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vittorie, — gli dissi. E lui, pronto, da vero gentiluomo francese: — Osservate però che non ho ancora osato guardare dalla parte di Superga. — Era un'allusione alla difesa vittoriosa di Torino, una risposta gentile alla botta scherzosa. — Touché, — gli dovetti rispondere, facendo il saluto da schermitore.

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      Per un pezzo non lo potei levare di lassù. Egli non si stancava mai di contemplare quello sterminato tappeto verde, picchiettato di vermiglio dai villaggi, rigato di bianco dalle strade, strisciato d'argento dai corsi d'acqua, orlato d'azzurro all'orizzonte, e tutto ricamato a rilievo e come trapunto dalla vegetazione, da mettere la voglia di passarci sopra la mano; e reso più bello anche da un cielo limpidissimo, striato di lunghissime nuvole sottili ed accese, simili a immense pennellate color di rosa, che tingevano del loro riflesso delicato le acque immobili del giardino della villa. — No, — diceva, dondolando il capo, e guardando giù per il fianco del monte, come se parlasse per sè solo; — dopo la presa di Santa Brigida, se non sopravveniva il Catinat, Pinerolo non poteva più reggere. Col rinforzo di seimila spagnuoli e coi dodici nuovi cannoni di grosso calibro che aveva ricevuti, il Duca di Savoia era sicuro del fatto suo. La piazza non era approvvigionata che per tre mesi. Egli aveva alla mano più di cento pezzi d'artiglieria. Con la batteria di mortai che piantò qua sotto, e con l'altre due che aveva fatto drizzare dalla parte opposta, sulla pianura, avrebbe ben presto avuto ragione del Tessé, nonostante il fuoco d'inferno della cittadella. La torre maestra, bersagliata notte e giorno da ventiquattro bocche di bronzo, era ridotta in pessimo stato, al primo d'ottobre.... Ma sapete che era originale, e dura molto, la condizione di quei poveri abitanti di Pinerolo, bombardati per dieci giorni di seguito dal loro Duca, e costretti a desiderare con tutto il cuore che tirasse avanti! No, davvero, dopo due mesi e mezzo di quella dannata vita, e dopo sessantatrè anni di dominazione straniera, essi avrebbero meritato la soddisfazione di veder l'entrata trionfale di Vittorio Amedeo. Non era giusto che la dovessero sospirare altri tre anni. Il conte di Tessé non sperava certamente di cavarsela così a buon mercato.

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      Parve molto curioso al De Beaulieu un particolare che gli richiamai alla mente riguardo al Duca di Savoia. Uno degli edifizi di Pinerolo, visibile di lassù, che era stato malconcio più degli altri dal bombardamento, era il monastero della Visitazione. Che cosa avrebbe detto Vittorio Amedeo II, se mentre tirava a palle infocate sul monastero, gli avessero profetato che sotto a quel tetto, fra quelle mura fulminate, sarebbe morta settantasei anni dopo, quasi nonagenaria, la più cara delle sue amanti, quella marchesa di Spigno e di San Sebastiano che fu poi sua sposa, che si raccolse con lui a Chambéry dopo l'abdicazione, e che lo spinse, si dice, a metter sottosopra lo Stato per ritogliere il trono al figliuolo? — Une femme charmante, non è vero? — disse il maggiore. Quel diavolo di francese la conosceva personalmente. Andando la mattina a comprare la Guida delle Alpi Cozie nella libreria del caro Mascarelli, ci aveva visto la fotografia della marchesa, presa da un ritratto a olio che si conserva ancora nel monastero; e quella testina ravvolta in un ampio velo come dentro a una nuvola bianca, quei begli occhi languidi, quella bocca voluttuosa e maligna, l'avevano stregato, lui pure.

      — Bel tipo anche quell'Amedeo! — soggiunse, con una certa espressione d'invidia. On n'en fait plus. Inchiodato sul cavallo da un'alba all'altra, con quella enorme parrucca bionda che gli cascava di sotto al piccolo cappello a tre punte fin sopra le spalle, con quegli occhi azzurri mobilissimi, con quel naso forcuto, butterato dal vaiolo preso nella campagna del Delfinato, vestito alla diavola, spoglio fin anche del collare dell'Annunziata, che aveva fatto a pezzi l'anno innanzi per darlo ai poveri di Carmagnola, celione coi soldati e burbero coi pezzi grossi, e libero di lingua come un caporale, che stupendo soggetto per la “fotografia aneddotica„ d'un corrispondente di giornale che avesse potuto seguirlo da vicino! E a me pareva di vederlo, là su quella vetta, accompagnare ogni colpo di cannone con un pugno sulla sella, sagrando a mezza voce coi denti stretti: — Ah, io sono la bestia nera di Louvois! Ah, io sono il paggio del re di Francia! Ah, non mi è permesso di fare un viaggio a Venezia! Ah, maniga d'baloss! Pigliatevi queste, per ora.

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      — Con tutto questo, riprese il maggiore, quasi seguitando il filo del mio pensiero, — quando non s'ammazzavano, si usavano mille cortesie delicatissime. Che ne dite del duca di Savoia che lascia libera ai francesi la corrispondenza postale fra la città assediata e Casale, e che manda il suo fido conte di Groppello, travestito da bifolco, a consigliare al Tessé di far scendere il Catinat dalle montagne, per dare a lui, Amedeo, un pretesto onorevole di non bombardare Pinerolo? — La più bella, per altro, la più grandiosa, la più buffa io non la sapevo: una lettera del Tessé al San Tommaso, prima che Amedeo arrivasse al campo: Sento che Sua Altezza reale deve giungere. Vorrei far qualche cosa per il suo ricevimento. Suggeritemi voi. Vi offro intanto tutto quello che posso. Sua Altezza vorrà passeggiare, passare in rivista il suo esercito. Ditemi da che parte andrà: abbiamo molti cannoni appostati; ordinerò che non tirino da quella parte, nè cannoni, nè archibugi, perchè l'Altezza Sua non abbia la minima noia. Sta bene? Si può essere più amabili? — Che maravigliosi burloni! — conchiuse ridendo il maggiore, e si sarebbero squartati coi denti.

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      Infine, si dovette scendere. Ma che indimenticabile spettacolo aveva goduto di là il signor De Beaulieu! pensavamo tutti e due, uscendo dalla villa. Nelle brevi ore di tregua, affacciandosi al parapetto dei bastioni, egli vedeva il rimescolìo dei soldati dentro ai fortini giù per la china del monte, le mezzelune di Pinerolo brulicanti di moschetti, le torri della cittadella coronate d'ufficiali alla vedetta; e da ogni parte, per i vigneti rasi, fra le case diroccate, per gli orti sconvolti dagli scavi delle trincee e pesti dai cavalli e dalle ruote, sui campi sparsi di gabbioni rotti, di travi fumanti, di sacchi di lana sventrati, tutt'intorno alla città, migliaia di tende e di padiglioni d'ogni colore, villaggi di baracche preparate per il blocco invernale, e più lontano vasti parchi di carriaggi e armenti enormi addensati, e masse ondeggianti di cavalleria che foraggiavano per la campagna dalle parti di San Secondo e del Belvedere; e nelle ore di battaglia, quando rombavano insieme le artiglierie del forte, della cittadella, della piazza, dei ridotti, delle batterie di pianura, facendo una corona densa di fumo e di fuoco in giro a Pinerolo, quelle larghe onde furiose di soldati che venivan su per il monte, i battaglioni biondi d'Inghilterra, le fanterie brune di Spagna, le larghe facce sbiancate degli olandesi, gli alti dragoni di Savoia, le colonne pesanti e serrate dei tedeschi, una marea montante di carne umana, variopinta di cappelli piumati e di larghe tracolle, lampeggiante di baionette e di scuri, irta di fascine, di scale, di bandiere lacere, di spade brandite di colonnelli, ubbriacata dalle proprie grida e da un clamore infernale di tamburi, di pifferi e di timballi.... E appunto in quel momento, giù per la vasta pianura florida e tranquilla, facevano un vivo contrasto con le nostre tumultuose immaginazioni i bei pennacchi di fumo dei treni di Torino e di Torre Pellice, e dei tranvai di Perosa e di Saluzzo, immagini di pace e di lavoro, che trascorrevano rapidamente fra gli alberi, come lunghissimi veli candidi di amazzoni gigantesche lanciate a corsa gioiosa per la campagna.

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      Stava per cadere il sole. Ci soffermammo ancora un momento a guardare la cima del Freydour e i Tre Denti, che ci sorgevano proprio di faccia, come bastioni verticali d'una fortezza prodigiosa, davanti alla quale i combattimenti di Santa Brigida non sarebbero stati che lotte di formiche; ed erano maravigliose, a quell'ora, quelle montagne di nuda roccia, di cui si vedono nettissimamente tutti i rilievi, tutte le incavature, tutte le crespe, che parevan fatte col cesello, e tinte di color di ferro, di grigio perla, d'amaranto, di viola, di sfumature di corallo e di rosa. E ammirammo anche la valle del Lemina, così verde e raccolta, che pare una valle chiusa ai profani, la quale appartenga tutta a un convento. Era una bella sera di domenica. Si vedeva tutt'intorno quella vasta pace sorridente dei dì di festa, che s'indovina, in campagna, anche quando non si mostra per alcun segno visibile. Sotto i pergolati delle ville passeggiavano coppie di signore a braccetto; dalle casette lungo la strada uscivano suoni di bicchieri urtati e di voci allegre; incontravamo dei bimbi paffuti, delle belle ragazze e dei vecchi arzilli che ridevano. Quando tutt'a un tratto,

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