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a perigliare su le orme del marito, affinchè il figliuol suo si educasse di vista nei paterni esempii ad operare fortemente per la Patria. E quando per disposizione dei cieli, o come credo piuttosto per punta virtù nostra, le italiane sorti di liete mutaronsi in lacrimevoli, la egregia donna non disperò, bensì cheta cheta, senza iattanza, condusse il figlio in Piemonte, e quivi lo arruolò semplice soldato nello esercito che unico drappella adesso la insegna italiana. Stanziata a Torino, Ella si mostra cortese di consiglio e di aiuto a quanti giovani toscani, e non sono pochi, si avviarono colà pel medesimo scopo; onde a molti di loro lontani dalle paterne case non sembra avere lontana la madre, che lo affetto in Lei per espandersi che faccia non menoma di calore e di luce. Quindi invece di scemare crebbero le ragioni di usarle ogni debito ossequio, e se qui non occorrono riprodotti il Discorso e la Dedica al suo nome, ciò vuolsi attribuire al trovarsi già stampati nel volume degli Scritti varii, ch'è parte della collezione della Biblioteca nazionale del Le Monnier; per la quale cosa parve superfluo ristamparli, molto più, che la esperienza dimostra, come coloro che acquistarono qualche volume separato di questa Biblioteca, di rado avviene che non si studino completarne la collezione, invaghiti dalla eleganza dei tipi, dalla correzione diligente, e dal pregio non grave.

      Èmmi confessarlo amaro, tuttavia non negherò essere rimasta per alcun tempo offuscata l'amicizia che mi stringeva con la onorevole famiglia Bartolomei; la mutua stima non già, e di questo io mi ebbi nobilissime prove, fra le quali ricorderò perpetuamente con animo commosso quella di tutelare con paterna cura il sangue mio in tempi calamitosi, e nell'ospizio cortese con tanto solenne diligenza custodirlo, che, se fosse stato proprio, eguale avrebbe potuto essere, difficilmente maggiore. Narra Plutarco nella vita di Demostene, come trovandosi questo oratore costretto ad esulare di Patria, arrivato che fu non molte miglia discosto dalla città, sentisse alcuni cittadini dei suoi avversarii, che lo inseguivano, dai quali egli s'ingegnava a tutta possa cansarsi; ma essi il chiamarono, e profferendogli i sussidii che seco loro portavano, lo confortarono a starsi di buono animo, e a sopportare pazientemente la presente disavventura. Per la qual cosa Demostene si mise a piangere: «E come potrò» egli disse «allontanarmi pazientemente da una città dove i miei nemici sono tali, quali in un'altra si troverebbero appena gli amici?» Onde io, che sento la fortuna apparecchiarsi a darmi colpo uguale, nel presagio mi attristo, e vado meco stesso ripetendo le parole di Demostene. Una gente crudele ha preso a versare vituperio su la mia terra, e a torto. Dio la perdoni! Per ora a me non si addice pronunziare che una sola sentenza, ed è questa, che se vivo non potrò, morto almeno mi fie grato trovarvi la pace che desidero. Ordinariamente cessano gli odii sopra la sacra soglia della morte, e spesso convertonsi in fervidi amori ed in cocenti rimpianti: che anche di me abbia a succedere questo io spero, ed in tale speranza mi acquieto.

      Lo Assedio di Firenze dedicai a persona anonima, e così rimanga: questo è un segreto fra un sepolcro e me, nè a me giova levare il sigillo della morte.

      La Isabella Orsini dedicai a Gino Capponi.

      La Battaglia di Benevento incontrò fortuna oltre il merito: di questa può dirsi, che fu quasi il Beniamino della critica, e fino ad oggi essa ebbe l'onore di ben quattordici edizioni: però in siffatta specie di trionfo letterario, nei tempi novissimi si levarono parole acerbe, come anche in Roma accadeva in ogni trionfo. Non avendo mai speso inchiostro a difendere il pregio degli scritti miei, non mi prende vaghezza d'incominciare a farlo adesso: dello ingegno giudichi ognuno come gli piace, dell'onor mio come deve. Tuttavolta se m'interdico dir bene dei miei scritti, prego licenza per dirne alcun poco di male. Rileggendo adesso la Battaglia di Benevento, parmi libro ardentissimo e non di bella fiamma: vi traspira dentro certo sgomento per nulla naturale alla età in cui lo dettai, che fu il mio ventunesimo anno, e un alito di dubbio, che appena si perdona agli uomini i quali sviati dalle decezioni si sentono sazii di vita: fra tutti i tristi peccati, pessimo. Di ciò ne incolpo tre cose principalmente: i molti guai, che me fino dai primi anni inasprirono, e la pazienza corta a sopportarli; la condizione dei tempi, che parve agli inesperti irrimediabile; e il culto che professavo e professo ancora a Giorgio Byron. Ma se questo basta alla scusa, non giova alla lode, conciossiachè l'uomo deva tenere in sè la sua tristezza, e non ispanderla a sgomentare l'anima altrui; abbia virtù di adoperare egli vivo la carità della quale io rinvenni cortese un morto. Nel Cimiterio inglese dentro le mura di Livorno, occorre una lapide dove si legge incisa la iscrizione che parla così. «Morii di tristezza¹ sul fiore degli anni: passeggiero, leggi il mio nome, e affrettati ad allontanarti, per sospetto che il vento ti soffii addosso parte della mia polvere, e ti attacchi il male crudele che mi condusse a morte.»

      ¹ Umor nero.

      Rispetto alle condizioni dei tempi, la esperienza dimostra unicamente vero il consiglio che dava Focione al suo giovane amico: «Non è lecito, o Nicocle, disperare giammai della salute della Patria.» Ma la esperienza, anche per coloro a cui frutta, è pianta tarda. Rispetto al Byron poi, giova rammentare che nè sconforti, nè dubbii, lo trattennero di dare vita e sostanze per la causa di Cristo e della Libertà.

      Certo, lo scopo della Battaglia di Benevento fu quello, che altrove annunciai, compreso nel detto dello Alfieri:

      «…… oh! ben provvide il cielo,

       Che uom per delitti mai lieto non sia.»

      Tuttavolta di leggieri confesso, che il modo col quale apparisce dettato il Libro, toglie non poco alla efficacia del fine proposto.

      Questa edizione comparisce notabilmente emendata, e nello stile corretta, non però mutata: avvegnachè per volgere degli anni o in meglio o in peggio lo stile muti, e i rattoppi stridano con la stoffa, come i ritocchi a secco sopra gli affreschi: nonostante questo, per varianti, emende e correzioni, la edizione Le Monnier è l'unica che io ritenga normale della Battaglia di Benevento.

      Vivi felice.

      Dal Carcere delle Murate, questo dì 4 giugno 1852.

      F.-D. GUERRAZZI.

      LA BATTAGLIA DI BENEVENTO.

       Indice

       Indice

      FURORE.

      Gli occhi infiammati, e pregni

       Di lagrimevol riso;

       Roca sonar la voce, e le parole

       Con subiti sospiri;

       Stare inquïeto, andare

       Frettoloso, e voltarsi

       Spesso, quasi altri il chiami.

       Son certissimo segno

       Di un antico furore.

       CANACE, tragedia antica

      È mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille al cielo d'Italia abbia negato esser questo il più puro sereno che mai rallegrasse il sorriso di Dio?—È mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille al cielo d'Italia allorchè il figlio primogenito della Natura lo veste della pompa dei suoi raggi non abbia sentito suscitarsi la mente pei grandi che non sono più, di cui il nome è rimasto nell'anima come armonia di arpa che cessò di esser tocca?—Quali braccia non si prostesero a quell'astro di vita, mentre abbandonando alla notte il dominio del cielo, dai confini dell'oceano lo saluta con gli ultimi raggi, e non implorarono che rimanesse nella sua celeste dimora?—Ma s'egli partì con la sera tornò col mattino, e vide i secoli dileguarsi nella eternità, le generazioni incalzarsi nella tomba, e la vicenda infinita delle virtù e dei delitti. Breve fu la sua luce sopra l'onore d'Italia; lunga sul dolore, e su l'onta. Ahimè! io non avrei creduto giammai che i popoli potessero morire della morte degl'individui.—E su quale occhio non ispunta la lacrima, allorchè la mesta luco della luna e delle stelle sogguarda dall'alto i campi silenziosi della terra? Voce di celeste armonia suona dal rotearsi delle stelle pel cielo, voce di sempiterno canto: e quantunque

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