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i luoghi dove combattè il suo antenato. —

      Figuratevi! ruzzolai le scale. E mi trovai davanti un bell'uomo sui trentacinque anni, biondissimo, d'una corporatura asciutta di cavallerizzo, vestito da viaggiatore, con eleganza. La voce me lo rese immediatamente simpatico. Aveva combattuto a Sédan, luogotenente d'artiglieria, nel corpo del generale Wimpffen; era stato due anni in Africa; non parlava, ma capiva l'italiano.

      — Mais, c'est très beau ici! — disse dopo le prime parole, accennando i monti. — Intendo assai bene ora come il conte di Tessé si sia difeso accanitamente. Doveva rincrescer molto a lui e a tutti i Francesi di sloggiare di qua. — Aveva già fatto un giro per Pinerolo, col piano della città forte fra le mani, ed era contento d'aver ritrovato fin dai primi passi l'edifizio dell'antico arsenale.

      — Dunque io vi debbo fare da cicerone? — gli dissi. — Badate che non sono in grado d'insegnarvi altro che la strada.

      Non gli occorreva altro. Aveva letto le relazioni militari del tempo, specialmente la storia del marchese di Quincy, brigadiere di Luigi XIV; nessun particolare dell'assedio gli era sconosciuto.

      — Ci aiuteremo a vicenda — mi disse; e poco dopo pigliammo la via del monte di Santa Brigida.

       * * *

      Ma prima d'arrivar sul terreno dell'assedio, credetti opportuno di fargli un'osservazione conciliativa. Bisognava regolare i conti del nostro orgoglio nazionale. E la cosa, per un caso assai raro, era mirabilmente facile. Avevamo l'uno e l'altro una parte eguale di soddisfazione nei ricordi dell'assedio di Pinerolo, perchè è vero che gli italiani e i loro alleati avevano espugnato il forte di Santa Brigida; ma non eran riusciti a impadronirsi della città: la gloria dei conquistatori del forte lasciava intera e netta quella dei difensori della cittadella. Gli alleati, d'altra parte, non avevan levato l'assedio per disperazione di vincere, ma perchè minacciati alle spalle dal Catinat. Le partite eran pari, dunque. Potevamo visitare il campo col cuore in pace. — Tapez! — egli rispose con un sorriso, stendendomi la mano.

       * * *

      Arrivati ai piedi del colle, dove sorgeva la cittadella, ci soffermammo a guardar la pianura sottoposta. — Che stupendo scacchiere! — esclamò il maggiore; — degno veramente della partita che vi giocarono! — Ah sì! La partita era terribile. Si trattava di strappar di mano al gran Re la libertà dell'Europa. Ci formicolavano cinque eserciti, su queste belle colline; piemontesi, inglesi, olandesi, tedeschi dell'impero e degli elettorati, valdesi e protestanti di Francia, Vittorio Amedeo II ed Eugenio di Savoia, uno stuolo di generali d'ogni paese, il fiore della nobiltà francese e savoiarda, trentamila soldati che avevan visto il fuoco di venti battaglie. E con che animo c'eran venuti! I francesi, incrudeliti nelle persecuzioni degli ugonotti e nelle atrocità del Palatinato; i piemontesi, furiosi di vendicare il macello di Cavour e gli orrori d'una guerra devastatrice fatta ad un tempo con la spada e con la forca; gli anglo-olandesi infiammati dall'ira di Guglielmo III; quasi tutti i principi morsi nel cuore dal ricordo di un'offesa personale del re Luigi; e gli uni eccitati dal pensiero che qui era il lato vulnerabile della Francia, il solo punto in cui si potesse assalirla con vantaggio per irrompere nel Delfinato e nella Provenza; gli altri inanimiti dagli eccitamenti del loro Re, che teneva a Pinerolo come al proprio sangue, e che giocava sulle sue mura l'onnipotenza e la gloria della monarchia.... Che meraviglia di spettacolo, per San Giorgio! degno proprio d'aver a spettatrici le montagne da cui scese la vendetta di Annibale e irruppe la furia di Carlomagno.

       * * *

      Un po' più innanzi, uscendo di fra i muri di cinta delle ville, il maggiore si fermò ad ammirare quel monte di Santa Brigida, che protende con una curva così graziosa il suo largo fianco nella pianura. I giardini, le pergole, le siepi, i gruppi d'alberi sono così fitti dalla cima alle falde, e la vegetazione così rigogliosa, che le case vi paion tuffate dentro come in un bosco; e son sparpagliate così pittorescamente per tutta la china, fattorie bianche, cascine rosse, casette svizzere, torri, nidi nascosti da innamorati, villette raccolte insieme come un crocchio d'amiche, palazzine pensierose nella solitudine, file di case poste l'una sotto l'altra a scalinata, e villini variopinti buttati via a caso per il verde come una grembialata di camelie e di rose, che lo sguardo v'è attirato in mille punti ad un tempo, e la fantasia assalita da mille capricci di poeta, e il cuore punto da mille invidie di comunista.

       * * *

      Oltrepassata la villa Vagnone, il De Beaulieu cominciò a cercare il sito dei ridotti in terra, che il conte di Tessé, comandante di Pinerolo, aveva fatti costruire per legar la cittadella al forte di Santa Brigida: tre ridotti, scaglionati lungo la china del monte, a difesa dei quali eran stati posti cinque battaglioni di fanteria discesi da Roccia Coltello, dove stava a campo il Catinat con gli avanzi dell'esercito.

      — Qui doveva passar la strada sotterranea, mi disse. — Voleva dire la strada sotterranea, lunga almeno un miglio di Piemonte, che metteva in comunicazione il forte con la cittadella. — È probabile che seguitasse i serpeggiamenti della strada scoperta, — soggiunse. Ci doveva parer l'inferno là sotto, durante i combattimenti, quando vi s'incrociavano e vi si urtavano, al chiarore delle lanterne, i feriti portati giù dalla cima del monte, le compagnie di rinforzo che salivano di corsa, gli aiutanti di campo che recavan gli ordini del governatore, i cannoni trascinati a salvamento, i difensori dei ridotti soverchiati, che precipitavan dentro per le buche travolgendo i prigionieri esterrefatti, mentre le vôlte del sotterraneo tremavano sotto la pesta degli assalitori e il fischio rabbioso delle granate. D'una cosa non sapeva rendersi ragione il maggiore, del perchè i francesi non avessero pensato molto tempo prima a costruire un forte sulla cima di quel monte che dominava così terribilmente Pinerolo; perchè è certo che del forte di Santa Brigida non c'era ancora segno nell'aprile del 1692, e che i lavori non eran nemmeno terminati al cominciar dell'assedio. — Ecco San Pietro! — esclamò tutt'a un tratto, accennando giù nella valle del Lemina il bel villaggio mezzo nascosto nella verzura. — Là seguì il primo combattimento, il 24 di luglio. C'era il capitano Affs, del reggimento d'Auvergne, quando il duca Amedeo gli piombò addosso dai colli con due colonne convergenti, dopo aver spazzato gli altri posti francesi. Se non accorrevano a liberarlo i granatieri della cittadella, era spacciato. Deve aver passato un brutto quarto d'ora. — E seguitando a parlar così, con quella familiarità di linguaggio e con quei particolari e vocaboli tecnici che ravvicinano tanto gli avvenimenti lontani, mi dava la gradita illusione di visitare quei luoghi pochi mesi dopo la pace del 30 maggio del 96, in compagnia d'un aiutante di campo del generale di Tessé.

       * * *

      Continuammo a salire in mezzo alle cascine, alle fattorie, alle ville. Tutte quelle case, durante l'investimento del forte, erano convertite in altrettanti ridotti, continuamente presi e perduti dagli assedianti e dagli assediati, rovinati dagli uni, riattati in furia dagli altri. Di lì bisognava ad ogni costo che gli alleati snidassero i francesi se volevan tagliare le comunicazioni del forte con la piazza. Colonne enormi di tedeschi, di spagnuoli, di savoiardi si precipitavano su quei fortilizi improvvisati, di giorno e di notte, e attaccavano mischie orrende tra le siepi, sulle aie, nelle stanze, dove combattevan con le pistole, con le sciabole, con le baionette, coi calci dei moschetti, urlando come anime dannate in sei lingue diverse, non rendendosi prigionieri se non crivellati di ferite, e lasciando il terreno sparso di tronconi d'armi, di brani di giustacuori, di ciocche di capelli, di chiazze di sangue. I nobili piemontesi, il conte di Massel, i marchesi di Parella, di Caraglio, di Bernezzo, facevano sfolgorare le loro lunghe spade tra i primi. Ogni più breve tratto di trincea che si aprisse, costava decine di vite di guastatori e di soldati. Ogni più piccolo avanzamento di batteria scatenava una tempesta di ferro e di fuoco dai bastioni. Le sortite disperate del presidio portavan tutt'intorno la rovina e l'incendio come le eruzioni d'un vulcano. Sterratori, ingegneri, giovani volontari ugonotti, brillanti capitani cresciuti nelle Corti, veterani canuti di dieci guerre, vecchi gentiluomini luccicanti d'oro e di seta, stramazzavano a capo riverso nei fossi delle parallele, sfracellati il petto e la fronte. Tremila uomini si dice che perdessero gli assedianti soltanto nei primi quindici giorni. E non si stava molto meglio dentro al forte.

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