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più del Diavolo. Usando il trucchetto di poco prima, aprì la bocca e mascherò le smorfie di dolore in smorfie di piacere. Si muoveva brusco, poi lento. Faceva palpitare l’ano, poi lo apriva del tutto. Sempre muovendosi avanti e indietro, su e giù. Dopo il trattamento di Aletta, gli risultò molto facile. Gene sembrò apprezzare, perché venne pochi minuti dopo. Lo capì dalla sborra che gli colpì le pareti interne, perché dalla faccia avrebbe potuto benissimo trovarsi alla fermata dell’autobus.

      Alon strinse subito i glutei, intrappolando quella carne turgida fino all’ultimo.

      “Oh, mio Dio,” ansimò Gene.

      Il robot aveva parlato. Alon non osò muoversi.

      L’aveva mica rotto?

      Forse che sì, forse che no.

      Aspettava un ordine, uno qualsiasi. Non voleva lasciare quella stanza, però. Quindi, ondeggiò ancora una volta. Nel dubbio, meglio essere sicuri.

      “Un po’ oscurantista, questa mancanza di sadismo,” commentò Gene. “Ma starai sicuramente morendo dalla voglia.”

      E afferrò il cazzo duro dello Schiavo. Quello venne subito. I tremori di dolore mascherati da esperti lamenti di piacere. Gene sembrò cascarci. Alla fine, non era poi chissà quanto diverso dagli altri.

      “Va bene,” disse, poi. “Allora, le palle, le tagliamo al novellino. Okay?”

      Alon s’irrigidì. Sapeva perfettamente a quale novellino si stesse riferendo.

      “E se fosse già col suo protettore?” domandò la Bestia, con tutta la nonchalance di cui era capace.

      Poi, aggiunse, “Se volete, Padrone, potete tagliare me.”

      Era estremo, ma doveva assolutamente tenere tutti loro lontano da Ad. Alla finfine, che caspio erano un paio di testicoli? Poteva vivere senza.

      “Oh, non è che faccia differenza -per me- chi tagliare,” disse. “Ma che ti prende, però? Prima non vuoi, poi vuoi. Io boh.”

      Alon era esausto. Mentalmente esausto. Quel Padrone lo stava portando al manicomio. Ma doveva tentarle tutte.

      “Padrone, col dovuto rispetto, quel novellino non sa proprio com’è che si scopa!”

      “Gli insegneremo.”

      “Ma sarà noioso!”

      “E chi è che non è noioso, di grazia?” rispose Gene. “Sarà comunque molto piacevole, da guardare.”

      “Dopo il primo utilizzo, non sarà più così bello.”

      “Vedremo. Se non ci piace, lo butteremo via. Dovrò dire ad Aletta di accendere la cinepresa, al ballo. Sarai ripreso, mentre lo punirai. Sarà un bel film, degno di Kubrik.”

      “Il Padrone non sarà presente di persona?”

      “No, ho un affare urgente. Proprio a quell’ora. E, detto tra noi, dubito Stine riesca a trovare questo novellino. Fa tanto il macho, ma non vale nulla.”

      “Cosa devo fare, quindi, Padrone? Per non rovinare tutto?”

      “Oh, non saprei,” sospirò Gene. “Chiunque sia, scopatelo a sangue. O qualcosa del genere. Pisciagli addosso. Meglio! Pisciagli in bocca, mentre te lo succhia!”

      Poi, fece schioccare la lingua.

      “Potresti buttargli giù i denti. E prenderlo a calci nelle palle. Le solite cose, insomma,” terminò Gene.

      Sì, le solite cose trite e ritrite. Di nuovo, non così diverso.

      “Vi ringrazio, Signore,” disse Alon, comunque, senza la minima intenzione di mettere in pratica quei consigli.

      “Figurati. E ricordati di raccoglierti i capelli. Voglio vedere i tuoi occhi, durante l’opera.”

      “Sarà fatto, Padrone.”

      CAPITOLO OTTO

      Prima di cena, Aletta fece un clistere -in via preventiva- ad Alon. La Compagnia si diede appuntamento, subito dopo, al ballo. Lì, il giovane Ad stava già dettando legge sulla pista. La Bestia si guardava, erratico, attorno. Era alla ricerca di una persona, una sola, che potesse anche solo lontanamente essere spacciata per un Protettore degno di una tale bellezza. Ne trovò un bel po’ e tutti, -tutti- la fissavano, quella bellezza.

      “Eccolo lì,” sibilò, maligno, Amir.

      Aletta colpì Alon sulla nuca.

      “Datti da fare,” gli disse. “O mi darò da fare io, col tuo amico di gomma.”

      Le minacce della Padrona non erano mai vane. Quella, nello specifico, l’aveva già attuata. Lei, placidamente addormentata. E lui, tutta la notte a pecorina, inesorabilmente pieno di quel mostro sintetico.

      Si mosse tra la folla, infastidito. L’idea di umiliare -di nuovo- Ad, in pubblica piazza, lo faceva sentire uno schifo. Non era riuscito a salvarlo la prima volta e doveva sottoporlo a nuovi, imbarazzanti, pericoli. Però, quando se lo trovò davanti, non poté fare a meno di essere felice. Era così bello, sarebbe rimasto ore a guardarlo. Ma non fece in tempo ad assaporare quel momento, che venne circondato da dozzine di uomini e donne. Tutti sorridenti, tutti che tentavano di attirare la sua attenzione, tutti che volevano ballare con lui. La Bestia, però, aveva una missione. Non si fermò e si avvicinò ulteriormente al ragazzo. Ballava da solo. O, almeno, ci stava provando. Un tizio assurdo lo stava letteralmente trascinando a sé. Lui resisteva, ma per quell’uomo -essendo maschio- “No sembrava significare “ e “Sparisci lo percepiva come “Prendimi, sono tuo. Ad aprì gli occhi, pronto a graffiare quel proto-stupratore. Quando, d’improvviso, vide Alon. E avrebbe sì voluto graffiare, ma in tutt’altra maniera. I due si guardarono e tutto il resto sparì. Alon abbracciò quel corpo sottile, baciandolo sul collo. L’altro si strusciò lascivo su tutti quei muscoli ondeggianti.

      “Dov'è il tuo protettore?”

      “Proprio qui.”

      Alon annuì, credendo che al Magnaccia piacesse guardare il suo ragazzo venire scopato da estranei. L’innocenza.

      Quindi, lo sollevò e -una volta che quelle lunghe gambe furono saldamente allacciate alla sua vita- sussurrò, “Devo strapparteli di dosso o te li togli da solo?”

      Ad rise di gusto. Alon si ritrovò a sorridere. Perché si sentiva sempre così bene, quando stava assieme a lui?

      “Me li tolgo io,” disse, ma rimase immobile. “Poi, che devo fare? Devo implorarti di smettere e cercare di scappare?”

      “Sì,” sospirò Alon, direttamente nell’orecchio di quella graziosa creatura.

      E lo show ebbe inizio.

      Di nuovo a terra, Ad iniziò a tremare. Sotto lo sguardo della Bestia, lentamente, si tolse i sottili pantaloni bianchi.

      Niente biancheria intima.

      ‘Fanculo l’autocontrollo. Alon lo afferrò, come aveva visto fare a tanti -troppi- padroni e lo risollevò. Il giovane gli si aggrappò alle spalle, sospirando. In un attimo, lo Schiavo lo penetrò.

      Senza alcuna fatica.

      Quel birichino si era preparato, anche quella volta, in anticipo. Alon, di conseguenza, non si fece problemi a scoparlo -forte- davanti a tutta la sala. In pochi minuti, gli venne dentro.

      L’Efebo si riversò tutto sui suoi addominali.

      Ma non era finita.

      La Bestia lo buttò a terra, ma non si sdraiò sopra di lui. Rimase in ginocchio, imponente e dominante, ad osservarlo dall’alto. Poi, allungò le mani sui suoi capezzoli turgidi. Ad si ricordò all’ultimo di dover fingere di stare subendo una violenza e lo spinse via. Alon non si fece intimorire e continuò. Il giovane si lamentava e la sua voce era così dolce che quasi ci credette.

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