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Lasciami, ti prego!” implorava il ragazzo.

      Alon non obbedì. Le spinte si fecero veloci e violente. Ad cercò in tutti i modi di allontanarsi, costringendolo a bloccargli i polsi. Così sottili che gli servì una sola mano. L’altra la usò per chiamare uno dei camerieri. A quei balli, servivano sempre un cocktail speciale. Lo Sborratore, si chiamava. Un nome, una garanzia. Ne trangugiò due di seguito. Al terzo, però, non ingoiò. Si chinò a baciare Ad e passò il liquido nella sua bocca.

      Gli effetti ebbero subito presa sul ragazzo. Divenne più lascivo, più trattabile.

      Lo Schiavo, subendo gli effetti sia del drink che dell’amante, ne approfittò subito.

      I due divennero un groviglio di carne, sudore e singhiozzi. Tutto era delizioso. Talmente delizioso che Al quasi si scordò dell’unica richiesta, più o meno, sensata di Gene. Coronò quella scopata epica pisciando addosso al bellissimo giovane. Quello non si lasciò scappare nemmeno una goccia. O, almeno, così aveva pianificato. Pioggia dorata cadde sulla sua pelle ambrata. Quando un fiotto gli finì negli occhi, si ricordò il patto. Iniziò quindi a urlare e tentare di allontanarsi. Poi, colpì l’inguine della Bestia con un pugno. Faceva tutto parte della performance. Esattamente come la reazione che ne seguì. Un frustino apparì letteralmente dal nulla -e con nulla si intende uno dei Padroni lì accanto- e venne abbattuto sulle membra di quell’impertinente. Il tutto continuando a svuotarsi la vescica. Una volta finito, gli diede un buffetto sulla guancia. Si girò e se ne andò. Il ragazzo rimase in mezzo alla sala, nudo, le mani a coprire il volto. Un uomo sulla cinquantina fece cenno a un cameriere che si avvicinò subito al ragazzo in lacrime. Alon pensò si trattasse del suo Protettore. Sembrava un tipo tosto. E si allontanò tranquillo.

      “Bravo! Ottimo lavoro!” si complimentò Aletta.

      Amir non aggiunse nulla.

      Era fatta, poteva rilassarsi. Per modo di dire.

      La serata proseguì come al solito, tra cocktail afrodisiaci e sessioni coatte di BDSM. Dopo, la donna affidò Alon a Stine. Sarebbe stato lui a condurlo in cabina. Lei aveva da fare, ma li avrebbe raggiunti. Ciò significava che Alon non avrebbe nemmeno potuto pensare di rilassarsi, quella sera.

      Stine si accese una sigaretta, mentre si guardava attorno.

      “Vieni qui, mettiti a quattro zampe e alza il culo,” gli ordinò.

      Alon obbedì. La noia che lo assaliva di già.

      ***

      Ad, coincidenza, stava leggendo proprio lo stesso libro che aveva appassionato Alon quella mattina. Solo che a lui nessuno lo avrebbe portato via. Nessuno lo avrebbe interrotto. Tranne Aletta. La donna piombò nella sua cabina, senza bussare né annunciarsi. Il giovane era talmente scioccato da tanta superbia che nemmeno reagì.

      “Ma ciao, sgualdrina,” salutò.

      Ad sollevò un sopracciglio. Ma chi cazzo si credeva di essere?!

      “Primo, come sei entrata. Secondo, cosa ci fai qui. Terzo, levati dai coglioni e vattene,” elencò il legittimo cliente della stanza. Poi, aggiunse, “No, sai che? Primo, levati dai coglioni e vattene. Sticazzi del resto.”

      Era stato anche piuttosto educato, secondo i suoi standard.

      Aletta, di scatto, si slacciò la cintura dell’abito. Quel tessuto leggero le cadde di dosso, lasciandola nuda. Il suo corpo, una cornucopia di chirurgia estetica.

      “Smettila di resistere, ragazzino, non hai scelta.”

      Ad, se possibile, fu ancora più scioccato. Con disprezzo, le lanciò il libro addosso.

      “Vattene via, zoccola! Ma guardati, fai schifo!”

      Aletta sgranò gli occhi. Ma sarebbe morta prima di ammettere che quelle parole l’avevano offesa. Quindi, rise. Dopotutto, lei sapeva di essere bella. Fasulla, ma pur sempre attraente. A settantasette anni mangiava la pastasciutta in testa a qualsiasi ragazzina di venti.

      O così credeva, poraccia.

      Si rivestì e raccolse il libro da terra.

      “Preferisci i maschioni, nevvero?” gorgheggiò.

      Era proprio il tono di voce che più infastidiva Ad. Rabbrividì di rabbia e disgusto.

      “Mi sembra chiaro!” rispose. “Te ne vuoi andare o no?”

      E spalancò la porta della cabina, indicandole l’uscita.

      Aletta, per tutta risposta, si sedette sul letto.

      “Cos’è che leggi, di bello?” chiese, raccogliendo il libro appena lanciatole. “Vediamo. ‘Più Forte Della Morte’. E dimmi, ti piace?”

      “Sì, molto,” rispose. “Adesso vattene o chiamo il Capitano. Ringrazia di essere una vecchia pazza, altrimenti ti avrei preso a calci in culo. Vattene, ho detto!”

      Aletta, alla menzione del Capitano, decise di non sfidare la sorte. Almeno per quel giorno. Quello Schiavo si stava comportando come tutti gli Schiavi non ancora domati. Gli sarebbe passata. Una volta che la sede di Dora fosse stata notificata, anche lui si sarebbe piegato.

      “Non hai idea di cosa ti aspetta,” disse la donna, mentre usciva.

      Prima di allontanarsi definitivamente, però, non resistette ed allungò una mano sui genitali del giovane.

      Lui la colpì immediatamente.

      Quella vecchia troia stava mettendo alla prova la sua pazienza.

      “Lo so. Mi attendono grandi gioie e infinite prosperità. Per non parlare dell’incontro con un bellissimo straniero alto e moro! Ora, vai pure a unirti al mio fanclub. Vanta già un membro. Sicuro che lo conosci. È uno stramboide secco, tipo tossicomane, sempre vestito di nero.”

      Era la perfetta descrizione di Stine.

      “Abbi rispetto,” sibilò la donna.

      Ad rise di scherno. Dopo di che, sbatté la porta e mise su il chiavistello. Aveva poca voglia di ricevere altre visite.

      Ridicoli, tutti quanti.

      Erano gelosi perché l’avevano visto con Alon.

      Alon.

      Non faceva altro che pensare a lui.

      Era già la seconda volta che faceva la parte della donzella corteggiata. Non che gli dispiacesse, ma non era proprio il suo stile.

      Era il momento di agire. Avrebbe dato la caccia a quel cazzo di Dio.

      Fu ciò che pensò, mentre si coricava e scivolava in sogni fatti di carne e sudore e singhiozzi.

      CAPITOLO NOVE

      Aletta rientrò alla base.

      Stine si voltò a guardarla, mentre la donna si versava un drink e svuotava il bicchiere in un sorso solo. L'uomo spense un’altra sigaretta nello sfintere di Alon, per gettarla -poi- assieme alle altre.

      “Credo che, per oggi, abbia finito di ballare. Missà che dovrai prenderlo in braccio,” rise.

      Aletta annuì.

      “Ovvio.”

      I due, quindi, si baciarono. Ma Stine uscì dalla stanza, mentre lei iniziò a spogliarsi.

      L’incontro con quel ragazzino sfacciato aveva fatto accrescere la sua voglia di scopare a livelli inimmaginabili.

      Voleva un maschio e lo voleva subito.

      “Vieni qui e lavora, invece di bighellonare,” disse ad Alon.

      “Vado prima a lavarmi, Padrona?” chiese lui, trattenendo uno sbadiglio.

      “Non ne hai bisogno,” rispose la donna, con una scrollata di spalle.

      La Bestia si alzò, lentamente. Ogni movimento era pura agonia. Ma nulla poteva superare la sua ennui.

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