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trascinava un piccolo carretto carico d'ortaggio. — Questo parrebbe il non plus ultra dell'originale, parrebbe che tutti dovessero fermarsi e sbellicarsi dalle risa davanti ad ognuna di queste apparizioni grottesche, ma nulla di tutto ciò. Ed è naturale, perchè se ad ogni originalità che ci capita sott'occhio ci dovessimo fermare, si farebbero forse venti passi in tutta la giornata in un paese, dove, fra le altre cose, possono vedersi esposti insieme alla vendita: acque ferruginose e fetz turchi; pane e reggiòle di maiolica; Gesù morti e olive indolcite; e poi miracoli bell'e fatti, eppoi ritratti senza testa e perfino botteghe di barbieri flebotomi, dove in pochi minuti e per pochi soldi ti levano il sangue, i calli, la barba, i capelli e la voglia di tornarvi, e chi sa quante altre belle cose che in tanta baraonda mi saranno sfuggite.

      Venite, correte, o pittori del passato, del presente e dell'avvenire; calate, calate a sfamarvi, o titani dell'arte, ai quali manca un soggetto; qui c'è pane per tutti i denti, perchè senza escire dalla città, anzi senza allontanarvi dal centro, troverete e motivi e soggetti da empir tele quante ne fabbrica l'Olanda. Anfore greche, pompejane ed etrusche; carriaggi andalusi; tipi di beduini e di ateniesi; costumi europei del Seicento come lettighe, portantine e rococò d'ogni genere; trasporti funebri spartani; cocottes parigine; cafoni e mandre della Sila e via e via e via. — Calate, calate, scegliete, scegliete e se avete occhi, mani e pennelli, arruotateli, strusciateli, consumateli fino alle barbe, perchè ora è tempo.

      Fermiamoci un momento ad osservare i venditori ambulanti: ma chi può tener dietro a questa fantasmagoria? Il numero di tutti questi urloni che, dal levar del sole a tarda notte, girano continuamente colla loro merce sulla testa o guidando per la coda piccoli somarelli stracarichi d'ogni ben di Dio, è favoloso. E venditori d'ortaggio, e pescivendoli e ostricari, e maruzzari e acquafrescai, e venditori d'ananassi, e di castagne, e di carubbe; e limonai, e aranciai, e ciabattini ambulanti, e venditori di giornali, di numeri del lotto, di stampe, di libri, di chincaglierie, di mazze, di burattini.... ma chi è buono a contarli? E tutti urlano e nessuno si ferma e nessuno si cheta mai, mai, mai. Ogni dieci passi un versetto della loro piagnucolosa cantilena e via! e sopra ogni trivio una brevissima fermata, dove, guardando in aria e arroncigliando le labbra, berciano e gesticolano, finchè non vedono calare il panierino della loro cliente del settimo piano. Allora solamente si chetano, ma non per stare zitti, veh! Dio ne guardi! ma per contrattare la vendita a venticinque o trenta metri di distanza.

      È tale l'abuso che si fa di questo sistema, che assolutamente non mi avrebbe fatto maraviglia l'incontrare un chirurgo a tagliar gambe per la via o un sacerdote con l'altare ad armacollo dire la Messa correndo e il chierico e il popolo dietro per ascoltarla. O che non sarebbero intonate anche queste con tutto il resto? Io dico di sì.

      Il lustrascarpe urla invitandoti e fa tonfi battendo la spazzola su la cassetta; il vetturino passa schioccando e se non ha persone sul legno, non cessa mai di sibilare e gridare a destra e a sinistra: — Scì, scì, scì, scì! a vulite, a vulite? — (la volete, la volete?) Facchini carichi come bestie; operai che portano o riportano lavoro, i quali gridano per farsi largo tra la folla; e se a tutto questo si aggiungano: campanacci che tintinnano al collo di capre e pecore in truppe numerose; e belati, e ragli, e nitriti, e muggiti, e organini che suonano correndo continuamente, e corni e cornette di omnibus e tramway, e sonagliere di carriaggi della campagna e strepiti di venditori di giornali coi loro incessanti: — o Pì, o Pun — (il Piccolo, il Pungolo) e la romba continua di migliaja di veicoli; e tonfi e botte e schianti di magnani, falegnami, carrozzieri e centinaja di altri operai che lavorano su la via strillando e gesticolando come pinzati dalla tarantola, si capirà come le persone più tranquille siano costrette, se vogliono intendersi fra loro, ad urlare, e quelle accanto ad urlare più forte di loro, e quell'altre più che mai; e così tutta Napoli è costretta a strillare con un crescendo tale che qualche volta, arrivandomi alle orecchie intronate il suono di campane, le ho benedette e fissandomivi con l'attenzione, mi hanno servito di riposo e ne ho preso refrigerio e conforto.

      . . . . . . In un bollente vetro

      Gittato mi sarei per rinfrescarmi.

      Quante volte dal folto di questo pandemonio, allorchè udivo appena il cannone di Sant'Elmo scaricato a mezzogiorno negli orecchi di Napoli, ho mandato un pensiero e un sospiro alla languida signora dell'Adriatico, ai suoi vuoti palazzi ed al silenzio de' suoi canali che lascia intendere il fiotto dei remi d'una gondola lontana e il tubare de' colombi su le cuspidi delle sue torri affilate! — Bellissime ambedue queste regine del mare, ma quanto diversamente belle! — Su la laguna posa languidamente la bellissima e pallida matrona, stanca sotto il peso degli anni, povera in mezzo alle sue gemme, ma ricca d'orgoglio per antica nobiltà. Ai piedi del Vesuvio, la voluttuosa e procace Almea, balla in ciabatte la tarantella, e canta e suda povera di tutto, ma ricca di speranze, di giovinezza e di sangue. Quella si nutrisce di mestizia e di gloria; questa, di maccheroni e di luce. Quella coperta di laceri broccati, ma lindi; questa seminuda e lercia, dalle ciabatte sfondate alla folta chioma nerissima ed arruffata.

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