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si riempivano dei lamenti del cavallo ferito.

      Sancho muoveva gli occhi nervosamente. Da Jimeno all'attaccante; al cavallo; al castello; al figlio del bargello, che era ancora a terra. Di nuovo a Jimeno. All'improvviso un momento di confusione tra la sterpaglia; e alla fine vide il bargello scaricare la spada contro il suo avversario. Il brigante si spostò giusto in tempo, ruotando su sé stesso e riuscendo ad evitare un colpo che avrebbe potuto rivelarsi fatale. Jimeno si avvicinò a lui con due ampie falcate. Le lunghe gambe lo aiutarono a giungere sopra il nemico prima che questi riuscisse a rialzarsi. Lanciò vari fendenti che vennero bloccati dalla spada dell'avversario.

      Un'altra pausa. Due uomini combattevano e tre stavano a guardare.

      Rischiando tutto, gli uni; impotenti, gli altri. I due contendenti ripresero fiato.

      Le spade tornarono ad alzarsi.

      In un batter di ciglia, la lotta ebbe fine.

      "Sì!" esclamò Sancho. "Così si fa!"

      La spada del bargello era conficcata nello stomaco del bandito. Nei suoi ultimi istanti aveva cercato di graffiare Jimeno, ma il bargello gli aveva afferrato il polso per impedirglielo. Perse le forze man mano che il suo sangue bagnava la terra. Quando finalmente cadde al suolo, Jimeno liberò la spada e si volse ad affrontare l'altro bandito.

      Questi si teneva a prudente distanza, mentre soppesava le diverse possibilità. Il suo compagno era morto e adesso erano uno contro tre.

      Spronò il cavallo per girare intorno agli uomini e giunse fino al sentiero, dove si fermò.

      "Vieni qui!" lo provocò Jimeno. Il brigante era ancora immobile e muto.

      “Vieni a combattere con il bargello di Lacorvilla!”

      Dopo qualche istante di esitazione, il malvivente decise che non gli conveniva accettare la sfida e si allontanò. Lo videro sparire nell'oscurità e poco dopo neanche gli zoccoli del cavallo si sentirono più.

      Jimeno, ansimante, si avvicinò a suo figlio e diede un'occhiata veloce alla sua ferita. Alfonso era convinto che sarebbe morto o, peggio ancora, che

      avrebbe perso la gamba all'altezza della coscia. Suo padre invece gli disse che sarebbe guarito completamente, anche se Alfonso non gli credeva.

      "E del cavallo, cosa ne facciamo?" chiese Sancho, indicando la bestia ferita. La spada del bargello aveva provocato uno squarcio impressionante da cui il sangue usciva a fiotti.

      Jimeno estrasse il suo pugnale.

      "Finiscilo" ordinò porgendogli l'arma. "Non potrà mai riprendersi, e ci metterà molto prima di morire. È la cosa giusta da fare".

      Il carbonaio prese il pugnale con cautela e si avvicinò all'animale ferito. Si fermò davanti alla bestia e si rivolse al bargello.

      "Perché non mi avete dato prima il pugnale?" si infuriò. "Avrei potuto usarlo contro gli albari".

      "Avrei potuto averne bisogno" ribatté Jimeno con le mani sporche di sangue, del bandito e di suo figlio. "Tu eri già a posto con i tuoi quattro sassi".

      Il carbonaio si chinò accanto al cavallo e lo accarezzò con delicatezza. Poi lo colpì con il pugnale.

      I lamenti dell'animale aumentarono d'intensità. La pugnalata di Sancho non era stata abbastanza profonda e l'animale era ancora vivo. Il carbonaio, spaventato, colpì di nuovo l'animale con identico risultato. Ancora. E

      ancora.

      "Cosa stai facendo?!" urlò Jimeno vedendo il Nero commettere quella carneficina. Il carbonaio continuava a provare ad uccidere l'animale, ma tutto quel sangue rendeva scivolosa l'arma. Pugnalata. La lama affilata apriva nuove ferite sanguinanti nel cavallo. Pugnalata. Il cavallo era ancora vivo. "Sei più debole di una bambina, togliti di mezzo!" gridò il bargello strappandogli di mano il pugnale per poi colpire con fermezza la povera bestia. I lamenti cessarono all'istante.

      Sancho, le braccia coperte di sangue, farfugliava qualche scusa quando

      Jimeno gli diede uno spintone.

      "Aiuta mio figlio" gli ordinò, rinfoderando il pugnale. "Torniamo in paese".

       Capitolo I: IL BARGELLO

      Ancora indolenzito e coperto di lividi, Jimeno riaprì gli occhi nel suo letto.

      Allungò la mano in cerca di Arlena, ma sua moglie non era più accanto a lui. Girò la testa a destra e a sinistra ma non la vide.

      Si alzò dal letto con un lamento. Quel maledetto cavallo probabilmente gli aveva rotto qualcosa. E aveva le mani in fiamme, dopo tutto quel combattere con la spada.

      "Arle…" Non riuscì a finire la parola e si schiarì la voce. "Arlena!".

      Non ebbe risposta. Si avvicinò lentamente al catino con l'acqua e vide il suo volto riflesso sulla superficie. Malgrado i vistosi lividi sul collo, stava sorridendo. In effetti l'occasione non era da meno. La sera scorsa si era coperto di gloria compiendo l'impresa di diventare il primo uomo ad uccidere un albare di cui si avesse notizia. Non era certo cosa da poco. Era stato necessario mettere in gioco tutta l'abilità di quell'uomo corpulento che ora si trovava davanti al catino.

      Jimeno sospettava che il morto fosse stato un soldato, prima di diventare un brigante. Un disertore. Spada di ottima fattura. Giubba di cuoio, cotta di maglia e gorgiera. Per non parlare del cavallo, un vecchio ma robusto destriero che Jimeno rimpiangeva di aver ucciso. Non era qualcosa che un balordo qualunque potesse possedere.

       Se sono ancora vivo è perché sono stato più abile con la spada.

      Rientrando in paese aveva pensato ad un piano per addestrare i suoi abitanti e cogliere di sorpresa dei semplici briganti, ma adesso era tutto diverso: gli albari non erano semplici briganti, e i villici non godevano più del vantaggio della sorpresa.

      E lui non sapeva più cosa fare.

      L'acqua fredda sul viso lo aiutò a svegliarsi del tutto. Quando si girò, sua moglie era accanto alla porta.

      La maternità rendeva Arlena sempre più bella. La moglie del bargello era abbastanza alta da non sfigurare accanto al suo enorme marito e i sei parti non l'avevano appesantita più del necessario. Aveva ancora un fisico simile a quello della fanciulla che aveva conosciuto un tempo e, anche se i folti capelli castani cominciavano ad incanutire per l'età, aveva ancora quel sorriso… Il sorriso che adesso era dipinto sulle sue labbra.

      "Vieni qui…" le disse prendendola per la vita, mentre con l'altra mano cercava di alzarle le gonne.

      E così, per due sole parole, in casa del bargello scoppiò una vivace discussione. Le quattro pareti della casa non sembravano abbastanza solide da contenere le urla. I sassi ascoltavano per l'ennesima volta la coppia che rivendicava i propri opposti punti di vista sulla progenie che non faceva che aumentare e sul modo di metterla al mondo.

      "Sei mia moglie e devi adempiere ai tuoi doveri!"

      "Non se mettono in pericolo nostro figlio". Arlena prese le mani del marito e le appoggiò sul suo addome gonfio. "Stai già mettendo alla prova il mio ventre affinché ti dia dei figli, non insistere a forzarlo anche per ottenere piacere".

      Jimeno, più alto di almeno una testa rispetto a tutti gli altri paesani e dalle larghe spalle, si avvicinò a meno di una spanna di distanza da sua moglie.

      Ma neanche così riusciva a fare in modo che la donna non sostenesse il suo sguardo, senza mai lasciarsi intimidire dall'imponenza del bargello. Lo sguardo rimase fermo anche dopo una serie di imprecazioni che avrebbero fatto vergognare qualunque uomo timorato di Dio.

      Il bargello era passato in pochi istanti dall'euforia all'ira. Era stata una notte lunghissima. Il riposo gli aveva consentito di rilassarsi ma era impaziente che la moglie gli dimostrasse quanto gli era grata per aver salvato la vita a suo figlio Alfonso. Secondo lui era logico che Arlena si dovesse mostrare affettuosa. Era una ricompensa che lui si meritava appieno.

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