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Francesco. Io mi vi raccomando quanto più so e posso: porgetemi aiuto secondo che la urgenza del pericolo domanda, affinchè non venga tardo. A me salverete la vita, alla casa nostra la fama, e voi farete azione da quella magnanima Reina che siete, di cui vi darà Dio condegno merito. Dove meglio reputerà la prudenza vostra opportuno, io [pg!89] mi chiuderò in qualche santo monastero, intendendo e volendo spendere al servigio di Dio quanto mi avanza di questa misera vita, per ottenere dalla infinita sua misericordia la remissione delle mie colpe.

      »A Caterina reina di Francia....»

      — “Mi sembra che vada a dovere; copiatela, e aggiungete, che la risposta sia con sopraccarta diretta al mio nome.”

      — “Ma!” riprese Isabella abbassando gli occhi e tingendosi in volto di rossore.... “e Troilo lo abbandonerò io...?”

      — “Troilo,” disse gravemente messere Lionardo, “conosce come il Turco minacci la Cristianità: egli deve andare in Ungheria a combattere contro i nemici della fede, e con morte onorata acquistarsi il perdono di Dio.... Ma a lui soprattutto guardatevi di fare trapelare cosa alcuna; egli vi perderebbe di certo, e sè stesso con voi....”

      Isabella sciolse un profondo sospiro, e si pose con mano tremante a copiare la lettera. Appena fu terminata, Lionardo arse la minuta, e con molta diligenza compose un plico. Mentre che il Salviati, dopo avere suggellata la lettera con le armi dei Medici, stava per iscrivere la sopraccarta, si sentì un rumore come di corpo che sospinto con violenza investa in parete, o percuota nel pavimento; e schiusa allo improvviso la porta, fu visto Troilo, che alzando la portiera, e mettendo in avanti il capo, teneva la faccia di profilo, esclamando con ira: [pg!90]

      — “E’ pare che ti sia venuta in fastidio la vita....”

      Lionardo quanto più speditamente potè nascose la lettera in seno; ma non gli venne fatto con tanta prestezza quel moto, che Troilo non se ne accorgesse. Troilo, mutati due passi oltre la porta, si fermò, volse attorno quel suo sguardo sinistro, e poi, fissando la duchessa con amaro sorriso, favellò:

      — “Dacchè ponete guardie alla vostra porta, io vi conforto, signora, a sceglierle se non più proterve, chè questo è impossibile, almeno più gagliarde....”

      — “Io aveva creduto che in casa mia la manifestazione della mia volontà fosse bastevole....”

      — “E voi avete creduto male, dacchè vedete come io sia penetrato qua dentro.” — E in questo punto deposto il riso, e dandosi in balía al furore, continuò: — “Che sotterfugi, che tradimenti sono eglino questi? Voi mi volete condurre alla mazza, madonna Isabella! e se alla mazza si ha da andare, dobbiamo essere in due. Se voi siete dei Medici, io sono degli Orsini; e fo voto a Dio che cane mai non mi morse, ch’io non volessi del suo pelo. — Che fate voi, cavaliere? Che cosa è il foglio che vi siete nascosto nel seno? Presto, mettetelo fuori; io voglio vederlo....”

      — “Cavaliere,” riprese il Salviati con voce pacata, “ella è cosa che non riguarda punto voi, e non potete pretendere onestamente....”

      — “Questo è ciò che vedremo quando avrò letta la carta.” [pg!91]

      — “Concedete ch’io mi astenga dal soddisfarvi.... cavaliere.”

      — “Signor Salviati, io sono poco uso a sentirmi contrariare: datemi la lettera, che buon per voi!”

      — “Troilo, per quanto avete cara la nostra grazia, io vi comando tacervi, ed uscire....”

      — “Isabella, è tempo ormai che dismettiate i comandi, e cominciate a obbedire....”

      — “Messere Troilo, io vi assicuro sopra la coscienza di cavaliere onorato, che questa lettera non vi riguarda....”

      — “La coscienza! forse quella con la quale diceste le lodi del serenissimo signor Cosimo? Un cavaliere onorato non s’introduce fuggiasco in casa altrui, non si mescola dei fatti che non lo riguardano, non viene a ordire trame; e se trame non fossero, non repugnereste a darmene conto....”

      — “E chi siete voi dunque, messere Troilo, di grazia....?”

      — “Io...! Io sono quegli a cui dava in custodia la sua donna il duca di Bracciano....”

      — “Ed osate farvi un diritto di questa custodia? Ah! messere Troilo....”

      — “Che cosa intendete? Salviati, guai a voi! Io sono uomo da mozzarvi la lingua.... sapete....”

      — “Troilo! ove trascorrete? Voi gli dovete onoranza, non altrimente che se mi fosse fratello....”

      — “Onoranda gente davvero sono i fratelli vostri.... La lettera, Salviati, la lettera!” [pg!92]

      — “Io non sarò per darvela mai....”

      — “Badate, ch’io vi adopererò la forza....”

      — “Userestemi voi villania? Non vedete voi ch’io sono disarmato....?”

      — “Tanto meglio: così verrò più agevolmente a capo dei miei desiderii. E, aveste spada, tornerebbe lo stesso: chi tratta la penna regge male la spada....”

      — “La lettera mi sta sul cuore,” disse il Salviati, facendo croce delle braccia sopra il petto; “e non l’avrete se non mi strappate ambedue....”

      — “E lo farò....”

      — “Forsennato! Prima di giungere a lui, e’ vi sarà forza passare sopra il mio corpo!” grida Isabella ponendosi tra mezzo a Troilo e a Lionardo.

      — “Indietro!” proruppe Troilo; e di un urto mandò la duchessa traverso al lettuccio.

      — “Ahi misera! misera Isabella! a quale uomo sagrificasti la tua vita....”

      — “La lettera....!”

      — “Vi ho detto il modo per averla....”

      — “Il sangue vostro sia sopra di voi.” — E traendo fuori la daghetta, Troilo cacciò innanzi la mano manca per afferrarlo. Lionardo non mosse passo; imperterrito, con le braccia incrociate sul petto, si disponeva a patire una violenza contro la quale, e per la fievolezza della persona e per trovarsi disarmato, non poteva opporre nulla. Troilo già lo afferrava, quando si aperse fragorosa la porta, [pg!93] ed entrando in sembianza turbata Lelio Torelli, a voce alta gridò:

      — “Il magnifico signore duca di Bracciano....!”

      Questo nome parve la testa di Medusa per Troilo: dette indietro, ripose prestamente la daga nel fodero, e s’ingegnò ricomporre il volto; se non che quei due affetti contrarii, di furore e di reprimento, invece di ricondurvi la serenità, glielo sconvolsero in modo che metteva paura a vederlo.

      Isabella, che giaceva tolta fuori di sè, si drizzò sopra il lettuccio come per virtù di elettricismo, e stette disfatta con gli occhi intenti verso la porta.

      Il cavaliere Salviati, pensando che non essendo di casa poteva allontanarsi onestamente salutando il duca così di passaggio, salvo a complirlo in modo convenevole a suo tempo, senza affrettarsi troppo, e con la solita sua compostezza quinci si tolse.

      Percorrendo le sale, e giù per le scale, maravigliò forte di non incontrare il duca, nè vedere nel cortile o alla porta vestigio alcuno che indicasse l’arrivo di tanto personaggio: non sapeva come spiegare la cosa, ma non riputando prudente tornare addietro per chiarirla, pensò che gli sarebbe bastato un’altra volta.

      Isabella e Troilo tennero per alcuni istanti gli occhi drizzati verso la porta, pure aspettando di vedere comparire messere Paolo Giordano; ma poichè ebbero atteso invano, Troilo rinvenuto primo dal suo sbigottimento, domandò a Lelio: — “Ebbene, il duca..?” [pg!94]

      E Lelio, che avvisava ormai avesse potuto mettersi in salvo il cavaliere Salviati, con aria ingenua a un punto e beffarda si volse a Isabella, e riprese a dire:

      — “Il magnifico signore duca di Bracciano manda a salutare la signora duchessa, e le fa sapere che sbrigate alcune sue faccende a Roma, conta venire a starsi con

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