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— rispose Annetta con un sorriso che Alfonso fu costretto a trovare buono.

      Per un intervallo di tempo che a lui parve di un’ora almeno, dovette assistere passivamente al chiacchierio delle due donne, ora fingendo di prestarvi attenzione ed ora volgendo modestamente gli occhi altrove, cioè quando Annetta abbassava la voce e avvicinava la bocca all’orecchio di Francesca. Si sentì sollevato allorché Santo entrò e annunziò l’avvocato Macario.

      — Che entri, che entri! — gridò Annetta con gioia, — ci farà ridere.

      L’avvocato Macario, un bell’uomo di quarant’anni forse, vestito con grande accuratezza, alto e forte, una fisonomia bruna piena di vita, salutò Annetta imitando Ferravilla: — Oggi più bella del solito... ahi! — Strinse la mano a Francesca la quale subito gli presentò Alfonso; poi, invece di nominare l’avvocato: — I più bei mustacchi della città.

      — Se sapesse la fatica che mi costa di conservarli in tale stato; glielo racconto io, altrimenti anche questo le racconterebbe la signorina.

      Alfonso atteggiò il volto ad un sorriso; stava peggio di prima. La disinvoltura di Macario non gli toglieva l’imbarazzo e glielo faceva sentire meglio.

      Annetta aveva deposto il giornale. Si appoggiava indolentemente con ambedue le braccia al tavolo:

      — C’è una novità, caro cugino! ti sorprenderà!

      Aveva l’aspetto di deriderlo.

      Macario finse dispiacere:

      — La so già. Infatti non l’avrei mai creduto. Lo zio abbandona la città in piena stagione di affari! Queste mura sono poi solide che dalla sorpresa non cadano? L’ho incontrato sulle scale e mi ha raccontato la novità, però con tutt’altra faccia di quella che hai tu adesso!

      Gestiva parlando; aveva degl’indugi durante i quali metteva le mani all’altezza delle orecchie, quasi accennando con le dita tese a dei sottintesi che Alfonso non comprendeva.

      — Capisco che non ne sia lieto, — disse Annetta. — Quando però qui si vuole, — e si toccò coll’indice la fronte, — basta.

      Macario asserì che d’inverno Parigi era più noioso che d’estate. Pareva prendesse una piccola rivincita per una disfatta toccatagli; si capiva ch’egli aveva cercato d’impedire questo viaggio.

      — D’inverno hanno sempre qualche cosa per il capo che ne fa gente intrattabile. Ogni giorno Parigi si occupa di un solo argomento che preoccupa tutti, ma tutti. Un giorno della caduta di un ministero, l’altro del discorso di un deputato, il terzo di un omicidio. Sempre noiosi! — concluse.

      Annetta, che in questa descrizione riconosceva il Parigi dei romanzi, esclamò:

      — Sempre simpatici!

      Aveva cercato invano quel Parigi in un suo viaggio precedente.

      — Affari di gusti. Si va da un amico, non ti parla che della revolverata toccata a Gambetta; si tratta con qualcuno d’affari ed il vostro cliente è preoccupato dalle revolverate e da Gambetta; si va dal calzolaio e anche lui non vi parla che di Gambetta e qui meno male.

      Alfonso rise forte dello scherzo perché non trovava di mettere una parola nel discorso e credette doveroso di dar prova che vi partecipava.

      — A teatro si sta bene, d’inverno, a Parigi; una bella première vale il viaggio.

      Non traspariva più l’intenzione di sminuire il trionfo di Annetta e parlava più serio, rivolto ad Alfonso, forse per ringraziarlo della risata.

      — Assisteremo alla première dell’Odette — gridò con gioia Francesca.

      La dimane avrebbero telegrafato per farsi prenotare ai posti.

      Macario si rivolse ad Alfonso chiedendogli se era impiegato da suo zio e da quanto tempo lo fosse. Avutone risposta, gli raccontò che sulle scale lo zio l’aveva prevenuto che troverebbe presso Annetta un suo impiegato, corrispondente in parecchie lingue. Alfonso rispose a monosillabi. Alla comunicazione delle lodi di Maller s’inchinò sorpreso e le attribuì a un malinteso. Eppure Maller doveva aver parlato proprio di lui. Macario sapeva ch’egli veniva dal villaggio e gli chiese se soffrisse di nostalgia.

      — Alquanto, — rispose Alfonso.

      Volle completare la parola secca con l’espressione del volto e vi riuscì.

      — Passerà, vedrà! — gli disse Macario; — ci si abitua a tutto a questo mondo; di abitare in una città poi, venendo da un villaggio, molto facilmente, credo.

      Annetta si divertiva poco a quel discorso e senza riguardo lo interruppe. Al suono della sua voce, Alfonso alzò il capo credendo che anch’essa volesse fargli qualche domanda e subito disilluso cercò di mascherare il motivo del suo movimento con l’aspetto di un’attenzione intensa.

      — Sai che ho imparato delle canzoni che sono popolari a Parigi per fare da Gavroche per le strade, con Federico!

      Federico era il fratello di Annetta. Miceni che lo conosceva lo aveva descritto ad Alfonso quale una persona molto altera. Faceva la carriera consolare ed era viceconsole in un porto francese.

      — Si potrebbe udire una di queste canzonette? — chiese Macario.

      — Perché no? — e si alzò. — Vuoi accompagnarmi? Via, su! Macario è tanto noioso questa sera ch’è il miglior mezzo di passare il tempo, credo.

      — Questo toccherà di giudicare a noi — rispose impertinente Macario. — Non le pare?

      Alfonso sorrise con sforzo. La tensione continua per apparire disinvolto lo stancava. Se avesse trovato il modo acconcio se ne sarebbe andato subito.

      Francesca, seduta al piano, aveva preso sulle ginocchia un fascio di musica e diceva ad Annetta dei titoli di pezzi. Annetta rifiutava con un gesto del capo. Si teneva sulla guancia una mano in atto di riflessione. Finalmente con uno scoppio di risa gridò:

      — Quello! Quello!

      Dopo alcuni accordi d’introduzione, la signorina passò ad un accompagnamento rudimentale ma vivace.

      Con la sua voce dolce, soda, Annetta si mise a cantare e a grande sorpresa di Alfonso principiò a saltellare sul posto, in tempo, fingendo di correre. Francesca rideva sgangheratamente, rideva Macario e non seppe trattenersi neppure la cantatrice stessa con grave danno della canzone che ne risultava qua e là mozza. Riacquistò ben presto la serietà e anche Macario divenne molto serio; in quanto ad Alfonso non aveva riso che per fare come gli altri.

      Cantando, Annetta fingeva di essere stanca, incrociava le braccia sul petto per correre meglio, evitava un ostacolo che abilmente faceva supporre, chiedeva scusa ad una persona che correndo aveva urtata.

      Alfonso sapeva il francese ma non avendoci abituato l’orecchio difficilmente comprendeva. Macario, guardando sempre Annetta con lo sguardo fiso e parlando a frasi staccate per disturbare meno il canto, gli disse:

      — È canzone cantata da un uomo... un uomo che corre dietro ad un omnibus . — S’interruppe e con ammirazione mormorò: — Fatta divinamente!

      Annetta era ora realmente stanca: correva sempre, ma saltando meno. Si teneva una mano al petto e la voce veniva rotta dall’affanno.

      — Non ne posso più, — disse, e si fermò.

      Francesca, ridendo, innestò all’accompagnamento il canto, ma dopo pochi istanti, rimanendo ferma, Annetta ricominciò a cantare. La sua voce risuonava fresca e dolce. Cantava meno vivacemente e si soffermava su qualche nota prolungandola con sentimento così che ad Alfonso che non aveva capito il testo, la canzone terminò col sembrare triste.

      Quelle note dolci gli rivelarono la ragione del suo malessere. Il desiderio ch’esse gli diedero di udire una parola amichevole da quella magnifica creatura che aveva una voce così bella, lo fecero accorto che ancora non ne aveva ricevuto alcuna. Era stato accolto

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