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che all’imperatore anche ai vescovi delle tre sedi metropolitiche di Aquileia, Milano e Ravenna e al clero veronese, avevano quindi carattere pubblico ed erano rivolte al contesto sociale di cui Adalardo era parte. Le missive, infatti, sortirono gli effetti previsti e il presule rinunciò dunque al monastero riappacificandosi con il papa che ritirò la scomunica, mentre l’abate Teodorico venne reintegrato alla guida della comunità nonantolana.

      Conclusioni

      Si è potuto dunque osservare come l’indagine di un particolare strumento di relazione come il beneficium, derivato da elementi già presenti nella tradizione giuridica romana della tarda antichità, necessiti di una scansione cronologica parzialmente diversa da quella tradizionalmente proposta. Il beneficio si presenta, infatti, come uno strumento già presente in età longobarda in alcune aree del regno, come la Tuscia, conoscendo comunque una diffusione significativa dopo la conquista franca del 774, con attestazioni che emergono in particolare a partire dai primi decenni del secolo IX. Allo stesso modo il termine fissato per l’indagine all’anno 924 ha consentito di ampliare il campo di osservazione coinvolgendo anche una fase della storia d’Italia che tradizionalmente viene intesa come altra rispetto all’età carolingia. I decenni a cavallo del secolo X paiono, tuttavia, ancora strettamente connessi con quel mondo e sono dominati dalla figura di Berengario I, che a tutti gli effetti si presenta come appartenente alla dinastia carolingia per il tramite della madre. I casi presentati, dunque, hanno consentito l’osservazione di uno strumento creatore di relazioni che si muove spesso nella dimensione dell’oralità, ma non sono assenti nemmeno documenti in cui la concessione viene esplicitamente indicata come beneficium, presentando in alcuni casi un rapporto di sinonimia con la precaria e confermando quindi anche per alcune aree del regno italico le riflessioni di Brigitte Kasten relative alle regioni transalpine. Agli inizi del secolo IX si concentrano infatti in Sabina attestazioni di concessioni beneficiarie di beni monastici che in precedenza erano stati in parte o integralmente donati al cenobio farfense per essere poi richiesti dagli stessi donatori in beneficio, mutati dunque nel loro status e aumentati nel loro valore iniziale dal momento che la donazione al luogo sacro comportava per il donatore l’ingresso nella famiglia spirituale del monastero. Emergono tuttavia anche casi, come ha mostrato il diploma di Carlo Magno, in cui le assegnazioni beneficiarie vengono solo evocate con l’intento di marcare la differenza rispetto al nuovo modo di intendere determinati beni per i quali il sovrano disponeva un nuovo impiego, non più concessi per un tempo limitato ma alienati in via definitiva attraverso una donazione.

      A tale riguardo, i contributi offerti dall’antropologia hanno fornito utili suggestioni per poter osservare dinamiche che sembrano adattarsi molto bene al paradosso di keeping-while-giving indagato da Annette Weiner. Il beneficio, infatti, si presenta come uno strumento molto duttile, particolarmente adatto all’assegnazione di beni che si vogliono mantenere inalienabili e che vengono dunque concessi per un tempo limitato per tornare poi nelle mani del detentore originario, che su di essi non ha alcuna intenzione di perdere il controllo. In ciò si distingue dalle donazioni vere e proprie che comportano il trasferimento dei diritti sui beni concessi e la loro alienazione definitiva. Tradizionalmente inteso come una forma di concessione strettamente legata al vassallaggio, esso tuttavia risulta un agile

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