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Settembre 1851.

      Avv. Tommaso Corsi

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      E chi oserà rispondere NO alla ribellione nei primi momenti di furore, fra i saturnali della non isperata onnipotenza?

      Byron. La Isola, § V.

      Me accusano di tradimento: e tale apposero accusa anche a Focione; e condottolo a bere la cicuta, i suoi nemici non riputarono averne vittoria intera, finchè non fecero decretare, che il suo corpo fosse gittato fuori dei confini dell'Attica, e nessuno Ateniese si attentasse a somministrare fuoco pei suoi funerali. Per la quale cosa non vi fu alcuno dei suoi amici che ardisse di pur toccare il cadavere infelice: solo un certo Conopione, uomo plebeo, notte tempo, recatoselo sulle spalle, lo trasportò al disopra di Eleusina, e tolto il fuoco dal territorio di Megara, abbruciollo. Una donna megarese, assistendo ai funerali, formò un tumulo vuoto, e versovvi sopra i libamenti, e postesi le ossa in seno portossele a casa, e le seppellì accanto del focolare, dicendo: «O lari amici, io depongo appo voi queste reliquie di un uomo dabbene. Voi restituitele poscia ai sepolcri dei di lui antenati, quando gli Ateniesi fatto abbiano senno.» Per verità, non andò guari che le loro faccende medesime fecero conoscere agli Ateniesi quale sopraintendente, e custode della temperanza e della giustizia avessero perduto, e gl'innalzarono una statua di rame, e ne seppellirono le ossa a pubbliche spese.[2]

      In due cose soltanto io presumo paragonarmi a Focione: nello amore della temperanza e della giustizia, e nei patimenti di persecuzione acerbissima; anzi, se bene io considero, nei patimenti, parmi superarlo di assai, imperciocchè la morte sia termine di tutta angoscia, e rivendicazione di vera libertà; ma io sento da oltre due anni il sepolcro, e nonostante vivo. Vivo per vedere le miserie della patria dolcissima; vivo per udire il lamento dei travagliati, che mi percote fin qua; vivo per considerare la mia famiglia dispersa come foglie di un arbore maledetto, e i miei nepoti orfani per la seconda volta, senza consiglio e senza guida nel più arduo periodo della vita, lontani dalla patria e da me; vivo per sentirmi consumare viscere e cervello da una lima, che lenta e continua sperpera la mia esistenza in minutissime particole come limatura di ferro. — Orribile strazio d'intelligenza non nata a intisichire nel carcere! Io quando mi volto a dietro per considerare lo spazio di tempo percorso durante la mia prigionia, mi spavento meno della sua lunghezza, che della inerzia alla quale ebbe ad accostumarsi la mia anima per sopportarla.

      Nè questo è tutto: comunque sepolto, io ho udito convenire sopra la lapide, che mi hanno messo sul capo, gente di ogni maniera a scagliarmi anatemi di calunnie atroci e codarde. Quanto le fazioni raccolgono di più frenetico, la ignoranza di più insensato, la perfidia di più velenoso, il truce furore di parte ha fatto bollire nella empia caldaia delle streghe di Machbetto per consumarmi non pure la vita del corpo, ma eziandio la fama, ch'è la vita dell'anima. Oh! certo colui che primo impiegava il ferro a fabbricare le penne ebbe il tristo presagio che farebbero obliare un giorno gli stessi pugnali; ed io l'ho provato! Veramente nella rabbia della persecuzione i bravi della penna avventando colpi vennero a percotersi di mutue ferite; ma chi ha rilevato i turpi assurdi, o le sanguinose contradizioni? Nessuno. Nuovo esempio del come gli uomini si mostrino troppo più operosi nel male che nel bene. Però, assai meglio dello iloto ubriaco a persuadere nel fanciullo spartano lo amore della temperanza, gli odierni saturnali delle fazioni varranno a confermare nei nostri figliuoli lo abborrimento della calunnia codarda. Se così avverrà, come spero, non mi dorrò, che il mio capo sia stato segno di scellerate imprecazioni, quasi vittima espiatoria consacrata agli Dei infernali.

      Se le furie politiche, dopo avermi strascinato nel tempio della Giustizia, si fermeranno sopra la soglia, io entrerò pieno di speranza, e toccherò l'altare, e l'altare mi proteggerà: se all'opposto, e Dio disperda lo augurio, invadendo esse occupassero il seggio dello Accusatore e dei Giudici, io sarei perduto, è vero, ma andrebbe meco perduto il sociale consorzio, imperciocchè quando la procella delle passioni sconvolge anche i Tribunali, un secondo diluvio allagherebbe la terra; — e per questa volta senz'arca di Noè.

      Vi furono giorni sopra la terra, nei quali il più forte ascoltò per non credere, e il debole parlò per non persuadere.... Ma in quei giorni la Giustizia nel vedersi percossa dai suoi sacerdoti si velò la faccia, e cadde ai piedi del simulacro della Vendetta!

      Leggo nei libri triste sentenze, che dicono, come sopra la porta dei processi politici, del pari che su quella dello Inferno, stia scritta la minaccia: uscite di speranza, voi che entrate. Gravi scrittori ammoniscono, i giudizii politici proporsi a scopo non già la investigazione del vero, ma la condanna del prevenuto. Non mancano persone, che visitandomi nel carcere si studiarono persuadermi essere ogni difesa vana, ormai il mio destino fissato; dovermi rassegnare ad ottenere giustizia dopo la morte. La storia di Giobbe mi ha accostumato a sopportare in pace siffatta ragione di confortatori. — Io non li credo: costoro oltraggiano la natura umana: gli uomini commossi dallo spettacolo di molte iniquità hanno talora espresso una sentenza generale, ma cotesto fu impeto di passione, non discorso della mente. La ira di Dio non può tanto essersi accesa contro di noi, da toglierci ogni anima onesta, ed amica di virtù. In qualche orecchio si fa sentire ancora il divino precetto: diligite justitiam qui judicatis terram. Che io poi creda così, lo provo con lo accingermi, malgrado i vani terrori, a dettare con animo tranquillo questa mia difesa.

      La Legge, o il costume forense, indulgendo alla umana debolezza, consentono al condannato da una sentenza di maladirla tre giorni. Questo privilegio dato dalla pietà al dolore, comecchè ingiusto, è misera cosa, ed io lo disprezzo. Intendo a scopo più nobile, ed uso del diritto di agitare la mia causa davanti al tribunale della pubblica opinione. Nessuno, per potente che sia, o si estimi tale, può opporre la declinatoria a questa suprema magistratura: nessuno può mandare satelliti a chiuderne le sale, però che essa tenga le sue sedute nella coscienza degli uomini; non abbia uscieri, nè cancellieri, nè soprastanti, ma commetta lo adempimento dei suoi decreti nelle mani della Provvidenza; e questa, lenta talora, inevitabile sempre, gli manda ad esecuzione.

      CONSIDERAZIONI GENERALI.

       Metodo adoperato dall'Accusa.

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      Con maraviglia pari al dolore io vidi praticato dal Decreto della Camera di Consiglio del 10 giugno 1850 un metodo apertamente nemico agli acquisti della civiltà, agli insegnamenti della scienza, e ai dettati di pubblicisti gravissimi. Mi confortarono a meglio sperare in giudici più esperti, ed io sperai; ma il Decreto della Camera delle Accuse del 7 gennaio 1851, per ammenda ai falli commessi, aggiunse dottrine ricavate dalle leggi imperiali, quando la tirannide, spenta la libertà, sospettò dei cenni, convertì in delitto i sospiri, e, credendo gittare eterne le fondamenta alla mala signoria, scavò la fossa alla virtù latina, e apparecchiò la strada al trionfo dei Barbari. Il Decreto cita autori del secolo di oro dei carnefici, che salutavano la tortura regina delle prove; allega voti di tempi per ispietata ira di parte maledetti nei quali (orribile a dirsi!) qui.... in Toscana furono visti cannibali usciti dallo Inferno lacerare umane carni, arrostirle, e divorarle!! Io per me ho fede che se i gentili Toscani hanno letto cotesto Decreto, devono essere corsi sbigottiti al lunario, per consultare se nel 1851 dalla nascita di Cristo noi fossimo, o in quale altro secolo ci trovassimo stornati.

      L'Atto di Accusa del 29 gennaio 1851 per ammenda ha raccolto le briciole cadute al Decreto del 7 gennaio, quando mi spartiva il pane dell'amarezza, e me le ha riposte sopra la mensa. Insomma, io vedo a prova, che questo solco quanto più si produce più si fa dolente. E poichè le mie parole, trattandosi di causa propria, non si concilierebbero autorità, e come dettate da passione, non da ragione, andrebbero screditate, così a me giovi mettere il metodo tenuto in cotesti documenti a confronto delle dottrine di tale uomo, che la Europa stima, ed è rigido cultore del governo costituzionale stretto.

      I Decreti e l'Atto di Accusa tessono una storia di fatti generali (quanto veri essi sieno ed esatti,

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