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S. Maria. In cambio Romualdo, oltre a prestare l’officium monastirialis [sic] nella chiesa dei SS. Pietro, Martino e Quirico, per le festività dei tre titolari della chiesa avrebbe anche dovuto contribuire all’illuminazione della cattedrale di S. Martino.33 Risalta dunque la diversità dei due atti. Il primo è un documento che registra la donazione di beni privati a un piccolo monastero nel territorio posto sotto la giurisdizione dell’episcopio di Lucca, il secondo è invece un contratto tra il vescovo e il prete Romualdo che viene indicato come cartula beneficiis. In quest’ultimo si prevede sostanzialmente che il prete potesse risiedere nel luogo in cui si era stabilito prestando in cambio il servizio sacerdotale presso il monastero al quale aveva donato i suoi beni. Si trattava dunque di una concessione dell’usufrutto vitalizio di beni che erano stati in precedenza donati al luogo sacro e che alla morte del prete e di sua moglie sarebbero entrati a far parte definitivamente del patrimonio cenobitico. La dinamica risulta quindi pienamente inserita nella logica paradossale del keeping-while-giving indagata da Annette Weiner ma in una declinazione particolare che prevede la restituzione al primitivo proprietario dell’usufrutto dei beni donati, ormai trasformati in beni inalienabili, sui quali il nuovo detentore non intende perdere il controllo. Si tratta di una dinamica che emergerà pienamente in età carolingia ma che traspare già a quest’altezza cronologica, in piena età longobarda, indicata esplicitamente come concessione beneficiaria.34

      Il diploma consente dunque di osservare da vicino come nel passaggio dalla dominazione longobarda a quella franca il beneficium venne usato per assegnare terre confiscate ai ribelli poste in un’area che si era mostrata particolarmente ostile alla nuova dominazione e nella quale si era reso necessario ricorrere a uomini di fiducia per amministrarle. Il diploma, tuttavia, fu redatto dopo più di trent’anni dal fallimento della rivolta quando i tempi dovevano apparire ormai maturi per un nuovo uso di quei beni, divenuti parte del fisco regio, che fino a quel momento erano stati concessi come beni inalienabili. Per questo, infatti, negli anni che separano la confisca dalla donazione alla sede patriarcale lo strumento cui il sovrano fece ricorso per concedere quei beni era stato il beneficium che consentiva l’assegnazione di beni sui quali non intendeva perdere il controllo; si metteva dunque in atto una forma di concessione da cui nuovamente emerge con evidenza il paradosso di keeping-while-giving. Nel dicembre 811, invece, a più di trent’anni dalla rivolta, Carlo Magno dispose per una nuova destinazione di quei beni e procedette quindi con una donazione vera e propria, alienandoli in via definitiva in favore del patriarcato aquileiese.

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