciperà sicuramente, lo farò lì.”

      “Mica male, come idea,” commentò la donna, accendendo il vibratore e provando le varie velocità. “Ma dovremo pur ammazzare il tempo, fino ad allora.”

      “Vi soddisferò tutti! Abbiate pietà, non fatelo!” continuò a implorare, giusto per.

      La sua idea era stata accettata. L’Efebo era salvo. Doveva solo mantenere la facciata. Cazzo gliene fregava di quel dildo gigante? Aveva visto e provato di peggio. Certo, sarebbe stato inconveniente e scomodo e un’autentica rottura di coglioni. Ma, alla fine, sticazzi.

      “Ovvio che lo farai,” sbottò Aletta.

      L’approvazione degli altri Padroni era molto, molto, importante per lei.

      Come tutti i narcisisti, era insicura.

      E come tutti gli insicuri, adorava essere invidiata.

      L'ultima cosa che voleva era che qualcuno mettesse in discussione il suo rigore.

      Quella col cuore tenero era Melinda. Certo, aveva anche lei la sua bella reputazione. Gli Schiavi maschi non le duravano più di due anni. Li uccideva, tutti, in modi crudeli e disgustosi. Aveva un occhio di riguardo, però, per le Schiave donne. Non la si vedeva mai, senza una ragazza accanto.

      Nel frattempo, Aletta stava lubrificando il vibratore. Fissando Al per tutto il tempo. Come stavano facendo tutti i presenti. Quella Bestia umiliata e sottomessa era una visione. Chissà come si sarebbero sentiti umiliati loro, se avessero anche solo sospettato che -quella- era tutta una finta e che la Bestia stava semplicemente ottenendo ciò che voleva!

      “Non preferireste frustarmi?”

      Alon era carico a pallettoni. Si stupì di se stesso, per quell’uscita.

      “Faremo entrambe le cose, stai sereno,” rispose Aletta, cadendo drittadritta nella trappola.

      Amir, beato tra il suo Schiavo e quello di Gene, risero di gusto. Stine si concesse un sorriso. Gene, invece, era impegnato con Selena. La toccava, assente, pensando alla prossima orgia.

      Alon, sentendosi sempre più Joan Crawford, buttò all’aria la dignità e si aggrappò -singhiozzando- alle gambe della sua Padrona.

      “Vi prego! Vi supplico! Vi imploro!”

      Cazzo se era convincente!

      La donna guardò Amir. Quello, con una scrollata di spalle, puntò il pollice verso il basso. L’Imperatore aveva deciso. Anche Melinda scrollò le spalle. Ma il suo pollice era sollevato. Stine rimase immobile. Voleva vedere l’andazzo, prima di esprimersi e seguire il gregge. Gene abbandonò le grazie di Selena e pollice verso pure per lui. Quindi, anche il gioielliere -da brava pecorella- decise per il no.

      “Vedi? Tre contro due, dolcezza,” disse, sarcastica, Aletta.

      “Ma così non potrò più ballare,” sussurrò lo Schiavo. Lo fece perché, se avesse parlato a voce alta, molto probabilmente sarebbe scoppiato a ridere davanti a tutti.

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