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minore.

      I suoi occhi dorati, induriti da centinaia di anni di solitudine, divennero rossi al ricordo di una promessa che doveva ancora mantenere. Col passare dei decenni, Kyou diventava più forte. Si era avvicinato molte volte, ma l’oggetto del suo odio e della sua ira continuava a sfuggirgli.

      Non si sarebbe placato finché quella vile creatura si sarebbe contorta in agonia davanti a lui, e la sua anima non sarebbe stata gettata nell’inferno cui apparteneva.

      Lo sguardo di Kyou fu attirato dall’unico posto tranquillo di tutta la città... il parco in centro. «Luoghi del genere non dovrebbero essere così vicini al male.» mormorò nella notte. Saltando giù dall’edificio, continuò la ricerca come faceva da tanti secoli. Hyakuhei avrebbe pagato con la sua stessa vita per aver preso l’unica persona che gli stava a cuore. Suo fratello era perduto per sempre e non sarebbe mai più tornato.

      «Toya...» sussurrò mentre scompariva nella notte, lasciando l’immagine di un angelo vendicatore.

      *****

      Il parco era sempre tranquillo a quell’ora, era ancora pomeriggio e il sole era alto nel cielo. Kotaro passeggiava pigramente tra gli alberi in centro, accanto a un enorme blocco di marmo. Non sapeva da dove provenisse... era lì da tanto, da prima della città stessa. Sapeva solo che provava un travolgente senso di pace ogni volta che gli era vicino.

      «Chi immaginava che una roccia quadrata potesse tranquillizzare la mente?» mormorò tra sé.

      Imboccando un sentiero tra gli alberi, si diresse verso la pietra per guardarla. Anche se quel giorno si sentiva bene, sapere che era ancora lì lo faceva sentire meglio.

      Kotaro si fermò quando arrivò e notò qualcuno seduto in stile indiano sopra la pietra, con i gomiti sulle ginocchia e il mento poggiato sulle mani. I suoi capelli viola corti ondeggiavano nella brezza leggera, dando al giovane un aspetto ancora più infantile.

      «Che diavolo ci fai qui?» gli chiese Kotaro.

      Kamui sorrise senza guardarlo e annuì verso il college in lontananza. «Aspetto che inizi la lezione.».

      L’altro scosse la testa e proseguì, poi si fermò di nuovo e si voltò di scatto, «Ma che dici? Tu non frequenti questa scuola.».

      Kamui gli fece l’occhiolino e svanì lentamente con una pioggia di polvere arcobaleno scintillante, dicendo: «Lo so.».

      Kotaro lanciò un’occhiataccia alla polvere che vorticò prima di svanire completamente. «A volte quel ragazzo è un vero mistero.» disse al vento, poi osservò la pietra. Gli sembrò di sentire dei passi frettolosi ma non se ne rese davvero conto finché qualcuno non gli diede un colpetto sulla spalla. Sussultando, si voltò e vide Hoto e Toki che cercavano di riprendere fiato con le mani appoggiate sulle ginocchia. «Perché avete corso?» gli chiese con un ghigno.

      Hoto gli porse un foglietto di carta, «Per te... dalla polizia... è importante.».

      Kotaro lo prese, «Dalla polizia, eh? Dev’essere davvero importante, per farvi correre come due forsennati.».

      Toki annuì prima di lasciarsi cadere su un fianco per riposare. Hoto s’inginocchiò e poggiò la testa sull’erba.

      «Siete le due persone più pigre che io abbia mai visto.» si lamentò Kotaro scherzosamente.

      «Mi fa male un fianco.» piagnucolò Toki, «Devo tornare... in ufficio... c’è l’aria condizionata.».

      Kotaro sospirò rassegnato e li lasciò aspettare al caldo mentre leggeva il biglietto. Poi strinse la mano, accartocciando il foglio che aveva appena ricevuto dalla centrale di polizia non lontano dal campus. Un’altra ragazza era scomparsa senza lasciare traccia. Lui aveva trascorso parecchio tempo a indagare sulle sparizioni delle ragazze e, alla fine, tutto riconduceva al college in cui adesso era capo della sicurezza.

      I suoi pensieri tornarono subito alla sua amata Kyoko. L’aveva ritrovata e, proprio come si aspettava, Toya non era lontano. Era rimasto sorpreso nel vedere che era rinato come un umano normale, o almeno così sembrava.

      A volte percepiva il vero Toya nascosto... ignaro della sua stessa esistenza, eppure quella parte di sé era rimasta latente. “Grazie, Dio, per le piccole gioie.” pensò, passandosi una mano tra i capelli mossi dal vento.

      Era contento che nessuno dei due ricordasse il passato... era un qualcosa che era meglio dimenticare. Avrebbe voluto avere lo stesso privilegio di dimenticare... invece il ricordo rimaneva e spesso lo svegliava di notte, facendogli sudare freddo.

      Uscendo dal parco si ritrovò sul sentiero di fronte al campus. Alzò lo sguardo nella direzione in cui viveva Kyoko. Si accigliò preoccupato mentre sentiva il bisogno di andare a controllare “la sua donna”.

      Kotaro aveva la parte più lunga dei capelli raccolta in una cosa bassa, mentre il resto era sempre spettinato dal vento, conferendogli l’aspetto di un teppistello punk che, tuttavia, gli si addiceva. Quell’aspetto gli era servito più di una volta, negli ultimi anni.

      Era alto e aveva muscoli esili, ma ciò poteva ingannare... non aveva un filo di grasso ed era più forte di cinquanta umani messi insieme. Le uniche persone che conoscevano la sua forza sovrumana erano quelle che decidevano di sfidarlo o che osavano ostacolarlo. E quei pochi erano troppo spaventati per dire una sola parola. Nessuno nel campus conosceva il lato segreto di Kotaro e lui voleva mantenerlo tale.

      Era responsabile della sicurezza di ogni persona che si trovava nel campus, che fosse un visitatore, uno studente o un membro della facoltà. Le sparizioni delle ragazze erano iniziate da circa un mese, ad un ritmo allarmante.

      Un ringhio cupo gli si formò nel petto mentre inspirava i profumi nell’aria. L’aria era contaminata da un odore antico... malvagio. Kotaro si stava avvicinando al responsabile di qualcosa che andava ben oltre le semplici sparizioni... lo sentiva. Mettendo da parte quei pensieri, si diresse a passo svelto verso gli appartamenti che ospitavano molti studenti universitari.

      Sarebbe andato a controllare Kyoko e, se lei glielo avesse permesso, non l’avrebbe lasciata da sola per il resto della giornata... e della notte. Sperava solo che Toya non fosse di nuovo con lei, oggi. La voleva tutta per sé. Dopotutto, lei era la sua donna e quel ragazzo avrebbe dovuto farsi una vita.

      Rallentò per un istante per l’ironia di quel pensiero... era contento che Toya almeno avesse una vita da vivere, adesso. Sorrise quasi divertito mentre lo minacciava mentalmente se non avesse smesso di perseguitare Kyoko.

      L’idea di sedere accanto a lei sul suo comodo divano, a mangiare popcorn e guardare qualche film di cattivo gusto sembrava la serata perfetta. Lo facevano almeno una volta a settimana e quello era il suo giorno preferito, il suo momento indisturbato con la bella ragazza dai capelli ramati. Non gli importava se guardavano un film o chiacchieravano semplicemente... gli piaceva sentirla rannicchiata accanto a sé.

      Kotaro sorrise compiaciuto, chiedendosi come sarebbe stato averla sempre accanto... di giorno e di notte.

      Il suo ghigno svanì con un pensiero... Kyoko non lo aveva scelto al posto di Toya, non ancora. Almeno non in questa vita. “Certe cose non cambiano mai.” si disse. Poi alzò lo sguardo al cielo come per inviare un silenzioso e sarcastico “Grazie per l’aiuto.” a chiunque lo stesse ascoltando da lassù. Qualcosa gli diceva che gli dei dovevano avere un inquietante senso dell’umorismo.

      *****

      Gli esami finali erano finalmente terminati e Kyoko aveva cantato quelle parole per tutto il pomeriggio. Era stata brava e aveva studiato fino a sentirsi male, ma la fatica aveva dato i suoi frutti. Sapeva di aver superato quei terribili test. Quel pensiero le aveva fatto quasi venire voglia di tornare a casa ballando.

      In effetti, la prima cosa che aveva fatto dopo aver varcato la porta, era stata lanciare i libri come se fossero infetti e, alla fine, aveva ceduto all’impulso... aveva improvvisato una danza della felicità proprio lì, sulla porta.

      Poi aveva ripetuto dei passi che aveva visto fare a Toya una volta, e si era diretta verso il bagno

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