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il disprezzo per l’inferiore, per la persona vestita male, perché ora egli sapeva quanto male egli fosse vestito; il confronto con Macario ne l’aveva reso avvertito.

      Quando Annetta terminò, Macario batté con entusiasmo le mani e Alfonso si unì all’applauso nel modo medesimo. Eccedeva e poco dopo, ripensandoci, se ne accorse, ma non voleva lasciar capire ch’era offeso. Soffriva molto di dover simulare e capiva di aver perduto definitivamente tutto quel poco di disinvoltura che aveva portato seco. Macario nell’entusiasmo tenne lungamente nelle sue la mano che Annetta gli lasciava.

      — La signorina parla magnificamente il francese! — fece quasi in tono di domanda Alfonso.

      Nessuno si curò di rispondergli ed egli tacque riconoscendosi sciocco e noioso.

      Aiutata dalla cameriera, Annetta servì il tè. Con Macario ella insistette che prendesse anche qualche cosa d’altro; incaricò la cameriera di porgere una tazza ad Alfonso gli occhi del quale brillarono dall’ira. Cominciava a sentire il dovere di reagire; quello che più di tutto lo preoccupava era il timore che Macario lo disprezzasse vedendolo subire tanto umilmente tali impertinenze. Avrebbe dato del suo sangue per trovare una parola acconcia, pungente.

      — Non prendo mai tè — disse con accento cortese, quasi domandando scusa, irritato di non trovare altra frase e di non saperle dare altra intonazione.

      — Vuole del cognac ? — domandò Annetta senza guardarlo.

      — No! — e non volle dire di più, ma un inchino involontario rese cortese anche questo monosillabo.

      Macario gli diresse più di spesso la parola e Alfonso pensò ch’era stato colpito dallo strano contegno d’Annetta e che volesse indennizzarlo con le sue attenzioni. A Macario Alfonso rispose con maggiore tranquillità ma anche a monosillabi.

      — Suona qualche strumento?

      — No!

      Macario gliene fece i complimenti; nulla di più terribile di uno strimpellatore dilettante.

      — Cantare, meno male, come mia cugina. Non capisce tutto quello che canta, ma ha la voce aggradevole e piace. Piace persino a me; il mio entusiasmo di poco fa era sincero.

      Annetta ringraziò con ironia, si capiva però ch’era offesa del rimprovero più di quanto volesse lasciare trasparire e lo capì anche Alfonso che ne ebbe un senso di profonda soddisfazione; anch’essa andava ora cercando senza trovarla una risposta per ferire o per difendersi.

      Per qualche tempo ella aveva parlato scherzosamente, ma poiché Macario continuava a farle dei complimenti sulla sua bellezza e sulla sua grazia ma non recedeva da quanto aveva detto, ella aveva finito col dimostrare più apertamente la sua stizza. Col volto serio e persino alquanto più pallido gridò:

      — Dimmi qualche cosa di più preciso; dove ho sbagliato? Per criticare — e voleva essere pungente, — non basta mica deridere.

      Macario si mise a ridere così di gusto che Alfonso lo invidiò.

      — Ci tieni tanto alla tua fama di artista? Perdonami l’osservazione, la ritiro!

      Alfonso si alzò per primo. Francesca si levò in piedi anch’essa e lo incaricò di salutare la signora Carolina. Annetta rimase seduta a discutere col cugino. Costui però si alzò deciso anche lui di andarsene e gridò ad Alfonso:

      — Se mi attende vengo con lei.

      Lusingato, Alfonso attese.

      Macario, sempre molto allegro, stringendole la mano, disse ad Annetta:

      — Un’altra volta, mia cara cugina, non dubitarne, preciserò le mie critiche!

      In tono scherzoso ma superbamente, Annetta rispose:

      — Non me ne importa; se c’è da correggersi, troverò il modo di correggermi da sola.

      Ella porse la mano anche ad Alfonso; le due mani si toccarono ambedue inerti e ricaddero. Vedendola impallidire, Alfonso fu spaventato, ma dopo si sentì soddisfatto di aver trovato il modo di dimostrare anche lui la sua indifferenza.

      Sulla via i due uomini si fermarono.

      — Ella va per di là? — chiese Macario accennando verso il mare.

      — No, — rispose Alfonso, — veramente verso il Corso.

      — Mi faccia il piacere di accompagnarmi per un pezzetto.

      Si abbottonava lentamente la pelliccia mentre Alfonso con un brivido cacciava le mani nelle tasche del suo cappottuccio. Senz’attendere risposta al suo invito, Macario si diresse lentamente verso la riva.

      — Ella vede mia cugina per la prima volta? — e udita la risposta affermativa di Alfonso: — e per l’ultima, eh? — chiese con un risolino che nell’oscurità suppliva perfettamente al suo gesto abituale.

      Alfonso credette di dar prova di grande coraggio rispondendo con franchezza:

      — Sì! Lo spero!

      — Ma non vale la pena di adirarsi per capricci di donne; mia cugina è una sciocca.

      — Non mi pare! — rispose Alfonso con voce commossa.

      Era chiaro che a Macario importava di diminuire in Alfonso la cattiva impressione prodotta in lui dal contegno di Annetta.

      — Sa perché è stato trattato con tanta freddezza? Un impiegato di mio zio, non appena presentato, s’è messo a fare la corte ad Annetta. Pare che si sia anche vantato di venire corrisposto, così che mio zio lo riseppe e si divertì per qualche tempo a deridere la figliuola. Non era uno sciocco quell’impiegato, un moretto dai capelli corti e crespi. Annetta non ne volle più sapere d’impiegati, perché ella procede sempre per massime generali.

      Erano giunti alla riva. Dal mare agitato giungeva il romore delle onde che si frangevano sulla diga. Nell’oscurità della notte senza luna, al di là dei bastimenti schierati alla riva, il mare sembrava un vuoto enorme, nero. Soltanto il raggio mobile del faro si rifletteva sull’acqua e ne svelava la superficie.

      Macario trascinò seco Alfonso a destra, verso la stazione.

      — Avrei preferito di non venir invitato. Del resto sia certo che non mi lagnerò con nessuno.

      Gli era venuto il sospetto che Macario volesse questa promessa.

      Macario si mise a ridere:

      — Oh! in quanto a me, può raccontarlo a tutti. Crede davvero ch’io ami tanto i miei cari parenti? Non ha visto con quanto piacere feci adirare la cuginetta? Che vanerella, eh!

      Poi evidentemente non pensava più al contegno di Annetta con Alfonso. Parlava per proprio conto e alquanto agitato.

      — Come poteva io lodarla dopo averla udita poco prima filare le note di quella canzone da Gavroche come se fossero state di una romanza di Tosti! Di qui a qualche tempo, potrò mentire perché allora non rammenterò più quelle note e soltanto la magnifica figura agitata dalla stanchezza. Non trova che di solito la faccia di mia cugina non è abbastanza vivace? Ecco! Come Napoleone aveva il pieno possesso delle sue facoltà mentali soltanto sul campo di battaglia, così mia cugina non è bella perfettamente che quand’è agitata! Ma è difficile agitarla.

      Alla luce di un fanale Alfonso vide che mancava il gesto abituale.

      Con la sua semplicità da contadino gli chiese se realmente non volesse bene a sua cugina.

      — In quanto ad amarla... — si fermò volendo far mostra d’essere pentito dello scherzo e con voce profonda e seria continuò: — Amo le ragazze che sono fatte altrimenti. Mia cugina non è una ragazza, è una donna e anzi di più... — e fece un breve risolino; — una cara donna però, bella, dotta troppo, tanto che spesso appare di non essere educata. Conosce matematica, conosce filosofia, legge con predilezione libri seri, e di questo non sarebbe troppo da meravigliarsi, ma li comprende, parola di onore, li comprende! Con la sua solita scrupolosa

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