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ultimi tre peccati dell'inferno, i quali hanno per simboli l'ira bestiale, l'invidia prima, la superbia maledetta, siano ira, invidia e superbia: nulla licenzia a credere che il quart'ultimo, diviso in due cerchi, sia accidia: l'accidia proporzionale al lento amore in acquistare e vedere il bene; per quanto di quei peccatori gli uni non avessero “bontà„, e gli altri abbiano “mala luce„: nulla ci licenzia a crederlo, nulla... E che avrei a rispondere io? Nulla.

       Per quanto questo volume si studi di persuadere i critici di “Minerva Oscura„, pure di essi critici io non ho fatto i nomi nè ho direttamente cambattuti gli argomenti. Ciò, perchè m'è parso a mano a mano che essi, già consenzienti in gran parte, avrebbero consentito in tutto; e così... E così, anche questo è difficile a dirsi: così spero che io avrò più agevolmente il loro ambito consentimento, non avendo armeggiato, sbuffato, gridato, bestemmiato. Che in verità il loro consentimento pieno mi riuscirebbe molto dolce; tanto (i più) si sono mostrati pazienti, acuti, gentili e onesti. Sì che il loro nome, taciuto nel corso del ragionamento, non posso tacer qui. Non posso tacere il nome di Corrado Zacchetti,[2] di Giuseppe Mantica,[3] di Francesco Paolo Luiso,[4] di L. M. Capelli,[5] di Giuseppe Fraccaroli,[6] i quali si occuparono della “Minerva Oscura„ con grande rispetto a Dante e con grande benevolenza per me. Essi mi hanno animato a continuare i miei studi, e vanno ringraziati, se non dagli altri, da me. E dimenticherò io il mio amorevole fratello d'arte e di studi, G. S. Gargàno? Egli ha riassunto con luminosa diligenza la “Minerva Oscura„[7] facendo quel che io non avrei saputo far meglio, facendo quel che ingegni meno alti del suo che è altissimo, non si sarebbero degnati di fare.

       E un altro ringrazio, sopra tutti, uno che non mi si è mostrato se non per le iniziali del suo nome e cognome: le quali ho scritte nel cuore e non rivelo ad altrui. Se a lui cadranno sotto gli occhi queste righe, sappia che io so continuare le due sigle a formare il nome e cognome del più nobile maestro di questi tempi; sappia che io so chi è, e che io so quale e quanto è; e sappia che questo volume è suo, tanto potè in me il suo misterioso conforto; e che suo è ciò che in questo è di vero e di buono, e che negli altri miei sarà, e che è per essere negli studi dell'alacre gioventù italiana che vorrà prender le mosse di qui.

       Perchè alla gioventù italiana io mi rivolgo.

      I giovani non hanno ancora su tutte le questioni Dantesche la loro teorica piccina e cara, secondo l'espressione Omerica, o almeno non la tengono in bocca (mi si passi il paragone) come i cani l'osso; che, sia pure spolpato e mondo, se altri cani s'appressano, quelli ringhiano. E amano la scienza per la scienza, e la patria per la patria; sì che non dispiace loro che una delle più importanti questioni che abbia la letteratura del mondo, si avvicini alla soluzione: questo per la scienza; e ci si avvicini in Italia, per opera d'un italiano: e questo per la patria. La quale patria molti hanno in cuore, sì; ma in cuore hanno poi tanto amor di sè, che gli altri amori vi stanno in disagio e pericolo: come i piccoli della capinera nel nido ove si aprì l'ovo del cuculo. Ai giovani dunque mi rivolgo. Io posso accertarli che questa via che loro mostro, è la buona.

       Ma certo bisogna camminar molto per giungere alla meta. Fare la storia di certi concetti mistici, compararli e sceverarli un per uno, ci condurrà a leggere più esattamente nel pensiero di Dante.

       Ora a me pare che sì la Minerva Oscura e sì questo volume siano la pur tenue cosa; un filo, siano; ma un filo che può guidare, o giovani, le vostre orme in un laberinto. Svolgetelo con fiducia: vi condurrà alla luce. E conduca esso anche me tuttavia. Chè io vorrei, come segno che al mondo non venni in vano, lasciare un “Comento„ della Divina Comedia!, E aspettando e sperando che mi sia lecito il farlo, vi prego in tanto di lavorar con me, o giovani ingegni, o puri cuori.

       Con un “poeta„?

       Che poeta o non poeta! Rispondete a chi vi introna gli orecchi col solito, “È un poeta! un poeta! poeta!„, rispondete, o giovani, che le poesie si fanno pur con lo stesso cervello che le prose. Rispondetegli, o giovani, interrogando: Sai tu chi è Matelda? sai tu perchè ha gli occhi luminosi? sai tu come Virgilio conduca a Matelda, e Matelda a Beatrice? sai tu quale è il nome, in mistero, di Virgilio? sai? Studio e amore! studio o amore!

      Giovanni Pascoli.

      Messina

       nel maggio del MCM.

       Indice

       Indice

      Nel Convivio Dante parla dell'“adolescente che entra nella selva erronea di questa vita„,[8] il quale “non saprebbe tenere il buon cammino, se dalli suoi maggiori non gli fosse mostrato„. Nella Comedia dice:[9]

      mi ritrovai per una selva oscura

       chè la diritta via era smarrita.

       . . . . . . . . . . . . .

       I' non so ben ridir com'io v'entrai.

      Non sa Dante ridire come v'entrasse; quando v'entrasse, sappiamo da Beatrice:[10]

      si tosto come in su la soglia fui

       di mia seconda etade e mutai vita,

       questi si tolse a me e diessi altrui.

       . . . . . . . . . . . . . .

       e volse i passi suoi per via non vera.

       Beatrice saliva da carne a spirito; e Dante pien di sonno abbandonava la verace via. La donna gentilissima, agli angeli eternamente vigili che cantano intorno al suo carro, indica in certo modo l'età in cui ell'era quando morì, per dir quella in cui il suo pentito amatore si addormì e smarrì. Perchè ella sa che l'età di lei è unita da un vincolo misterioso a quella di lui: l'una è a capo, l'altra in fondo al medesimo anno; come Dante scrisse nel libello della Vita Nuova:[11] “quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono„. Quando dunque ell'era in su la soglia della seconda età, cioè della gioventù che vien dopo l'adolescenza “la quale dura infino al venticinquesimo anno„, Dante aveva passata questa soglia, e non si sarebbe potuto più dire adolescente.

      Eppure in quel medesimo libello Dante racconta che almeno un anno[12] egli rimase fedele a Beatrice fatta de' cittadini di vita eterna, e che solo “alquanto tempo„ dopo l'anniversario, si mosse a pietà di sè vedendo la pietà d'una gentile donna giovane e bella molto: il che fu un togliersi a Beatrice e darsi altrui. Fu dunque un anno e alquanto tempo dopo: eppur Beatrice afferma agli angeli vigili:

      Sì tosto come in su la soglia fui di mia seconda etade, e mutai vita.

      Vogliam dire che Beatrice esageri, per cogliere ragione addosso all'amatore? che le sue parole non vadano prese a lettera, come di sensitiva amatrice? Per me, crederei più probabile che il poeta pareggiasse i tempi e i fatti per qualche suo fine d'arte e di dottrina. E qui il fine mi parrebbe questo, di mostrare ch'egli si smarrì adolescente, quando cioè Beatrice era in su la soglia ed esso, perciò, poco oltre la soglia, in modo da poter essere considerato ancora in quella età “la quale dura infino al venticinquesimo anno„; e così inferire che dell'adolescenza è proprio lo smarrirsi.

      Così nella Vita Nuova Dante chiama puerizia l'età sua dopo la prima apparizione di Beatrice,[13] mentre un passo, controverso a dir vero, del Convivio sembra limitare la puerizia con l'ottavo anno; e a ogni modo le prime parole della Vita Nuova sembrano collocare la fanciullezza, pagine quasi bianche del libro della memoria, avanti i nove anni. Or come puerizia era l'età di Dante dopo il nono anno, così egli voleva che fosse adolescenza alla fine del suo anno vigesimo quinto.

      Ma fosse adolescenza proprio o non fosse, i due luoghi del Convivio e della Comedia, dove si parla di selva erronea e di selva oscura, si riscontrano più nell'idea d'adolescenza che in quella di selva. Di vero la selva del Convivio

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