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quantità di tracce monumentali delle dinastie che vi si sono succedute nel dominio. La ragione di questo fatto credo non possa ripetersi altro che dalla breve durata delle singole occupazioni, e, più che da questo, dalle lotte continue che gl'invasori hanno dovuto sostenere fra loro per contrastarsi accanitamente questa agognata regione, tantochè le arti della guerra mai non hanno dato una tregua abbastanza lunga, da permettere l'incremento di quelle della pace, che ogni invasore avrebbe potuto, buone o cattive, trapiantarvi dal proprio paese. Dei Bisantini e dei Normanni qualche rara ed informe traccia, fuor che nei dintorni; degli Svevi e degli Angioini qualche chiesa e le loro solide reggie, meglio paragonabili a robusti fortilizi che a principesche dimore; degli Spagnoli molte chiese goffissime e pochi obelischi oscenamente barocchi. Una sola cosa di buono operarono costoro e fu di demolizione, quando aprirono la via Toledo. I soli Borboni avrebbero potuto decorare la città di un monumento importante e forse ne avranno avuta l'intenzione, ma non vi sono riusciti. Il loro capolavoro che sarebbe il San Francesco di Paola, malgrado di tutte le pretensioni che ha di somigliare il Pantheon nel suo corpo centrale e di ricordare molto felicemente il porticato del San Pietro nelle ali, non giunge ad altro che a rammentarti, con la scialba sua faccia e con la fredda monotonia delle sue linee, il goffo bigottismo di colui che spaventato all'idea della morte ne decretò la costruzione votiva fra la bevuta d'una pozione diuretica e il Memento homo del prete che gli risciacquava l'anima più citrulla che sporca.

      Ho rammentato a preferenza questo edifizio come quello che scrocca una fama troppo superiore al merito, e perchè più d'ogni altro dà nell'occhio per l'aperta posizione, nella quale si trova e che tanto contribuirebbe ad arricchirne i pregi se qualcuno ne avesse. Non parlo dei Palazzi reali che a giustificare il loro titolo altro non hanno che la mole, poichè tanto nell'esterno quanto nell'interno non sono che case comuni in proporzioni colossali.

      Ma neanche ai Borboni concessero i fati e l'invidia dei rivali lunghi periodi al godimento tranquillo della preda. Fughe vergognose, guerre fratricide e sanguinosi ritorni si alternarono a brevi intervalli sotto il loro infausto dominio. Ed intanto che faceva il povero orso dalle cinquecento mila teste tartassato in mezzo alla barbara tempesta? Si esauriva applaudendo a colui che baldanzoso arrivava; riceveva i colpi di colui che si tratteneva; fischiava dietro a quello che rabbiosamente fuggiva, e così, o sotto la livrea o sotto le verghe del padrone, perduto ogni sentimento di estetica, le abitazioni private che fece sorgere, se si eccettuano i palazzi Maddaloni, Gravina e qualche altro minore, non furono che nude o mal frastagliate pareti all'esterno ed intricati laberinti internamente. Opere da castori o da termiti e nulla più. E fa veramente maraviglia il notare come l'Architettura sia restata tanto negletta quaggiù in questi ultimi tempi, mentre la Pittura e la Scultura napoletana sono già salite a tanta altezza, da non temer confronti in Europa. Fabbriche modernissime ne ho vedute qualcuna di fuori e non mi sono piaciute; di dentro non ne ho viste, ma mi assicurano che oggi si costruisce assai bene. Tanto meglio per il decoro dei costruttori napoletani e per le venerate ombre dei Palladio, degli Scamozzi, degli Ammannati, dei Brunelleschi e della lunga schiera di grandi che tanto videro trascurati in questo paese i loro splendidi esempii! — Dopo le ragioni sociali di tanta povertà architettonica, altra più potente ed efficace la troverai passeggiando in un giorno sereno lungo le magiche rive del Golfo, quando ti sentirai forzato ad esclamare con l'animo commosso: «E a che scopo lottare coi nostri piccoli cervelli mortali contro la più bella opera della natura?» Immaginati la cupola di Brunellesco all'ombra del Vesuvio e pensa.

      Mentre, ieri sera, mi perdevo dietro a tali fantasticherie, osservando dal parapetto della Via del Gigante la bruna mole del vulcano che tranquillo mandava al cielo la sua bianca nubeola di fumo, sentii dietro alle mie spalle un rumore nuovo come di molti e forti e lunghi sospiri. L'illusione mi fece credere ad un tratto fossero le ombre dei grandi evocate poco fa dal mio pensiero e mi voltai trepidante per salutarle.... Era una mandra di dodici vacche in carne e ossa, sciolte e guidate da un solo guardiano, che tranquillamente scendevano a Santa Lucia, mescolate alla folla dei landaux principeschi, che scintillanti di borchie e di stemmi argentini movevano maestosamente verso la riviera di Chiaja.

      Quella apparizione improvvisa mi ricondusse bruscamente alla realtà, ed avendo gettato di nuovo lo sguardo sulla svariata moltitudine, rimasi qualche tempo ad osservarla ed entrando poi in una carrozzella, mi allontanai per diporto. Queste carrozzelle, quasi tutte incrostate profusamente di piastre d'ottone, sono comode, abbastanza eleganti e tirate da cavalli generalmente piccoli, ma di aspetto robusto; corrono regolatamente, ma assai celeri sotto le redini dei più esperti guidatori d'Europa dopo quelli inglesi. Il cavallo più selvaggio diventa un agnello nelle loro mani, il che deve anche attribuirsi all'esser tenute queste focose bestiole, invece che sul morso, sopra una forte seghetta munita lateralmente di due lunghe aste di metallo che formano due potenti bracci di leva, per mezzo dei quali ogni cavallo è trattato indistintamente come nelle altre provincie d'Italia si trattano per eccezione i più indomiti. Ma in ogni modo i cocchieri sono eccellenti. Con queste carrozzelle corrono, si insinuano in ogni più angusto passaggio e strisciano e s'incrociano continuamente in ogni verso. Ora si ficcano a trotto serrato giù per le più ripide chine ed ora si arrampicano come tarantole su per montate fortissime, e sempre vispi e sempre allegri, animando i loro ronzini con un diluvio di Iaah! Iaah! E mai uno scontro, mai un urto, mai un'arrotatura fra loro, in mezzo alla baraonda continua di altri legni, di pedoni, di cavallerizzi, di mandre di pecore, di capre e di somarelli carichi d'ogni ben di Dio che sgambettano, ragliano, sculettano e fanno tante altre cose che è un vero prodigio il sentire che noi pestiamo tanta roba senza esser mai pestati da loro.

      Spesso calando per una rapida scesa accade di sentire che il cavallo non cammina più, ma patina andandosene giù a rotta di collo di sdrucciolone in sdrucciolone.... — Ci siamo! — dici subito fra te — San Venanzio miracolosissimo, eccomi nelle vostre braccia, assistetemi voi.... Ehi! vetturino.... ma che lavoro è questo? vetturino! — Il vetturino ti guarda e non risponde. — Bà.... bada! bada a quella signora, a quel ciuco, a quel ragazzo, a quel ragazzo!... — Chiudi gli occhi per non vedere un eccidio e ti volti in dietro, ma in quel momento senti rallentare la corsa, il cavallo ha smesso di patinare, cammina regolarmente e siamo in fondo, aaah! — Non hai anche finito il sospiro di consolazione che incomincia una salita del trentacinque o quaranta per cento. Il cavallo s'inerpica meglio d'una capra, si divincola, si ripiega su se stesso, dà falcate e scatta com'un ranocchio, ma il suo piede non attacca sulla lava lustra dall'incessante attrito.... — Cocchiere, cotesto cavallo non ce la fa fino in cima. Vuoi tornare indietro, devo scendere? — Cavallo napoletano, signorino, non dubitate di nulla, cavallo napoletano — ei ti risponde, e a forza di tirate di briglia, di iaaah!, e di pizzicotti sotto la pancia, lo rallegra, lo tien ritto prodigiosamente e ti trovi arrivato in cima a certe pettate, dove se i cavalli avessero un po' di religione dovrebbero inginocchiarsi e nitrire un Teddeum a Sant'Antonio miracoloso. San Gennaro e Sant'Antonio devono essere in eccellenti relazioni fra loro.

      E da questo attrito, da questa enorme agglomerazione di popolo e da qualche cos'altro, resulta tutto quel lordume che ingombra le vie e che fa di Napoli una delle città più sudice d'Europa. Mi è stato detto da qualcuno che da dieci anni in poi è tanto rimpulizzita da non riconoscersi più. Me ne rallegro tanto tanto e non metto in dubbio quanto mi viene assicurato, ma confesso che la mia fantasia, s'arrabatti pur quanto vuole, non arriva ad immaginarsi un sudiciume più sudicio del sudiciume. — Se un cacciatore mi avesse detto che i corvi, dieci anni fa, eran molto più neri di quel che son ora, mi troverei nello stesso imbroglio.

      La monotonia non annoia per certo in questo paese. Ad ogni passo incontri qualche cosa di strano e di bizzarramente nuovo che attira la tua attenzione. Il sistema, per esempio, di utilizzare ogni quadrupede domestico come bestia da tiro, e l'originalità de' connubii che si vedono posti in atto con questi pazienti animali, somministra larghissimo campo al curioso osservatore. Certo non si troveranno i lupi e gli agnelli, i falchi e le colombe aggiogati allo stesso carro, ma un bove e un can mastino che gli faceva da trapelo io gli ho veduti da vero, come ho veduto un bufalo e un microscopico somaro tirare la stessa carretta. Ma questi casi non sono molto comuni. Comunissimi però sono quelli di altri accoppiamenti come: una vacca ed un mulo; un cavallo ed un somaro; due somari e un bove ed altri simili, dove questi filosofi diseredati se ne vanno d'amore e d'accordo, mugliando, nitrendo e ragliando senza rider mai, come se anch'essi la trovassero la cosa più naturale di questo mondo. — E

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