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Conte di Cerra, per quanto visibilmente si sforzasse, non potè di tanto reprimere quel suo riso, che due o tre volte non gl'increspasse la faccia; nondimeno si contenne, e parlò:

      «E che, Caserta?—Tremate voi così presto essere ridivenuto padre? Non avete voi detto ch'egli è figlio vostro? Or dite, via, che io l'ho spento nelle viscere materne, e che la ingordigia di acquistare conduce i moti dell'anima mia! Presuntuoso che siete, rinunciate alla conoscenza del cuore umano!»

      «Egli vive! Tu lo hai detto…. dunque tu mi hai tradito? Va, Anselmo, va per l'amore di Dio, uccidilo avanti che la notte sparisca…. prevaliti di queste ore di notte che avanzano…. egli…. egli è un monumento di peccato…. egli non è mio figlio…. non è mio figlio…. bisogna che muora.»

      «Bisogna che viva, Conte di Caserta.»

      «Da quando in qua ricusa Anselmo di fare il sicario? Lo conoscerò, lo ucciderò io stesso in questa medesima notte.»—E così dicendo si precipitava verso la porta: gli si parò davanti il Conte di Cerra, e gli disse ad alta voce: «Importa che voi mi ascoltiate.»

      Qui cominciava tra loro un velocissimo conversare in tanto basse parole, che appena gli avrebbono potuti sentire alla distanza di quattro o sei passi; ma frequenti e feroci erano i gesti, terribili i volti, romorosi i giuramenti. Alfine parve tutto convenuto tra loro; allora il Conte di Cerra, giubbilando, con quella sua orribile contorsione di volto, domandò: «Messere, che parvene di questo mio ritrovato?»

      «E' parmi cosa» rispose il Caserta «che l'età presenti e le future malediranno,—cosa che il narratore dei casi antichi schiverà riporre nella sua cronaca come troppo favolosa;—cosa in somma che lo stesso Lucifero non avrebbe potuto immaginare maggiore nella sua stessa potenza del male. Il tradimento, e il parricidio, commesso per amore di vendicare il padre, era un pensiero degno di meditarlo il Cerra.»

      «E di ascoltarlo il Caserta.»

      Dopo queste parole il Conte di Caserta accennò ad Anselmo di andare.

      Questi, curvata la persona in atto ossequioso, partiva.

       Indice

      INGANNO.

      Ne diè Natura, è vero,

       La lingua perchè serva

       A palesar del cuor gli occulti sensi;

       Ma l'artificio uman così l'adopra,

       Che non gli manifesta, anzi gli asconde;

       E ben io so ch'è folle

       Chi mirar crede entro la voce l'alma.

       CLEOPATRA, tragedia del Cardinale Delfino Patriarca d'Aquileia.

      E se la vita fu bene, perchè mai ci vien tolta?—E se la vita fu male, perchè mai n'è stata concessa?—Oh! l'ora della morte travaglia d'ineffabile angoscia. Io, che, per felice disposizione della natura, posso senza dolore e senza gioia guardare la contesa della distruzione e della esistenza, ho considerato l'uomo spento col ferro: egli aveva i capelli ritti…. le pupille terribili…. la bocca in atto di profferire una minaccia…. tutte le membra disposte a disperata difesa. Ho considerato l'uomo spento coll'arme da fuoco: i suoi occhi erano languidi…. il volto abbattuto, come quello dello estenuato da lungo patire. Finalmente ho considerato la forza della malattia mortale sul giovane, e sul provetto: in quello la vita lottò con vigore proporzionato alle sue forze, e gli ultimi suoi istanti furono atrocemente dolorosi; in questo, di cui l'alito avrebbe a mala pena potuto muovere una piuma, e appannare il cristallo accostatogli alla bocca, la morte parve imperversare meno furiosa, anzi calare lieve lieve la mano ghiacciata a stringergli il cuore.—Ma e nello spento per ferro, e nello spento per fuoco, nel giovane, e nel vecchio…. in tutti ho osservato il gravoso affannarsi dell'agonia…. il ravvolgersi degli occhi desiderosi della luce…. il brivido celerissimo a fiore di pelle precursore della cessazione del moto…. la grossa lagrima distillata dal cervello gocciare giù per la pallida guancia…. tutte le membra contrarsi…. raccogliere coll'ultimo anelito in un sul punto la vita, e…. con un sospiro il cuore ha cessato di battere: l'eterna immobilità inceppa le fibre:—l'uomo diventò tutto materia?—Oh! è amaro, è amaro il punto della distruzione della vita.

      E pure più amaro parve a Rogiero quello in cui, ascoltando i passi di persona che si dirigeva alla sua volta, e la voce che di mano in mano si approssimava, fu costretto di sciogliersi dalle braccia di colei che tanto aveva amato senza speranza…. Dio eterno! Era la di lei fronte ghiacciata…. le membra irrigidite; nè di per sè stessa poteva reggersi in piedi:—e la bocca? Un alito leggerissimo annunziava la vita.—Le voci e i passi si fanno ad ogni momento più vicini.—L'adagerà Rogiero su l'erba del prato, o la sosterrà sempre stringendosela al seno? Veramente sarebbe la forte prova di amore abbandonarla così fuori di sè a persona sconosciuta! Ma l'averla tra le braccia è misfatto.—Nè la infamia del misfatto, nè il dolore della pena ricuserebbe Rogiero, purchè gli fosse concesso riporla nelle mani delle sue damigelle, o di sua madre.—All'improvviso la sua mente, più che dai molti anni, ammaestrata dalle molte scelleratezze degli uomini, ricorre al pensiero, che invidiato si solleva il bel giglio; vede il rettile schifoso anelante di contaminare quella intemerata candidezza; ode il malignare della razza del fango; un senso generoso lo esalta; vince la presente passione, adagia Yole sul terreno, china verso di lei i suoi sguardi, giunge le mani, si volge al cielo, e fugge senza mandare un sospiro.

      Certo, non si vuole dubitare, che in ogni caso quell'addio sarebbe stato muto, perchè la passione loro non era da esprimersi con parole; pure se Yole fosse stata in sè, avrebbe veduto un tale sguardo, che poi invano avrebbe tentato di cancellare dalla memoria; uno sguardo che svelava il desiderio di cose che l'uomo non può conseguire, l'irremovibile giuramento di non declinare per casi o per tempi dalla stabilita proposta, e la coscienza di vivere senza speranza, e senza speranza morire. Fu senza dubbio nasconderle quel guardo profonda pietà: egli avrebbe accelerata la perdita della ragione, alla quale la misera era condannata fino dal suo nascimento.

      Intanto Rogiero, ripostosi a guardia sotto la volta, non poteva condurre lo intelletto a meditare sopra i casi avvenuti, però che il cuore avvolgendosi per le memorie di quelli amava commettersi allo impeto delle sensazioni.

      In questo modo dimorando, intese il romore di un passo che pareva avvicinarsegli; porse l'orecchio, e allorchè fu tempo domandò ad alta voce: «Chi è che passa?»

      «Che San Germano vi aiuti!» rispose un uomo di sembianze piuttosto dure, di aspetto vigoroso, tutto coperto di piastre e maglie di ferro, come usavano portare gli uomini d'arme del Re Manfredi; «buona guardia, Rogiero.»

      «Oh! siete voi, Roberto?» disse Rogiero riconoscendo la voce; «qual diavolo vi porta in questi luoghi a questa ora?»

      «Voi stesso.»

      «Gran mercè alla cortesia vostra, Roberto; un amico qual siete voi giunge opportuno a tutte le ore, specialmente poi a quelle della guardia.»

      «Rogiero, io ho le molte cose a dirvi.»

      «Ed io, come vedete, luogo e pazienza da ascoltarle; parlate,»—disse Rogiero, facendo aspetto di non volere porgere grande attenzione a quello che stava per dirgli l'uomo di arme, e continuando a passeggiare.

      «Giovane!» parlò cupamente Roberto, ponendosi a sedere, «io posso con una sola parola rendervi immobile per più lungo tempo che voi non vorreste: però accostatevi, sedetemi qui a canto, e sopra tutto parliamo basso, che nessuno ci senta.»

      Rogiero non sapendo il perchè, senza alcuna cosa rispondere, obbediva; l'uomo di arme continuava così: «Rogiero, avete voi ripensato a quello, che nel mese scorso vi predisse l'astrologo saracino Ben Hussein?»

      «Santa Rosalia! Codeste sono vanità; io le ho affatto dimenticate.»

      «Se voi le credevate vanità, perchè le avete ascoltate? Voi avete interrogato le stelle, ed esse

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